2015년 5월 28일 목요일

Passeggiate per l'Italia 12

Passeggiate per l'Italia 12


Si leggano queste poesie e si vedrà di quanta nobile, fine e delicata
cultura di cuore è capace questo popolo che pure è costretto a vivere
sotto così dolorose condizioni politiche e cittadine, e quasi senza
istruzione di sorta. Si ripete fino alla nausea il fatto di viaggiatori
di tutte le parti del mondo che hanno veduto l'Italia solo dalla
diligenza, trattenendovisi un paio di mesi o solamente un paio di
settimane e percorrendola solo sulle grandi strade maestre, e poi
scrivono dei grossi volumi sulle condizioni di questo popolo, ripetendo
continuamente le stesse frasi, forse per vendicarsi di qualche brutto
tiro giuocato loro dagli albergatori di campagna. Ed essi conoscono
l'Italia, come conosce Roma chi l'ha veduta una sola volta di notte
alla luce di uno zolfanello. Per imparare a conoscere un popolo, si
deve saper scrivere e saper parlare con esso, e si deve frequentarlo
nelle sue feste e nel suo lavoro, nei monti e nelle valli. La poesia
popolare è una landa che la civiltà falsificante non ha ancora
profanata.
 
Le stesse sensazioni, lo stesso concetto degli uomini e delle cose,
la stessa poetica rappresentazione delle cose, lo stesso culto dei
sentimenti, specialmente riguardo alla cavalleresca galanteria verso
le donne, dominano in questi canti popolari e la stessa espressione
del pensiero poetico si trova in Toscana, nel Lazio, nella Corsica,
in Sardegna ed in Sicilia. Questo culto poetico procede con la stessa
unità, come il culto religioso; e come l'anima popolare mostra ovunque
in Italia le stesse tendenze, così anche le forme poetiche sono
pressochè uguali anche a traverso qualche particolarità locale. Le
_stanze_ della Toscana hanno per esempio, oltre le modificazioni già
accennate, la caratteristica di ripetere il concetto principale, ciò
che dà loro una bella impronta popolare. Il _ritornare_ sembra che
sia proprio caratteristico della Toscana. Ma nell'insieme la poesia
popolare italiana ha un comune stile architettonico.
 
La forma italiana è più ricca di quella esclusivamente trocaica degli
Spagnuoli e di quella così monotona nell'insieme dei Serbi e dei
Greci. La poesia popolare italiana ha la forma della stanza epica,
e rappresenta la base immediata della poesia letteraria, che nei
suoi momenti più gloriosi non è altro che la perfezione delle stanze
popolari: un fatto questo che è della più alta importanza perchè
dimostra che in Italia la poesia letteraria e quella popolare non sono
divise da nessun abisso. Da noi in Germania le poesie di Schiller e di
Goethe, come prodotti di una perfetta cultura letteraria, sono molto
lontane da quegli strati in cui fiorisce la canzone popolare; in Italia
invece i capolavori perfetti del Tasso e dell'Ariosto non sono affatto
separati dalle regioni che hanno dato origine alle poesie raccolte
dal Tigri e dal Vigo. In molte ottave popolari io trovo frequentemente
concetti che ho già veduti nella poesia letteraria. E quindi od essi
sono proprietà originaria del popolo, od il poeta popolare li prende
a prestito dall'alta poesia perchè non discordanti da tutto l'insieme
della vena popolare. Per esempio in una canzone di Raffadali trovo:
 
Vinissi chiddu patri chi ti fici,
Fari non nni po' chiù, persi la stampa.
 
ed Ariosto dice:
 
Natura il fece, e poi ruppe lo stampo.
 
Un'altra canzone comincia col noto verso di Dante:
 
Donni ch'aviti 'ntellettu d'amuri.
 
Inoltre vi è un'altra fonte d'intimi rapporti in questo paese tra la
poesia popolare e quella letteraria, fonte che deriva dalla natura
stessa del popolo. Infatti anche la poesia popolare degli Italiani ha
in sè qualche cosa di letterario, perchè il popolo italiano è artista
per natura.
 
Il senso della bellezza delle forme diffuso in tutte le classi, il
fine gusto per la misura, la grazia naturale dei movimenti, il modo di
vestire, il contegno che rendono gli Italiani (e questo lo ammettono
anche i loro più acri nemici) molto superiori a tutti gli altri popoli,
si manifestano meglio che altrove nella canzone popolare. In essa si
riscontra un'arte di poetare che è divenuta una seconda natura, oppure
una natura che senza sforzo si trasforma in arte. La poesia elevata
non è che il canto popolare meglio abbigliato, e le ottave popolari
composte non senza arte, risplendenti di metafore belle e talvolta
anche meravigliose, somigliano alle belle donne della campagna quando,
nei giorni di festa, si adornano con orecchini rilucenti, con collane
di coralli e con anelli d'oro.
 
La poesia popolare italiana è ricchissima d'immagini, ed offre ai
poeti elevati un tesoro inesauribile in cui essi possono attingere,
tanto più che la metafora, questa polvere variopinta che riveste le
ali della Musa, si è quasi dispersa nella loro poesia moderna. La
metafora è qualche cosa di più di un semplice ornato nell'architettura
di una poesia; essa è il mutevole spirito della fantasia che dà bella
veste ai pensieri, che toglie alla rappresentazione delle cose la sua
dura uniformità, che le rende poetiche e le mette in rapporto con la
vita morale e materiale. La metafora riposa nel senso della natura
e dà significato agli innumerevoli collegamenti che sono in essa.
Il poeta che lavora chiuso nel suo studio ha difficoltà a trovare le
metafore, mentre per un poeta popolare è facilissimo, e sbaglierà solo
se ne accumula troppe. Un poeta serbo paragona con bella immagine, le
sopracciglia della donna amata alle nere ali aperte di una rondine;
un poeta còrso dice che il cuore di un bandito è diventato per l'odio
così piccolo, come una palla di fucile; un poeta siciliano chiede alla
sua bella che sciolga i suoi capelli e li faccia fluttuare fuori della
finestra, come una scala di seta. Queste immagini appaiono qua e là
come fugaci meteore nella poesia letteraria, mentre il poeta popolare
le semina a piene mani come fiori di una siepe vivente.
 
Quest'arte di personificare e di dipingere poeticamente le cose, è
in generale un dono della poesia naturale, specialmente nel Sud ed in
Oriente, e gli Italiani a questa qualità aggiungono anche la sottile
e trasparente chiarezza dell'ingegno, ed anche una natura arguta che
si diletta delle antitesi; di modo che la loro poesia popolare si
avvicina assai a quella letteraria. L'Italiano è per eccellenza un
logico, un abile dialettico, un avvocato nato, un sofista; non c'è
niente di vago nella sua fantasia, non conosce il sentimentalismo,
nè le mezze tinte, nè l'ansioso divenire e svilupparsi degli elementi
della vita; così come il suo anno non conosce la lunga primavera, nè il
suo giorno conosce il lungo crepuscolo. Le sue sensazioni sono estreme
e pronte e guidate dal pratico impulso di una volontà cosciente e non
dal desiderio doloroso. L'oscillare in una pena incerta che come un
essenziale elemento della poesia nordica, le dà gli aspetti bellissimi
di un tramonto, è interamente sconosciuto agli Italiani. Il Vigo
per formare la sua raccolta ha chiesto, bene specificatamente, canti
d'amore, di odio, di disprezzo, di gelosia, di abbandono, di lontananza
e di nozze, e sono sicuro che un raccoglitore tedesco non avrebbe
domandato tali motivi, mentre avrebbe trovato un numero incalcolabile
di canzoni esprimenti sentimenti ed aspirazioni vaghe.
 
Nella poesia popolare italiana il concetto chiaro e la coscienza dello
scopo frenano e limitano le sensazioni. Essa quindi non è lirica e
musicale secondo le nostre idee, ma ha sempre qualche cosa di epico e
di rappresentativo. La poesia popolare nordica è ricca di sentimento
e di pensiero. La meridionale è graziosa ed arguta. La quantità di
trovate e di motivi originali è meravigliosa e con tutto ciò rimane
l'ingenua espressione dell'anima di un popolo che è bello, vivace ed
arguto per natura. Io ho letto attentamente le due raccolte, la toscana
e la siciliana, e le ho trovate tutte e due ugualmente forti nelle
qualità sopra accennate. La ricchezza di motivi è ammirevole in tutte
e due; gli eterni, e semplici stati del cuore vi sono continuamente
ripetuti con nuove e incantevoli immagini. Tuttavia a me pare, e non
ho paura di confessarlo al Vigo, che il canto popolare toscano sia più
grazioso, più fiorito e più dolce di quello siciliano. Quantunque la
raccolta siciliana contenga molte canzoni straordinariamente delicate,
pure nell'insieme ne trovo di più nella raccolta toscana.
 
La poesia toscana ha tinte così delicate come quelle dei pittori di
Siena e di Fiesole ed un movimento così bello come lo hanno le _Grazie_
di Lippi, Botticelli e Ghirlandaio. E ciò non è opera solamente del
melodioso dialetto che si parla sulle rive dell'Arno e dell'Ombrone, ma
anche del temperamento degli uomini che in Toscana è più dolce ed in
Sicilia più energico. La canzone popolare toscana è molto più lirica
di quella siciliana, e quindi si accosta di più alla nostra poesia
tedesca; ma è anche più libera da regole; la siciliana invece ha forme
più artistiche e letterarie. Molte canzoni delle due raccolte hanno uno
stesso motivo ed uno sviluppo quasi uguale, ed è difficile riconoscere
se è la Musa toscana che è penetrata in Sicilia, o viceversa.
 
Mi limito a tradurre solo qualche ottava di questa bella raccolta
siciliana, cercando di conservare per quanto è possibile l'originaria
spontaneità e rinunciando così a crearmi la fama di un buon traduttore.
Anche l'abilità di un Rückert si troverebbe imbarazzata nel riprodurre
le quattro rime o le assonanze senza intaccare profondamente il senso e
l'andamento della canzone. Non è possibile rendere l'incanto di simili
poesie popolari; se ne può dare solo una pallida idea.
 
Ecco un'ottava che viene da Itala:
 
Acula, vai vulannu mari mari
Spetta quantu ti dicu dui palori,
Quantu ti scippu tri pinni d'ali,
Mi cci fazzu 'na littra a lu me' beni;
Tutta di sangu la vogghio lavari,
E ppi sigillu ci mettu lo cori;
Quannu la littra è spidduta di fari,
Acula, porticcilla a lu me' beni.
 
L'ottava seguente di Raffadali non è possibile tradurre con le rime,
perchè perderebbe tutta la sua bellezza. I versi siciliani terminano
di regola con la parola più significativa sulla quale cade l'accento
del pensiero e su cui riposa tutta la bellezza del verso. Ma per noi
Tedeschi è quasi impossibile terminare con quattro rime senza che le
parole rimate non sieno le più secondarie.
 
Bedda, ca tra li beddi si' fenici,
Nni lu me cori addumasti 'na lampa
Tu di li cori si' l'imperatrici,
E cu ti vidi pazziannu campa.
Zoccu si leggi a lu munnu o si dici,
E 'na faidda avanti a la to vampa;
Vinissi chiddu patri chi ti fici,
Fazi non nni pò chiù, persi la stampa.
 
Termino qui, augurando al signor Vigo una meritata fortuna alla sua
opera. Egli ha conservato uno dei più bei monumenti della letteratura
siciliana ed ha collocato un magnifico gioiello nel forziere in cui si
conservano i tesori della musa popolare che noi Tedeschi apprezziamo
tanto, sin dai tempi di Herder. È molto tempo che la letteratura
italiana non produce niente che possa anche lontanamente paragonarsi
a quanto hanno raccolto il Tigri e il Vigo dell'opera di pescatori, di
contadini e di altri operai. È un riposo il leggere quelle raccolte e
dimenticare lo sforzo delle povere rime stentate dei poeti letterati.
Gl'Italiani possono ascrivere a grande consolazione il fatto che queste
raccolte sieno venute alla luce in questo momento; perchè esse sono la
più splendida apologia dell'Italia, sono il parlamento popolare delle
Muse che innalza la sua voce anche all'estero, dove viene ascoltata con simpatia.

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