Storia del Quindici Maggio in Napoli 1
Storia del Quindici Maggio in Napoli
con l'esposizione di alcuni fatti che han preparato la catastrofe
Author: Tommaso Cimino
I
BREVE CENNO DELLE CONDIZIONI DEL REAME DI NAPOLI FINO AL 1847.
Tristi casi io vado ad esporre, al cui racconto i più remoti posteri
non aggiusteranno fede o chiameranno barbaro il secol nostro: ma
la tirannide non ha riconosciuto mai altro incivilimento che il
raffinamento delle sue pratiche. Se non ci attristano più tiranni
che arpeggiano al cospetto di città che ardono[1], o rinchiudono le
loro vittime in gabbie sospese sulle muraglie di una rocca[2], pure
la tirannide è sempre una, sempre la stessa l'influenza che esercita
sui popoli, quantunque quella d'oggi si copra col manto delle solenni
proteste d'animo umanissimo e delle pratiche religiose.
Colui che ancor porta il titolo di re del Regno delle due Sicilie,
e che la Provvidenza ha permesso che occupasse per 18 anni un
trono che i suoi maggiori han bruttato di turpezze e di stragi, ha
studiato i mezzi tutti onde conservarlo, se n'eccettui quello d'esser
generoso ed onesto; misura che essendo virtuosa, assicurerebbe
la durata di un potere che col progresso dei lumi va temperato e
riformato. Esso ha fatto tutto servire alle sue mire: ha intralciato
e ristagnato il commercio, perchè la gran ricchezza dei popoli lo
metteva in apprensione dando a quelli troppi mezzi. Ha stornato
sempre l'educazione di molte classi, onde la serva ignoranza tenesse
al buio le sue usurpazioni, ed ha insultato all'altare obbligandone
i sacerdoti a guastar l'indole suavissima del cattolicismo colle
larve dell'impostura, ed assegnando ai popoli appositi confessori
che insegnassero essere minor delitto il furto e l'uccisione, che
il mancamento all'obbedienza di suddito. — Codesto re ha trovato
anche il fatto suo nella sobrietà dei supplizii (sobrietà per altro
spiacevolissima ai tiranni) ma costoro han fatto che tutto servisse
alle loro mire. Così delle vittime designate dalla sua paura poca
parte, e la più temuta lasciava al carnefice, e le altre aggravava
di catene perpetue entro a fosse non rallegrate da raggio di sole. La
plebe, e con la plebe molti illusi l'han visto genuflesso dinanzi agli
altari e l'han creduto devoto; han contato il numero delle sue grazie
(ammetti che cogli assassini era indulgente sempre) e l'han creduto
di cuor pietoso! Ecco le conseguenze di quella brutale ignoranza
che codesto re ha lasciata crassa e pressochè selvaggia in tante e
tante migliaia d'uomini. Ma l'ordine ammirevole delle cose non gli
ha permesso a lungo di starsene a fare il tiranno dietro le cotte
dei preti e fralle nebbie della cecità; lo ha messo in un punto ove
era mestiere o fare il bene davvero, o puntare il cannone contro i
reclami dei popoli. Egli non ha esitato; ha usato la forza bruta, ed
ha abbandonato i suoi _dilettissimi popoli_ ad ogni genere di violenza,
ed i suoi scherani, ai quali nessuno oserà dar titolo di soldati, fidi
interpetri delle sue _paterne_ intenzioni, hanno tolto il freno ad
ogni pudore, e dopo inegualissima pugna si sono scagliati sugl'inermi
fanciulli e le donne colla libidine delle più nefande atrocità, ed
han riempito la mia patria, la leggiadrissima Napoli, di uccisioni,
di rapine e d'incendii — Innanzi a così lagrimevole narrazione mi vien
manco l'animo, ma nemmeno la carità della mia terra natale farà ch'io
alteri quello che mi è caduto sotto gli occhi, nè farà aggiungere
colori a quella catastrofe, alla quale ebbi parte io stesso, e da
cui la provvidenza permise io fossi campato per opera sua: santissimo
amor di vero, rispetto alla religione del giusto, ed ira cristiana mi
daranno lena onde io possa tracciare questo lagrimevole racconto.
Da troppi anni gemeva Napoli nel più duro e turpe servaggio; ingorda
la finanza, rallentata l'amministrazione, scemati gl'impieghi, solo
attivissima e fiorente la giandarmeria, impiegata ad obbligare i
morosi a esorbitanti tasse, e ciò con modi duri e oltraggiosi; agli
arresti di quei rei la cui più parte era trascinata al delitto dalla
miseria e dall'ozio, per la scarsezza dell'industria ed il ristagno
d'ogni speculazione scoraggiata e non voluta da un governo aspro e
pauroso: la classe più infelice era quella cui la natura avea dato
maggior dote di mente e cuore, la classe dei letterati: costoro mai
mancanti alla loro missione assiduamente predicavano, ed educavano la
giovinezza, per quanto il permettevano ad essi le minacce d'una polizia
insolente, e l'insidie delle spie; la stampa repressa e vigilata,
ed il giornalismo nella più assoluta decadenza — Furonvi alcuni che
avventurarono libertà ed avvenire stampando opericciuole nelle quali
versarono qualche semenza di liberalismo, e non ammisero alcuna
transizione tra la minaccia o la seduzione del potente, e la verginità
delle loro idee. Vi furono altri che venderono la penna e l'onore al
governo, e questi ultimi compilarono il giornale ufficiale riboccante
di sfrontate menzogne. È rattristante il vedere fino l'ingegno chinarsi
a far plauso alla tirannide...... ma che dico? non mai il genio, raggio
partito dalla corona di Dio, si è tolto dal suo divino santuario
ad informare cuori perversi... no! invece la pedante saccenteria e
ridicolosi grammaticuzzi hanno prestato la forma ai dettati del despota
in mancanza di consiglio virile e della ispirazione del trionfante
pensiero.
Ma si accuserà sempre il popolo di cui fo parte, di schifosa viltà,
se preferiva codesta esistenza lugubre e misera al glorioso morire
che s'incontra in un magnanimo tentativo? Si ponga mente ai tempi.
Grosso il partito del tiranno che esso impinguava col sangue che
suggea dalle vene del più povero: a lui fide e devote le armi, e
l'impero austriaco sempre minaccioso e potente in Italia: d'altronde
l'astuta e raffinata tirannide non lo portava mai a sottoporre le sue
sciagurate popolazioni allo stato di ultima violenza, ben intendendo
che allora insorge la massa e non cura la mitraglia, rompe le siepi
delle baionette, non sente la minaccia straniera, e col bastone e le
coltella sconfigge eserciti e spiana le rocche; così la mitezza di un
cielo incantato, la facilità dell'esistenza, la poca spesa del vitto
rallentavano la ferocia dei molti, mentre i ricchi erano spossati dai
vizi e sedotti dal prezioso sorriso del monarca, e la classe pensante
poca, sorvegliata e povera, miseramente languiva e fremeva invano...!
e vogliamo inorridire della ferocia di una belva che divora e strugge
fabbricando così la sua rovina, in paragone al malizioso despota delle
Sicilie che guasta o sperde i semi di ogni civile miglioramento,
conduce le masse tra le colpe e la miseria, ed avvizia il ricco
facendogli bere le aure contaminate della corte; funesta tirannide
che uccide i popoli prolungandone la morale agonia. La giovinezza
senza incoraggimento tra la scelta di aspre fatiche e la voluttà del
piacere, abbraccia più volentieri il secondo partito, e si fa guasta
tra i vizi finchè la miseria la conduca al delitto ed al patibolo. —
Oltre a ciò l'ipocrisia del principe usava circondarsi di ecclesiastici
avari furbi e lussuriosi, e facea predicare da costoro quelle virtù
che essi stessi sconoscevano[3]: e che? si pretendeva virtù tra i vizii
della tirannide? e la virtù del senso da esseri privi delle virtù del
cuore? il mezzo sicuro di dare al vizio nuova esca è il voler limpida
la corrente senza aver purgata la scaturigine: la religione può vincere
la seduzione del vizio, ma la religione non allignerà mai nell'animo
della spia o dell'egoista, e lo spionaggio e l'egoismo era l'opera del
governo di Ferdinando II.
II
RIFORME.
48.
Le opinioni politiche afforzate da esempio operativo si comunicano
colle celerità dell'elettricismo, e per quanto rigorose fossero le sue
misure, il governo non potè far sì che non si commovessero gli animi
de' Napolitani agli eventi di Roma. — I principi Piemontese e Toscano
da sè operarono e proclamarono quelle riforme che i popoli avrebbero
ottenute colle rivoluzioni e la strage, ed il plauso dei popoli rispose
alle regie concessioni: gli esuli tornarono ai lari disertati, e i
prigionieri videro un giorno non invano lungamente sperato: era felice
per l'Italia l'epoca in cui il vessillo di Cristo operava rivoluzioni
senza sangue basate sulla fiducia dei popoli ed il buon talento dei re:
e Ferdinando II che facea intanto? il popolo inerme si portava sotto
il suo palazzo a gridare — Viva Pio IX, vivano i Principi riformatori,
— ed egli rispondeva con decreti che condannavano simili dimostrazioni
come attentati all'ordine pubblico e rigorosamente punibili: e
s'empievano le carceri, e si instruivano processi.
Intanto simili dimostrazioni si eseguivano in Palermo. Ingordi
intendenti l'aveano ammiserita, e ad essa aveano preclusa ogni
via di civile progresso, e d'altra parte usava Ferdinando tenervi
grossa guarnigione: per essa era giunta l'ora che il fremito si
facea universale, le opinioni mature. Dapprima i Siciliani inviarono
pietosissime suppliche al re, che togliesse in considerazione lo
stato loro: non voler altro che miglioramento di amministrazione e
intendenti meno tirannici ed impudentemente ladri; a codeste suppliche
aggiungevano de' moniti prudentissimi; gli fecero intendere la natura
dei popoli che non vuol esser torturata a segno nè esser messa a tal
partito che ogni altro sia migliore.
Ed egli che facea?
Passeggiava Capodichino colle sue migliaia di soldati; s'affacciava dal
regio balcone, e di là guardava una darsena riboccante di cannoni, il
nuovo porto con parecchi vapori e fregate, e tale apparato ragionava
al suo cuore la santità del suo diritto, ed in esso vedeva il baluardo
contro i clamori dei popoli; e guardava cannoni, soldati e navi e con
quelli si preparava a far ragione a sette milioni di uomini. Quindi
nel 12 gennajo contro una dimostrazione inerme che seguiva in Palermo,
facea irromper la cavalleria sul popolo, ed il popolo la respingeva:
inviava i suoi battaglioni, ed il popolo li sperdeva: facea fumare
i suoi vapori ma contro un popolo intero e risoluto che s'unisce si
stringe e pugna per la libertà, è vana la potenza dell'oppressore, è
Dio contro lui.
E tanti tiranni trionfano? — I decreti del Signore sono
imperscrutabili, e l'albero prezioso della libertà va lungamente
educato onde i popoli possano gustarne le frutta suavissime.
Ferdinando nelle sue falangi scorse una spaventosa decimazione; nel
veder tornato un vapore carico delle vestimenta di soldati uccisi....
pianse! — e gli uccisi di Palermo che la sua impudenza addimandava
suoi figliuoli, non meritavano una sua lagrima paterna? sì pianse gli
uccisi: gli mancavano altrettante braccia a compiere le stragi che
designava. — Fu mestieri sgomberare Palermo e cedere le fortezze di
Castellamare: i Siciliani baciarono il nimico vinto, come ferocemente
l'avean battuto oppressore — Ma son prodigii di incivilimento codesti,
ma è l'eroismo dei cuori liberi! — aspetta e guarda come i Borbonici
sanno fare nel 15 maggio quando la città è in mano loro!... Sì, la
tirannide non riconosce incivilimento mai; la viziosa radice non darà
mai pomo che velenoso, e contaminato non fosse.
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