2015년 5월 28일 목요일

Passeggiate per l'Italia 7

Passeggiate per l'Italia 7



La testa gigantesca, a causa delle intemperie e della caduta, è
informe, ha capelli inanellati e un berretto frigio; le braccia sono
sollevate in alto per sostegno, come nelle cariatidi.
 
La statua è lunga quasi 30 palmi e rivela molto bene lo stile egiziano,
finendo in punta al basso, e tiene i piedi uniti. Ricorda perciò i
giganteschi monumenti di pietra di Menfi e di Tebe; e quella figura di
gigante dalla forma strana appare come il dio stesso che si sia posto a
dormire l'ultimo sonno sotto le rovine del suo tempio, e nè terremoti,
nè lotta di elementi, nè lo strepito della storia del genere umano lo
possono svegliare. Diodoro ha descritto la meravigliosa costruzione. I
templi sacri, e specialmente quello di Giove rivelano la bellezza della
città in quel tempo. Tutti gli altri sono bruciati o distrutti, perchè
Agrigento fu spogliata diverse volte. L'Olimpion rimase senza tetto,
perchè in quel mentre sopravvenne una guerra. Dopo la distruzione della
città, gli Agrigentini non vi tornarono per completarlo.
 
È lungo 340 piedi e largo 60 (secondo Winkelmann dev'essere 160) alto
120 senza le fondamenta. È il più grande di Sicilia e a cagione della
robusta costruzione può anche mettersi a paro di quelli forestieri.
Benchè l'edificio sia incompiuto, la sua pianta è chiara. Mentre in
altri la casa del tempio è circondata da sole pareti o attorno alla
divinità da colonne, questo ha ambedue i sostegni. All'esterno sono
poste delle colonne in giro alle pareti, nell'interno del tempio sono
quadrangolari. La parte esterna delle colonne, le cui scannellature
sono così larghe da potervi stare un uomo, ha una circonferenza di 20
piedi, quella interna 12 piedi. Nel frontone dalla parte di levante
era rappresentata la lotta dei giganti in bei rilievi, e dalla parte
di ponente la presa di Troia. Le figure sono conformi al carattere
di ogni protagonista. Le rovine e le fondamenta dell'Olimpion
sono sufficientemente autenticate dalle indicazioni di Diodoro. Il
tempio posava sopra cinque gradini come sopra un piedistallo ad esso
proporzionato; aveva una lunghezza di 417 palmi e una larghezza di 203.
Fu l'unico della specie dei pseudoperipteri; lo circondavano delle mura
nelle quali erano incastrate 14 mezze colonne scannellate, di grandi
proporzioni.
 
Alle mezze colonne all'esterno corrispondevano dei pilastri quadrati
all'interno. Dalla parte di levante, dove in altri si praticava
l'entrata del tempio, Serradifalco contò il numero dispari di 7 mezze
colonne, disposizione questa veramente fuori del comune.
 
Egli è d'opinione che l'entrata fosse dalla parte di levante e
l'architetto avesse tolto la colonna dispari del centro per avere
la porta da quella parte. Benchè la larghezza di essa nei templi
dorici fosse ordinariamente più grande del doppio intercolunnio,
l'architetto si ingegnò in quel modo, non interessando tale regola pel
pseudoperiptero.
 
L'interno era diviso in tre parti, nel senso della lunghezza, per
mezzo di due file di pilastri, uniti con dei muri, sicchè il centro
veniva destinato alla cella e le ali servivano da peristilio. Non si è
potuto sapere dove erano collocati quei giganti, dei quali alcuni hanno
aspetto femminile, con i lunghi capelli; se addossati ai pilastri o
attorno alla cella. Non essendo rimasto altro dei grandi rilievi del
frontone che dei frammenti rovinati, così l'unico resto di scultura
dell'Olimpion è dato da tale cariatide.
 
È molto da rimpiangere la perdita di quelle sculture, perchè se si
fossero conservate, sarebbero state insieme con la metope di Selinunte
un grande acquisto per la storia dell'arte. Il caso forse potrà far
rinvenire qualche loro resto.
 
Tornando verso il tempio d'Ercole, in prossimità del taglio praticato
nelle mura, si scorge la tomba di Tirone. È un monumento quadrangolare
di blocchi calcarei, costituito di due costruzioni sovrapposte: la
sottostante non è cementata, è divisa da un cornicione dalla superiore,
la quale finisce in una piattaforma e chiude il monumento. In ogni
angolo è una colonna scannellata con capitelli ionici e basi attiche.
 
Verosimilmente questo edificio è un cenotafio del tempo dei Romani,
e possono anche aver ragione coloro che sostengono, sia stato il
monumento di qualche cavallo.
 
Non lungi, verso sud e presso il mare, sono le rovine del tempio
d'Esculapio dove una volta era l'_Apollo_ di Mirone, che Imilcone portò
a Cartagine, e Scipione ridonò agli Agrigentini, e che Verre finalmente
rubò.
 
Sono questi i resti dell'antica Agrigento che si trovano fuori le mura.
La lunga linea di templi che vi sorgono deve aver offerto altra volta
uno splendido panorama a quelli di Eraclea, cioè a quelli che venivano
dal mare, che percorrevano prima gli ubertosi campi e vedevano poi al
di là delle mura i templi, i sacri protettori della popolosa città, che
copriva le colline con le sue strade e con i suoi splendidi edifici,
e che finiva da una parte col tempio di Minerva sulla rupe più alta,
a levante, e a ponente con l'Acropoli. Fino alle più piccole rovine
di questa città interna sono scomparse. Il suolo è coperto ovunque di
vigneti, e fra di essi vengono tirate fuori continuamente monete, vasi
e altre antichità.
 
Quasi nel centro dell'antica area della città sorge la villa del
Ciantro Panisseri, al quale appartengono alcune antichità. Nei
dintorni si mostra il cosiddetto oratorio di Falaride, cosa che non
può mettersi in relazione con quel tiranno. Il piccolo edificio è di
forma oblunga, con basi attiche e capitelli dorici ed è senza dubbio di
origine romana. I monaci di S. Nicola lo hanno mutato in una cappella
cristiana.
 
Nel piccolo museo del pittore Politi di Girgenti si trova il modello
dell'Olimpion, secondo le indicazioni di Diodoro e dei moderni
archeologi; esso dà una chiara idea dell'edificio, la cui grandezza
per altro viene ad essere molto chiaramente dimostrata dall'estensione
delle pareti che lo limitano. Però le colonne, non essendo state
isolate, gli dovettero togliere la sveltezza e la bellezza che ha
l'Olimpion di Selinunte, il più splendido fra i templi siciliani,
appunto perchè le sue colonne sono isolate.
 
Come le mezze colonne o le colonne addossate alla parete nuocciano
all'effetto dell'edificio, si può vedere oggi nella pomposa facciata
di S. Pietro, le cui colonne doriche per poco sono inferiori di mole a
quelle di Selinunte e di Agrigento.
 
Le proporzioni dell'Olimpion di Selinunte, che del pari non fu portato
a completamento sono, secondo Serradifalco: lunghezza 425,2, larghezza
192,6 palmi. Diametro delle colonne circa 13 palmi, e un'altezza
straordinaria di 68,2 palmi, 8 colonne di prospetto e 17 ai lati. Se
si immagina un tale edificio perfettamente completo, non ve n'è nessuno
che gli si possa paragonare.
 
Il tempio di Zeus in Olimpia era lungo solo 278 palmi, il tempio di
Diana di Efeso 445, quello di Apollo di Didna 407, il tempio di Nettuno
a Pesto 242 di lunghezza e 165 palmi di larghezza, il gran tempio di
Edfu in Egitto era lungo 378.
 
Al disopra dell'Olimpion, verso ovest, sorge l'assai pittoresco
resto del tempio di Castore e Polluce; chiamato così da Fazello e
giacente in terra fino a poco tempo fa. Le quattro colonne principali
col frontone sono state trovate da Serradifalco e Cavallari fra le
macerie e felicemente rimesse in piedi. Sono doriche, scannellate e
coperte di stucco bianco. Il tempio aveva 13 colonne in lunghezza e 6
in prospetto. Trovati i singoli pezzi di questo bell'edificio ridotto
in rovina, si poterono mettere insieme in modo che fosse chiaro il
carattere dell'insieme. Era policromo, e nell'architrave si vedono
ancora dei resti di pittura. Il fregio è un lavoro molto grazioso,
delle teste di leone sono poste nelle gronde.
 
Serradifalco ritiene il tempio greco senza dubbio, però con ristauro
romano.
 
L'ultimo monumento della serie meridionale è verso ovest ed è il
cosidetto tempio di Vulcano.
 
È l'unica cosa antica fra il Kamicus e le mura meridionali della città,
giacchè nella città non si presenta più nulla d'antico, eccettuati
i cosidetti resti del tempio di Zeus Polieus, sulle cui fondamenta è
stata innalzata la chiesa di S. Maria dei Greci. Scendendovi con delle
fiaccole, si vedono ancora alcuni gradini e pezzi di colonne doriche.
 
Però un tesoro raro contiene la cattedrale, un vistoso edificio sul
Kamicus.
 
Vi serve da fonte battesimale il famoso sarcofago, i cui bassorilievi
rappresentano delle scene della _Fedra_ di Euripide. I musei romani
sono ricchi di sarcofaghi degni di nota, però generalmente i loro
bassorilievi, fatti nel tempo post-ellenico curano più il contenuto di
ciò che viene rappresentato, che la bellezza dell'esecuzione.
 
Invece nel sarcofago di Agrigento lo scultore gareggia col poeta, e
difficilmente si sarebbe potuto rappresentare con maggior commozione la
scena della tragedia nella quale Fedra cade in deliquio.
 
È nota la predilezione dei Siciliani per Euripide, i cui versi
bastavano per fare andare in estasi i Siracusani, e dopo la sconfitta
di Nicia molti prigionieri ateniesi ebbero la libertà, perchè
declamavano quei versi.
 
Si deve aggiungere che questo sarcofago è opera d'arte siciliana. Il
valore dei rilievi dal punto di vista artistico è ineguale; sembra
che l'anima dell'artista non sia stata divisa egualmente in ogni
parte. Come in pochi altri sarcofaghi, l'azione qui è rappresentata in
una successione bene sviluppata; comincia con la caccia d'Ippolito,
sulla quale anche Euripide fonda l'odio di Venere. Il bel garzone è
a cavallo con la lancia confitta nel cignale attorniato dai cani. Tre
altri cacciatori vi partecipano con mazza, spiedo e pietre. Un quarto
trascina un cane. Tra i fogliami si osserva il _cactus_ siciliano (fico
d'India). Segue la seconda scena sul lato minore destro, culmine e
anima di tutto, con un rilievo della massima bellezza e leggiadria. Vi
è Fedra seduta sulla sedia, di classico aspetto, d'espressione ideale;
la balia è dietro di lei che la copre; un'ancella tiene abbassato il
suo braccio destro, il sinistro fa atto d'impedire ad Eros, mentre
questi punta la sua arma.
 
L'artista ha espresso magistralmente la causa del malanno, l'affanno
d'amore e la lotta morale nell'animo di Fedra, il cui ritratto è il
più splendido come riuscì ad Euripide, e dove egli diventò lirico come
Calderon. Giovani donne, dal bello aspetto, tengono delle cetre davanti
agli ammalati d'amore: e anche questo motivo è assai bello; le figure
però sono semplici e dure come quelle simili degli antichi affreschi.
Benchè sianvi riuniti molti contrasti, Fedra illanguidita, le donne che
la servono nella sua follia, la vecchia balia, le giovani suonatrici di
cetra, hanno tutti una drammatica fierezza.
 
Assai piacente è il corteggio delle Grazie melanconiche all'apparire
di Fedra. È il poema più commovente della potenza di Eros, e la
composizione di questo rilievo si può mettere al paro di quelli che possediamo a Pompei.

댓글 없음: