2015년 10월 28일 수요일

Storia del Quindici Maggio in Napoli 6

Storia del Quindici Maggio in Napoli 6


X
 
SANTILLI.
 
 
Nel dì 14 maggio Angelo Santilli predicava al popolo napolitano per
l'ultima volta, ed il popolo commosso plaudiva e piangeva; era la luce
purissima del Vangelo che splendeva ad essi; era quel raggio celestiale
che Dio ha lasciato nell'anima delle sue creature, onde talvolta
riflettervi la sua immagine, fecondare lo spirito, e fargli sentire a
traverso dei suoi vizii quale Ospite chiuda in sè: oh come è potente
il grido del filosofo che del liberalismo forma una religione, e alla
religione del liberalismo ognuno sente essere il più sacro dei doveri
offerire il suo braccio sul campo di battaglia e sè stesso al martirio.
Angelo Santilli maledetto e odiato dal tiranno come quello che gli
rapiva degli schiavi ad ogni sermone, fu designato alla strage. Un non
so che di sublime e di malinconico in quel cuore palpitante d'amore
di libertà e di religione, si diffondeva in quel dì nelle sue parole
ispirate.
 
Tornato a casa ammalò e tutto il quattordici e la notte appresso fu
sorpreso da parossismo di febbre ardentissima. In letto giaceva quando
sentì i colpi del cannone e della fucilata a segno che l'alterazione
delle sue facoltà appena gli fè intendere l'olocausto che s'immolava
alla tirannide. Due giovani fratelli, la sorella, la fantesca atterriti
dal moschettio che seguiva sulla via, se ne stavano intorno al suo
letto spaventati. Le sue finestre eran chiuse, da esse non s'era fatto
fuoco, non v'era motivo all'assassinio, ma gli ordini erano stati
precisi, ed indicato l'infelice a segno, che s'andò cercando la casa
del Santilli: si ruppe la porta del palazzo e violentando l'entrata
delle sue stanze, si fè fuoco su di tutti; il colpo che toccò ad Angelo
Santilli fu aggiustato con sicurezza e prevenzione, così ferito al
cuore morì sull'istante. Tolto dal suo letto insanguinato fu trascinato
fino alle scale ove fu lasciato; due fratelli ed una sorella subirono
la sorte medesima, e la fantesca mortalmente ferita, morì dopo alcuni
giorni allo spedale dei così detti Pellegrini.
 
Così veniva trucidato Angelo Santilli nella verde età di 27 anni!
 
 
 
 
XI
 
PALAZZO GRAVINA.
 
 
Questo palagio da alcuni anni di pertinenza della casa Ricciardi,
può dirsi essere stato l'unico in Napoli che avesse conservato maestà
d'architettura di marmi e di fregi, e l'indole degli antichi palagi
feudali: di un perfetto quadrato isolavasi da tutti i lati dalle
contigue abitazioni. Replico in arte s'era detto modello, se non che
da alcuni anni lo spirito d'economia invalso in tutti i fabbricati
ne avea fatto sollevare l'altezza delle mure ed aumentarne i piani,
come a terreno eransi aperto dei magazzini da locarsi a merciaiuoli ed
artigiani. Quivi si attacca un fuoco vivissimo, ed ivi guardia reale
e svizzeri patirono considerevoli perdite a segno che un solo palagio
ben tre volte li fè retrocedere, se non che il sopravvenire continuo
di rinforzi ed il cannone che cominciò a battere contro alla porta
principale fecero infine cadere il palazzo nelle mani della regia
truppa: da un'altra parte fu lanciata sul tetto una palla incendiaria
che al momento sortì il suo effetto. Il tetto cominciò ad ardere e
le fiamme ben tosto si comunicarono agli appartamenti sottoposti;
nell'istesso tempo gli scherani di Borbone tutto manomettevano nelle
case, e siccome grande era il numero degl'inquilini così le vittime
furono molte: si saccheggiava e s'uccideva spietatamente; la signora
Ferrara una delle abitatrici del palazzo promise ai soldati che
s'introducevano negli appartamenti dar loro gemme di sommo valore a
condizione che sarebbe stata rispettata la vita dei tre componenti
della sua famiglia cioè: sè stessa, suo marito, sua madre: così
convenuto ella tolse da un armadio alcune cassette di gioje il cui
valore era di molte migliaja di scudi: essi avidamente le presero.
Però se era soddisfatta la loro cupidigia, non lo era del pari la
ferocia: quindi impugnano le armi contro la di lei madre e marito e
barbaramente li trucidano: ella restò sbalordita, stupida, demente:
il suo stato non ben le permise d'intendere tutta l'atrocità della
scena che le era sott'occhio... e smarrita e senza moto guardava i due
corpi carissimi nuotanti nel sangue, allorchè ode i passi affrettati
d'altra gente armata... a questi mette un grido e corre alla finestra:
i lazzaroni che eran giù si commuovono allo stato di quel terrore e
presentano ad essa le loro braccia e l'invitano a slanciarvisi, partito
che ella accettò; quantunque fosse raccolta dalle braccia del popolo
impietosito pure l'altezza del piano non permise che impunemente
avesse tentato un passo così disperato e si fratturò una gamba. Queste
scene di orrenda barbarie seguirono in molti punti del palazzo di
cui già le fiamme si erano affatto impadronite. Quei disgraziati che
tentavano salvarsi dalle fiamme erano ricacciati nell'incendio dai
colpi dei circostanti soldati che si beavano dello spettacolo. Di
quel magnifico edificio non sono in piedi che le mura ed arse così,
che si dubita di ricostruzione; e per parecchi giorni dalle macerie si
scavarono cadaveri mezzo arsi, ed ossa disgiunte e sparse: altri erano
in cenere ed invano si fa ricerca delle spoglie mortali dei Ferrara
giacchè n'eran disparite fin le vestigia.
 
 
 
 
XII
 
IL GENERALE ROBERTI.
 
 
Mentre lo spirito inorridito è ad ogni istante assalito da atroci
stragi e neri tradimenti; mentre la penna quasi si ricusa ad una
descrizione d'orrore al cospetto d'un principe che induce il suo popolo
in un laccio funesto; d'un generale che spergiura, d'una armata che
scanna i fratelli, di repubblicani elveti che fan risorger la tirannide
e il dispotismo sui cadaveri dei liberali da loro scannati, pure su
questa via d'esecrazione ci occorre un punto di riposo, un atto sublime
di virtù siccome una zolla di rose nell'aridità d'un deserto. Il fatto
che riporto non è certamente al suo luogo, considerato in ordine di
tempo, ma non ho saputo ove collocarlo prima di questo punto.
 
Il general Roberti comandante il castello di S. Elmo fortezza che
in ispecial guisa sovrasta a Napoli, fu nel 14 maggio chiamato da
Ferdinando che in atto di somma confidenza gli disse. _Mio fedele,
domani i tuoi cannoni dovranno tuonare._ Sì, rispose Roberti, _onde
festeggiare l'inaugurazione della Rappresentanza nazionale: ebbene,
non saranno stati impiegati mai per causa più decorosa._ _Ma che mi
vai impastocchiando di Rappresentanza e del diavolo che se la porti?
domani mi occorrerà di punire alcuni facinorosi._ _Ed in qual guisa?_
_Coi tuoi cannoni ed i tuoi mortai._ _O mio re_, ripiglia il
generoso soldato, _indicatemi lo straniero contro di cui impiegare la
mia sapienza di generale, e la mia virtù di soldato, ed io non avrò
mai fatto opera più gradita al mio cuore, ma contro le mura della
patria, oh! no mai_, risolutamente conchiuse. _Ma io ti conosceva,
per aspettarmi questa risposta_, rispose Ferdinando, _sei un eroe_, e
se lo strinse al cuore: con che cuore ognuno intende.
 
Noi ammiriamo la generosa fermezza di Roberti, e mentre avvertiamo ogni
onorato cittadino che ne imiti la virtù sconosciuta dal restante della
truppa, pure gli ricordiamo che se avesse mai a scoprire un facinoroso
che cospiri contro la patria, lo sveli tosto alla nazione. L'eccessiva
lealtà di Roberti, e la poca certezza di un domani minaccioso lo fecero
tacere, ma se egli fosse corso col suo credito alla Camera e sin dal
bel principio l'avesse tenuta prevenuta contro ciò che si macchinava
in danno della nazione, si avrebbero potuto con facilità impedire gli
orrori avvenuti; ma, replico, la somma lealtà di Roberti non gli fè
nemmeno supporre le atrocità che designava il Borbone. Io ritorno sul
principio, che è sacro dovere del cittadino indicare l'inimico comune,
sia che oscuro cospiratore, sia che regnante si fosse. Innanzi al bene
della patria non v'ha re, siccome nulla sta innanzi d'Iddio.
 
 
 
 
XIII
 
IL 16 MAGGIO.
 
 
La città come terra di conquista, come espugnata, è in potere
della milizia: per la via di Toledo sono schierate e bivaccate le
soldatesche, i cannoni sono puntati sullo sbocco dei vicoli, grosse
pattuglie praticano per gli anditi segreti. Intanto la banda militare
festivamente eseguisce dei concerti, mentre la città atterrita
insanguinata offre il più lugubre spettacolo su tutti i balconi
v'ha un panno bianco; sopra altri, e questi sono i più, stan materasse
lacere dai colpi ivi drizzati, ed abbandonati così dopo la strage: le
invetriate ed i legni dei balconi fracassati, le case deserte, le mura
percosse dal cannone, le porte dei palagi traforate ed arse: le vie
sono sparse di ruderi e frantumi di calcina, di sassi e delle barricate
incendiate:... oh qual veste d'orrore nel dì che dovea seguire la
solenne inaugurazione!
 
Intanto la plebe è tornata a tutti i suoi vizii, e quelle poche
pratiche virtuose di cui avea dato prove fin qui, è molla che compressa
spicca con energia raddoppiata. Il più sucido e laido popolaccio
s'impadronisce d'una bandiera regia e percorre trionfalmente la città;
è un'orda strabocchevole, un'orda che deve far terrore: la più lieve
occasione può far rinnovellare le nefandità del giorno antecedente.
Escono le meretrici dai sozzi loro abituri e colla feccia de' ladri
intrecciano danze oscene per le vie sul ritmo delle bande musicali: i
soldati mescono il vino e tutti bevono; nè vale a sminuire la libidine
di quest'orgia il continuo passaggio di carri funebri che van togliendo
gli uccisi delle case, ed il passaggio de' feriti.
 
Tutti quelli che camminano per le vie d'aspetto decente sono arrestati
ed obbligati a gridare _viva il re_. Modi più violenti si usano contro
coloro che han peli sulla faccia giacchè la marmaglia osa metter loro
le mani sulla faccia e strapparne i baffi di guisa che in un giorno
solo tutti color che aveano barba, la raderono.
 
Intanto queste masse luride si gettano innanzi il palazzo reale e quivi
intrecciano nuova danza, ed evocano il loro re che esce sul balcone e
si delizia delle ovazioni della plebe, dei monelli e delle meretrici...
E ben di queste sole classi dovrebbe essere composto un popolo,
governato da Ferdinando. In mezzo a questo turpe festeggiamento scorse
il mattino, ed alcune ore pomeridiane. Intanto il re non contento
di ringraziare dall'alto della sua reggia i suoi fidi, risolve di
uscire e popolarmente scorrere la città il giorno antecedente da lui
cannoneggiata: invita l'ammiraglio della squadra francese ancorata in
rada ad accompagnarlo nella passeggiata, ed il signor Baudin accetta:
ed insieme festeggiati dalle laide turbe si portano nel tempio della
Madonna del Carmine, a ringraziare la divinità del trionfo ottenuto! Oh
Signore, i vostri templi sono stati oltraggiati da profanazione così
atroce! un tiranno che conduce il suo popolo in un orribile laccio,
lo lascia scannare, e compie così le sue mire nefande ed il giorno
seguente viene nel tempio Tuo, nel Tuo santuario a rendere mercede a Te!!!

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