Storia del Quindici Maggio in Napoli 3
Egli trovò l'opportunità d'una controrivoluzione nell'inaugurazione
stessa della Rappresentanza nazionale, come nelle pratiche devote
e nel tempio di Dio ha tante volte cercato la corruzione dei popoli
napolitani.
IV
NOTTE DEL 14 AL 15 MAGGIO.
Cadeva il giorno 14 maggio.
Erano già compiuti i parati delle Camere legislative, ed il tempio
di S. Lorenzo era pomposamente apparecchiato per l'inaugurazione
della Rappresentanza nazionale. — Il popolo napolitano come è suo
uso aspettava con ansia il giorno 15; le classi pensanti come quello
che fosse l'iniziativa della sovranità popolare, e la plebe lo
considerava come quel giorno in cui avrebbe veduto affaccendarsi tanta
gente, avrebbe sentito tanto romore, si sarebbe gettata nella folla
per vedere anch'essa qualche cosa, ed avrebbe potuto legittimamente
bere e far baldoria. Gli spiriti erano calmi, i buoni vedeano nella
prossima apertura del Parlamento il termine di molte oscillazioni
politiche, e gli ardenti che conosceano l'entità ed il buon voler
dei Deputati, sedavano gli spiriti, lieti che nelle elezioni avesse
trionfato la opinione pubblica; insomma l'intera popolazione napolitana
tranquillamente chiudeva la sua giornata.
I Deputati si riunivano a deliberazione preparatoria nella sala di
Monteoliveto: era uscito in sulla sera del giorno antecedente un
cerimoniale che annunziava la solenne inaugurazione, e ne indicava il
rito; nessuna partecipazione erasi fatta ad essi, nè ancora proceduto
alla verificazione dei mandati che li costituivano deputati del popolo
— oltre a ciò il programma del cerimoniale annunziava che dai deputati
e dal re si sarebbe giurata la Costituzione del 12 febbraio senza
veruna condizione, mentre essendosi riconosciute le imperfezioni dello
Statuto con decreto del 3 aprile erasi dato al Parlamento la facoltà di
svolgerlo e di fecondarlo: l'obbietto della seduta era deliberar qual
condotta tenere nella circostanza, sopratutto chè essendo imminente
l'ora del giuramento pareva una sorpresa la pubblicazione di quel
cerimoniale in cui s'obbligavano i Deputati giurare in conformità
del regio volere, e contro il mandato della nazione, mandato nel
quale era indicato il contenuto del giuramento da darsi: in tutto ciò
chi non riconosce nel re Ferdinando l'iniquo talento di presentare
l'occasione di una contesa? se il Ministero gli avea notificato
l'inconvenienza dello Statuto e la necessità di riformarlo, con quale
intendimento egli prescrisse al collegio dei Deputati una formola
insidiosa? egli si aspettava un'opposizione, come infatti dopo molto
discutere ne fu compilata una nuova, nella quale si proponeva il
giuramento in conformità del decreto del 3 aprile, quindi fu mandata
al presidente dei ministri che la fè presentare al re per mezzo del
signor Conforti ministro dell'Interno. Questi, poco appresso ritornò
presentando all'adunanza un'altra formola compilata dal re: — fu votata
e rigettata, perchè più chiaramente proibiva altro giuramento che
quello indicato nel cerimoniale pubblicato il dì innanzi. — Di questa
risoluzione si dette avviso al presidente dei ministri e lungamente
s'attese una risposta che finalmente giunse. Che avea fatto Ferdinando
in quel tempo?
Avea raccolto intorno a sè Domenico Merenda, il general Filangieri
ed il general Nunziante; ed avea detto loro: è venuto il destro
di fiaccare l'orgoglio dei Napolitani, e di dissipare il nembo
che minacciava di farmi divenire il giuoco della volontà sfrenata
di codesti ribelli — se seppero strapparmi una Costituzione saprò
ritorgliela ben io, o darla come va fatto; una volta per ciascuno;
allora io era affaccendato colla Sicilia, ora son re, sì son re;
giacchè non si è mai re quando non si può fare da sè. — Quindi si
venne a consiglio — le fila tese sin allora erano intatte — gran numero
di spioni stavano desti — avvertiti e pronti alcuni comandanti della
guardia nazionale, giacchè tra le malizie di Ferdinando vi era stata
quella che avea dato facoltà alla guardia nazionale di dare i gradi
per votazione ma fino al grado di capitano, restando a lui formare gli
uffiziali superiori e dare ad esse i capi; e ad uffiziali superiori
avea nominato in gran parte i suoi zelatori e le sue spie[4]; la
truppa educata all'ira, aizzata contro i liberali, anelava anch'essa
far sangue: d'altra parte era poco il numero degli arditi che al
grido delle barricate fossero corsi, e questi bisognava spegnere: in
ultimo le masse non eran preparate alla rivoluzione, e la plebe sempre
favorevole a chi tien più oro, e a chi trionfa, per cui il colpo in
quel momento avrebbe ottenuto esito felice: si formarono le liste di
quelli che erano designati alla strage, si fè il piano d'operazione e
si diè principio.
Si lasciarono uscir le truppe dai quartieri, e da un'altra parte si
compilò un nuovo cerimoniale accettabile e fu inviato alla Camera
dei Deputati per mezzo del prefetto di polizia; accettabile, giacchè
volea Ferdinando far conoscere non per opera sua, s'era venuti a
quella tremenda collisione. Esso fu discusso, e mentre si procedea
alla votazione che parea risultare favorevole, si presentò il capitano
della guardia nazionale signor La Cecilia, ed annunziò le truppe
uscite dai quartieri ed esser pronte ad investire la Camera: giungono
altri uffiziali; tutti sono agitati dalla minaccia d'una violenza,
accorrono cittadini tutti in grave apprensione, comincia lo scompiglio
a impadronirsi degli animi: si grida doversi difendere la santa
proprietà della nazione nei Deputati del popolo: lo stato d'irritazione
è al colmo; varie sono le opinioni dei Deputati, ma trionfa quella
che il coraggio della Camera esser debbe coraggio civile, quindi dover
affrontare una violenza con dignità ed animo composto.
Ma le truppe uscivano ancora ed occupavano le piazze, quindi si lasciò
alla guardia nazionale che avesse operato da sè; d'altra parte per
la dignità del magistrato, ciascuno dei Deputati votò in disfavore
dell'ultima formula inviata dal re, per fargli intendere che fralle
deliberazioni civili è reato ingiusto prepotente lo schierare la
soldatesca, far balenare le bajonette, e che soldatesche e baionette
non valgono a far piegare lo spirito d'un collegio legislativo, che
anzi l'offesa dignità, e la minacciata libertà di deliberazione nuovo
coraggio infondono in anime libere.
Al calare delle guardie nazionali dalla Seduta le spie di Ferdinando
in uniforme nazionale gridano _alle barricate_; _barricate_ gridarono
alcuni soldati che si finsero disertori ed asserirono essere eguale lo
spirito della truppa intera: io stesso vidi un caporale dei cacciatori
brandire la sciabola e gridar _barricate_, _morte al tiranno_; queste
voci trovarono eco nello spirito dei giovani ardenti; i nuovi arrivati
replicavano l'invito medesimo: si mandò per braccia: si obbligarono
i facchini dei rioni pel trasporto di oggetti necessari all'uopo: si
trassero dalle case i muratori onde togliere le pietre della via e
farne parapetto: per mancanza d'uomini si fecero togliere dalle ultime
locande i dormienti, e con gran solerzia si diè opera alla costruzione
delle barricate: invano uomini assennati prevedendo le conseguenze di
un falso tentativo, o di una rivoluzione immatura, cercarono tutti gli
argomenti onde distogliere gli animi da questa attitudine minacciosa,
invano! chè le voci dei falsi declamatori fecero tornar inutili i
nostri sforzi.
In questo eransi veduti alcuni della squadra francese unirsi per la
formazione delle barricate, ed alcuni di questi s'illusero, ed illusero
i poveri Napolitani a segno da promettere lo sbarco di 4000 Francesi
con parco d'artiglieria; d'altra parte giungevano ad ogni istante altre
guardie invitate dalla _generale_ ed i regi declamatori procuravano
di tenere gli spiriti concitati: altri volontarii si presentarono
nell'idea che quella fosse una dimostrazione armata, di guisa che non
essendo disposti o da congiura o da allarme antecedente o da opinione
matura, pochi aveano munizione e scarsa. E quel che io scorsi nella
maggior parte della gioventù accorsa, si fu che in loro prevaleva la
risoluzione di fare una imponente dimostrazione contro l'attentato
alla Rappresentanza nazionale, anzichè animo deliberato a un tentativo
sanguinoso. Così un pugno d'uomini quasi inerme dovea affrontare la
ferocia di oltre a 15,000 soldati, e il fuoco delle castella e delle
altre artiglierie; castella e cannoni dovevano fulminare uomini che
erano sforniti di munizione tratti alla rete preparata dalla più
nefanda e diabolica malizia: non tentino i vili ed infami satelliti
di Ferdinando cercare di purgarlo dall'esecrazione che cielo e terra
gli fulmina contro; egli ha imposto alla Camera un giuramento contro
il mandato della nazione; esso ha schierato le sue inique falangi
per le vie quiete di Napoli durante una pacifica discussione, e
mentre insultava ed attentava così alla sicurezza ed alla libertà
della nazione, fè incitare al funesto ed intempestivo tentativo di
rivoluzione quelli che maggiormente risentivano l'ingiuria di questo
violento procedere. No, quando pendevano nell'alta Italia i destini
lombardi e di tutta la penisola, quando ivi si combatteva la guerra
santa dell'indipendenza lombarda e della nazionalità italiana, alcun
napolitano non avrebbe osato movere voci di sedizione e brandire la
spada della guerra civile, onde dare al tiranno appicco pel richiamo
delle truppe, e togliere alla difesa dei fratelli lombardi molte
migliaia di braccia; ciò sarebbe stato sommamente riprovevole, giacchè
avrebbe presentato una diversione al concentramento delle forze
italiane. I Napolitani col loro prudente aspettare e colla fiducia
riposta in una Camera eminentemente liberale ed in un ministero che
s'avea meritato il pubblico suffragio, avrebbero fatto che questi
elementi stessi cospirassero allo sviluppamento ed al consolidamento
delle libere istituzioni: ma fu la malizia di Ferdinando atroce e
sanguinaria che maturò la caduta del ministero, la dissoluzione della
Camera, ed il ritorno alla schiavitù ed alla barbarie passata, colla
strage de' buoni e degli arditi che in quel giorno per la solennità
eran raccolti in Napoli: oggi col cannone domani coll'arbitrio di
Borbonici decreti. — Fra poco vedremo come il colpo cadde ed atroce
e sanguinoso, come violenti decreti spogliarono la capitale d'ogni
franchigia.... ma la Provvidenza salvò dall'eccidio gran parte dei
suoi, ai quali affidò l'arca santissima della libertà; nò, i suoi fini
non son raggiunti; l'offesa dignità delle province, e la guerra che i
prodi Calabresi combattono chiaramente dimostrano che il genio italiano
vive nei popoli delle Sicilie, e le arti d'inferno non fecero che farlo
sorgere più vigoroso e sublime dalle stragi del 15 maggio 1848.
Erano le truppe per le piazze: la loro presenza avea portato
l'irritazione negli animi, la loro presenza avrebbe ritardato o
impedito la formazione delle barricate, quindi bisognava che fossero
rientrate. E Ferdinando fè correr voce che le Camere si sarebbero
aperte ed il giuramento si sarebbe differito: questo partito fu ad
unanimità di voti abbracciato, e così la seduta si sciolse che già spuntava l'alba del giorno 15; alba di sangue.
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