2015년 10월 28일 수요일

Storia del Quindici Maggio in Napoli 2

Storia del Quindici Maggio in Napoli 2



Le cose andavan male per esso: in tutti i punti del regno si
tumultuava: ei ripartiva le sue forze per le province, ma non
bastavano: la polizia spogliata della sua forza morale se ne
giaceva inerte; Napoli vedea di dì in dì moltiplicati i seguaci del
liberalismo, ed inermi migliaja ad alta voce reclamavano riforme.
Nel 27 gennajo si fè una sontuosa dimostrazione; vi prese parte
l'ultima plebe, la nobiltà, preti, professori, artigiani e mercatanti,
era tutto un paese che si commovea; innanzi agli occhi gli stava
l'esempio siciliano troppo recente; ma ei tentò un ultimo sforzo, fè
uscire il cannone e schierare la truppa, e la turba correa al soldato
e l'addimandava fratello, e raddoppiava la festa al cospetto del
cannone e della miccia fumante... seguì il 28, giorno di commozione,
di oscillazione: nel dì precedente il Borbone, avea gittato il guanto
di sfida, il popolo lo avea raccolto... S'aprì il dì 29 con un sole
fulgidissimo ed un cielo azzurro e le prime ore del mattino trascorsero
colla trepida espettazione di eventi decisivi.
 
 
 
 
III
 
COSTITUZIONE DATA DA FERDINANDO BORBONE.
 
 
E Ferdinando diè una Costituzione. Fu spontaneo l'atto col quale esso
prometteva dividere la sovranità col popolo accordandogli due Camere
legislative? La nostra illusione dovea poco durare, ma ebbri di una
libertà che non avea costato sangue, e sperando che una volta un re
avrebbe potuto, rovesciando un colosso cancrenoso di politica tortuosa
e perfida, coll'affidarsi all'indole generosa del popolo interrogando
i suoi bisogni ed operosamente cospirando alla sua felicità, ottenere
la propria sicurezza, che mal si cerca lasciandosi fronteggiare dal
cannone, e cingendosi da baionette: non potemmo credere per un istante
che le oppressioni e i delitti del governo avessero potuto esser
cagionate da un ministro prepotente e criminoso; il languore dello
Stato, le oscillazioni della finanza, il depauperamento delle province
da ministri ingordi e retrogradi: che costoro avesser con malefizi
alterato il buon vedere del re, che al più avesse potuto essere
accagionato di indolente fiducia; sì, io stesso non immaginava mai che
fra le dimostrazioni delle masse entusiasmate egli maturasse il disegno
di retribuirle di tradimento: noi plaudivamo; come erano sinceri i
nostri voti! come mi pareva invidiabile la posizione d'un re che può
innalzare i popoli a distinto incivilimento, a potenza, a libertà,
ed innalzare a sè stesso un monumento che i secoli non crolleranno
mai, perchè consacrato nella pagina dell'umanità. Sì, egli disegnava,
preparava la miseria di quelle popolazioni che lo festeggiavano.
 
Eccolo omai solo. Il vecchio Governo più che dimesso è disfatto:
eccolo solo a lui spetterà la gloria o l'infamia delle sue opere: è
opportunissimo il momento romperà le vecchie simpatie dell'Austria?
concorrerà al risorgimento italiano coi suoi treni formidabili e il suo
esercito disciplinatissimo? sentirà il suo cuore qual differenza passi
tra il regnare pel plauso d'uomini liberi, o per lo spavento degli
schiavi? vediamo quel che fa: e da sè solo egli è alla ricostruzione
dell'edifizio. Si mette in piedi un nuovo ministero. Osservate;
il primo passo che dà Ferdinando è quello di smembrare i comitati,
togliere i capi che regolavano la rivoluzione, collocarli nella nuova
amministrazione, e metterseli dattorno. Vedemmo Bozzelli, fatto
ministro dello interno e della polizia, adire ai consigli della corte
e dello Stato. Fu grave fallo pel nuovo ministro il separarsi dalle
masse che avean fiducia in lui e far causa diversa da esse: dovea
pensare che la macchina guasta e pesante dell'amministrazione sarebbe
andata con troppa lentezza, ed esso nel caos delle faccende, tralle
fatiche del riordinamento, tra i lunghissimi consigli di Stato,
non avrebbe potuto usare di quella vigoria necessaria a tant'uopo.
Un comitato non dovrebbe scomporsi mai per accettar cariche nel
nuovo governo; invece nel riordinamento delle nuove cose resterebbe
imparziale spettatore, e terrebbe sempre vigoroso e potente il
partito dell'opposizione; Bozzelli da privato avrebbe imposto al nuovo
ministero e col favore del popolo avrebbe dato al governo un forte
impulso, fino a che formate le leggi, istruite le plebi, fatti potenti
i cittadini, sarebbero riusciti tardi e vani gl'intrighi e le malizie
dei gabinetti; egli incorse in grave colpa; ed io ammetto che in
buona fede errò quando accettò la carica di ministro, ma l'errore fu
gravissimo per le conseguenze, giacchè adì il Consiglio ed il re, nè
pensava di che pericolo fosse lo splendore d'una corte corrotta! come
fan traviare le blandizie d'un re! quale influenza malefica esercita
sui migliori! e Bozzelli, non migliore di tutti coloro che hanno
frequentato le corti, se errava in buona fede dapprima, in breve si
pervertì: e gli ultimi fatti indicano con qual coscienza avesse egli
operato. Se ne eccettui che si lasciava vedere un po' più degli altri
suoi antecessori, e qualche cosa di familiare con cui diè udienza, egli
non si distinse nel breve spazio del suo primo ministero: egli fu lento
e retrogrado; non so se dapprima lo voleva essere, ma lo dovea: egli
vedea tutti i giorni Ferdinando che lo ricevea con carezze e _dandogli
i sigari di sua mano_. Arti meretricie! L'organizzamento della
guardia nazionale fu incompleto non fu armata che in parte e se ne
addebitò la deficienza de' fucili; si fecero delle pratiche, per averne
dalla Francia, se ne commisero 50,000 nel mese di gennajo, ed oggi che
scrivo (luglio) si aspettano ancora. Per lui tornarono vane le pratiche
d'accomodamento che si proponevano tra Napoli e Sicilia; egli fu lento,
indeciso, la sua politica fu incerta, ma così doveva condursi, giacchè
Ferdinando, di cui egli era l'organo, aspettava che il cannone avesse
dovuto esser l'arbitro sommo delle differenze tra popolo e re; no, un
trattato decisivo non era nei suoi divisamenti. Il reclamo potente del
popolo dimostrò chiaramente l'indignazione contro il ministro che nato
da esso così lo retribuiva.
 
Allora si avvide Ferdinando che non bastava al popolo napolitano
una Costituzione come quella che aveva dato. Questi con tutti i suoi
sforzi s'inoltrava nella via dell'incivilimento e della libertà: la
Costituzione co' suoi privilegi portava, libertà di reclamo, libertà
di stampa, libertà di associazione; coi reclami la volontà potente
della nazione lo costringeva ad operare e ad accordare, l'espulsione
dei gesuiti ch'ei mai non avrebbe ordinato da sè stesso, e l'invio in
Lombardia di spedizioni crociate. Ei non sentiva, non voleva, abborriva
da questa guerra: egli legato ai tedeschi di stretto e regio patto,
e da simpatia, egli che avea sorbito la politica di quella corte,
egli marito ad una austriaca, non poteva decidersi a mandare i suoi
cannoni, le sue navi, i suoi reggimenti contro l'esercito austriaco.
Ben'egli inviò alcune migliaia di uomini, ma lentissimi furono i
movimenti dell'armata a segno che dopo lungo viaggio giunse, ed appena
giunta tornossene di nuovo. La libera stampa smascherava tutti i
vizii di un ministero che s'era fatto l'organo del despota, oltre a
ciò coll'invito della satira e del riso diffondeva per tutte le classi
sensi di liberalismo: v'era chi predicava all'ultimo popolo onde
educarlo alle libere istituzioni e fare ad esso intenderne i vantaggi
eran due uno, un tal Viscusi, uomo che oltre ad un'eloquenza plebea
non aveva altro merito; costui alle volte arringava il popolo in sulle
generali, e senza farlo migliore lo facea piegare al suo intendimento,
gli si mettea a capo e percorreva con esso la città; aggiungi che
la qualità di gran popolano _gli dava adito alla corte, ed il re lo
vedea spessissimo_ quest'ultima circostanza farà conoscere appieno
l'animo e le massime di costui. L'altro fu Angiolo Santilli nato
in Terra di Lavoro, ricco di dottrine politiche, che ad una veemente
e generosa eloquenza accoppiava la limpidezza delle idee, l'onestà di
un'anima vergine e le fiamme d'un cuor liberalissimo. Costui toccava le
corde dei cuori: costui faceva alla plebe la spiegazione del vangelo
e della libertà: religione e liberalismo, fratellanza e amore, ecco i
santi principii su cui si volgeano le sue prediche che commovevano ed
istruivano, quelle prediche nelle quali trionfando chiarezza e forza
di principio, sono adatte all'intendimento di tutte le classi. Giovane
infelice! il tuo assassinio e quello di tanti virtuosi, ha provocato
l'ira divina, ha aguzzato le ire cittadine che già s'aggravano sul
tiranno e lo minacciano. Angiolo Santilli, genio nato a dirozzare
e ad illuminare la plebe napolitana, era una delle cause primarie
che fecero vedere al re come le sue malizie erano sventate, come la
sola buona fede ed il buon volere in un principe può farlo andare
d'accordo con un popolo libero ed avviato pel completo incivilimento:
e Ferdinando designò una controrivoluzione e si diè all'opera. Più
volte fè correre sinistre voci d'allarme e fè uscire truppe e cannoni;
altra volta dietro l'espulsione dei gesuiti incitò la plebe per mezzo
dei suoi emissarii facendo credere che si dimandava la dissoluzione
del convento dei Carmelitani, e l'abolizione del santuario la di cui
custodia a quei padri è affidata: questa mena ebbe effetto, giacchè i
lazzari levati in massa e frementi si gittarono per le vie e giunsero
innanzi il palazzo reale usando violenze a quanti scontravano per le
vie e venendo a conflitto colla guardia nazionale. Poco mancò che
questo tentativo non avesse raggiunto il suo scopo. Ma la guardia
nazionale sventò le congiure e sorprese vari carri di sassi con
superficie formata da strati di aranci; così il buon talento dei
cittadini e la vigilanza della guardia civica non gli diè agio per
lungo tratto di mettere ad esecuzione i suoi disegni di sangue, ed egli
ne fremè, e su quella faccia di reprobo il Signore lasciava le tracce
del suo infernale rancore: in ultimo egli risolse di assumere esso
medesimo il carico d'una controrivoluzione e ne aspettò il momento.
Intanto con ogni blandizia procurò prepararsi gli animi dei suoi
soldati parlava ad essi familiarmente, accordava ogni petizione,
dava tutto quello che gli chiedevano e così, lasciava loro travedere,
avvicinarsi occasione in cui avrebbero avuto da fare; star pronti; come
star pronto egli stesso alle largizioni ed ai premii.
 
Nè men pensiero gli davano le truppe spedite in Lombardia: aveva
designato il tiranno con quelle fare alcun colpo che gravemente
danneggiasse la cosa italiana. Egli pensava: quindicimila uomini o
che proditoriamente o inerti o a rilento operassero, precipitare
le cose o arrestarne il corso: in ultimo avendo il disopra casa
d'Austria, egli conchiudeva, quelle truppe sarebbero state l'ultimo
crollo alla causa italiana, quindi trionfalmente avrebbero percorse
le terre soggiogate ed una buona mano di Tedeschi (giacchè Ferdinando
aspettava grossissimi rinforzi che la testa piccolissima dell'alleato
confederato imperatore promettea) colle truppe sarebbero tornati in
Napoli ove egli avrebbe con prudenza disposte le cose. Quindi quella
Costituzione che era ai suoi occhi un pensiero molestissimo, sarebbe
stata revocata, oppure ristretta ai limiti angusti delle Costituzioni
della decrepita Europa, cioè a quelle Costituzioni che a fronte del
despota non fanno altro che accusarlo d'illegalità, senza prevenirne le
violenze, o validamente opporsi al suo arbitrio, quelle Costituzioni
che l'incivilimento e la giovine Italia non può riconoscere, poichè
ha mostrato come sà spargere il sangue. I sacrificii cui volenti si
sottopongono tanti generosi è la prova della sviluppata potenza degli
animi italiani, e l'iniziativa d'istituzioni liberissime a cui sono
avviati. Ma codesti disegni gli vennero attraversati: giacchè se è
maravigliosa la costante attività del tiranno con cui và rannodando le
fila che qua e là si spezzano, sublime è la mano del Signore che non
gli permette che trionfino le arti subdole ed infernali quando i popoli
contro i quali congiura, sono virtuosi ed arditi. Re Ferdinando
s'ingannava quando tenea per certo essere quelle truppe stromento di
trionfo alla causa tedesca; il comandante supremo di quelle era il
general Pepe sul conto del quale non dirò altro che di animo ardente
e vigoroso, accagionato dei malaugurati avvenimenti del 1821, ad ogni
costo volea riscattarsi nella pubblica opinione col battersi contro
quel tedesco contro cui nol potè dianzi, e provare qui, in Italia,
al cospetto del cielo medesimo, che non animo italiano gli mancava,
nè animo agl'Italiani mancava, ma dal dito di Dio non esser indicata
quella come l'ora del nostro compiuto riscatto. È dettato notissimo,
che Dio non paga il sabato, e mal s'appongono quei tiranni che, passato
il sabato, credono per sempre passato il giorno dell'ira celeste e
della redenzione dei popoli. Le truppe napoletane una volta tolte alle
sozzure della loro giornata, ed all'influenza malefica che esercita la
presenza del loro corruttore, le arti di quest'ultimo riescono tarde,
e l'aspetto del territorio italiano e dei generosi suoi popoli sarebbe
stato per essi un battesimo, sarebbe cominciata una nuova vita, avrebbe
trionfato la sublime scintilla che il Signore diè alle anime italiane,
e l'incontrastabile valore dei Napoletani avrebbe trovato nuova energia
nello sviluppo dei sacri principii ai quali Ferdinando II preclude il
loro intelletto: di tuttociò egli si avvide, e capì ch'era ben tempo di
richiamarle. Il pretesto? un voluto tentativo dei repubblicani, quindi ansiosamente ne aspettò il momento.

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