2015년 5월 31일 일요일

Passeggiate per l'Italia 13

Passeggiate per l'Italia 13


EUPHORION
 
POEMETTO POMPEIANO DI FERDINANDO GREGOROVIUS
 
 
TRADUZIONE E NOTE DI MARCO GALDI
 
 
Pompei, la storica e infelice città della Campania, ha sempre
esercitato sugli animi degli artisti un'attrattiva affascinante di
maga. Difatti, quelle zolle arrise dal sole e irradiate dalle sovrumane
bellezze della natura, su cui, in un momento d'ira, il Vesuvio osò
riversare la piena del suo mal contenuto furore, riducendo in un
mucchio di rottami e di polvere quanto prima era stato rigoglio e
splendore, presentano all'occhio dell'artista tale un interesse, ch'ei
non sa, nè può distaccarsi dall'oggetto della sua contemplazione, senza
riportarne una impressione profonda di meraviglia e di magnificenza.
Giacchè, dinanzi alla sua accesa fantasia sfilano, come attraverso
a un caleidoscopio, immagini e figure che un dì popolavano quel sito
delizioso: ed il pensiero, con audacia pari alla sua forza, sormontando
le barriere del tempo e dello spazio, raccoglie e ricostituisce, nella
universalità della sua comprensione, gli avanzi dell'età passata e, al
lume della storia, rianima le spente sembianze affacciantisi all'orlo
dello smosso sepolcro, mentre, quasi soffiandovi dentro, v'infonde
vita, calore e sentimento.
 
A questo fenomeno d'irresistibile seduzione magica, che assorbe e
rapisce gl'ingegni, va dovuta la ricca fioritura di romanzi e poemetti,
inspirati dall'idea d'intrecciare, qual più qual meno, gloriosi fregi
e corone intorno al nome immortale di Pompei.
 
Si tratta di far rivivere la civiltà trascorsa, cómpito invero assai
arduo, come quello che richiede la piena ed esatta conoscenza di ciò
che chiamasi ambiente storico. E a tal uopo, o librandosi in alto
sulle ali della loro bizzarra fantasia, inventando così situazioni
ed intrecci, o pigliando le mosse da qualche opera d'arte, venuta
fuori alla luce del sole dopo tanti secoli d'oblío, e allargandola
e sviluppandola nei suoi varî atteggiamenti, i poeti nel senso più
ampio della parola ci trasportano col pensiero ai tempi passati, ci
riproducono, in mezzo a scene caratteristiche, le passioni e le lotte
che un dì agitavano e laceravano i cuori dei figli della Campania,
indovinano e quasi vogliono strappare alla polvere il segreto di ciò
che avveniva dopo l'immane catastrofe della città.
 
Così il _Pompei_ di Augusto Vecchi, gli _Ultimi giorni di Pompei_ di
Eduardo Bulwer, l'_Arria Marcella_ di Teofilo Gautier, l'_Euphorion_ di
Ferdinando Gregorovius ecc.
 
Di quest'ultima gemma dello storico di Roma medioevale, che io qui
presento modestamente tradotta in italiano, piace discorrere un po' più
da vicino, perchè si vegga se e fino a qual punto l'autore sia riuscito
nel suo intento.
 
Giova però, anzitutto, qui riprodurre il giudizio che ne dà il Sogliano
nella sua rassegna dei tentativi fatti per ricondurre ad una piena
vita gli antichi abitanti di Pompei: «Meno noto degli _Ultimi giorni_,
ma non meno felicemente riuscito parmi l'_Euphorion_ di Ferdinando
Gregorovius... il traduttore di Giovanni Meli. È un grazioso poemetto
in quattro canti, la cui azione si svolge in Pompei, nella famosa casa
di Diomede... I quattro canti sono intitolati Oneiros (sogno), Amore
e Psiche, Pallas Athene (Minerva) e Thanatos ed Eirene (morte e pace),
dalle figure che ornano il candelabro, eccellente lavoro di Euforione,
e che forma il pernio del poemetto».
 
Come ognun vede, un'opera d'arte, e non certo delle più fini
ed eleganti, è quella che sorprende e colpisce il Gregorovius,
commovendolo a tal segno da fargli creare tutta una serie di situazioni
e di intrecci, armonicamente disposti e collegati fra di loro. Si
direbbe quasi che la fantasia dell'artista vada scovando fin là dove
occhio umano non giunge, o se mai passa indifferente, gli elementi
meno noti o meno opprezzati, per materiarli poi di forti e geniali
concezioni ed imprimervi un'impronta stabile e duratura di grandezza e
splendore. Così come l'alchimista sapeva scoprire le recondite virtù di
disadorni metalli, e con l'aiuto di processi e combinazioni ottenerne
dei mirifici effetti, pei quali sperava di aver finalmente ritrovato la
panacea del genere umano...
 
Il candelabro, intorno a cui s'avvolge la delicata storia d'amore,
fu realmente scavato nella casa del ricco commerciante pompeiano, ed
oggidì figura in una delle splendide raccolte del Museo Nazionale.
Però il Gregorovius medesimo lo avverte il bronzo ha assunto una
nuova figurazione nella fantasia di lui; come son di sua invenzione le
lampade che l'adornano, le immagini che vi si ammirano scolpite, l'idea
alla quale debbono prestarsi per afferrare e conquidere potentemente
l'immaginazione del lettore.
 
_Euphorion_ dal nome dello schiavo artefice del candelabro è un
poemetto prettamente simbolico, e l'allegoria v'è profusa a significare
come nulla valga contro la forza dell'amore, specie quando nato
dall'arte, e come questo sopravviva persino al sepolcro, trovando
sempre il modo di riaccendere la spenta fiaccola del sentimento.
 
_Omnia vincit amor_: è la tesi che poeticamente illustra il
Gregorovius, contornandola e abbellendola degli svariati colori della
sua tavolozza. Non distinzioni di grado, non vantata nobiltà di natali,
non fiere persecuzioni o rampogne, possono rattenere l'impeto di una
passione pura e ardente, divampata nel cuore di due giovani innamorati.
Che anzi, là dove più palese si oppone la differenza di casta, sembra
quasi che talora intervenga di proposito una forza arcana a soggiogare
l'altrui ribelle volontà, per sancire con un vincolo indissolubile la
comunione dell'affetto e dare così compimento al più bello degli ideali
umani. Questa volta è il Vesuvio che trama la sua orrenda congiura
contro i diritti della boriosa aristocrazia, cospirando ai destini di
Euforione e permettendogli di tradurre in atto un sogno, già da tempo
concepito e vagheggiato nella quiete operosa della sua officina.
 
Euforione, lo schiavo artista, ama Ione, la figlia di Arrio, la giovane
avvenente ed esperta delle più signorili costumanze romane e della più
fine cultura. Nell'intimità del suo cuore, ei che pur si eleva tanto
su gli altri suoi simili per ingegno e nobiltà di sentimento, ben
s'avvede di perseguire un ideale assai ardito, sol perchè ai piedi gli
si attacca plumbeo e grave il mondo e si suole dai beffardi vilipendere
il lavoro manuale come qualcosa d'ignobile e servile. Quella tunica
di schiavo l'inceppa e rattrista e una vampa di vergogna gli sale in
volto, mentre però la sua anima si spinge sempre più sospirosa verso
la luce... Di natura irrequieta e bollente, facile agli entusiasmi ed
allo sconforto, come il suo Icaro che spicca il volo fino all'astro
fiammante per cadere poi nella spalancata voragine, ha peraltro fiducia
nella bontà del suo padrone, entro le cui vene scorre ancora una goccia
di sangue ellenico. E in tal fiducia, nell'agognata attesa dell'ora del
riscatto, lavora attorno al candelabro di bronzo per farne un regalo
pei festeggiamenti di Ione, benchè di tanto in tanto l'assalga il
dubbio e la disperazione...
 
I due giovani pompeiani vissero insieme i teneri anni della
fanciullezza, sognarono insieme un mondo di belle cose, nella loro
piccina fantasia vagheggiarono ideali di gioia e di felicità, anzi
per essi i giorni si svolsero come sempre avviluppati in una vaporosa
nube di sogni... Ma quest'età trascorse, ed Euforione e Ione non più
si baloccarono coi loro gingilli, perchè una grande distanza dovè
separarli, l'uno restando come imprigionato nell'officina di schiavo,
l'altra correndo ad attingere il fremito della vita in mezzo alla
elegante società romana. Ma già il dio dell'amore aveva scoccata
furtivamente la sua freccia, già gli aculei della passione si erano
conficcati nei cuori...
 
Ecco il simbolo del sogno che adorna la prima lampada del bronzo.
 
Separato a lungo per imperscrutabile volere della sorte, Euforione
rivede, il giorno prima della festa, nello splendore degli
abbigliamenti, la graziosa compagna d'infanzia, reduce da Roma. Al suo
cospetto, si sente come confuso e resta perplesso; ma Ione, rievocando
i dolci ricordi della fanciullezza e la vita agitata vissuta nel
rimescolío della capitale del Lazio, ha come un senso di rimpianto
per i giorni trascorsi insieme sulle sponde del Sarno e di disgusto
per quelli passati fra i rumori della cosmopolitica città. E a poco
a poco il cuore le s'intenerisce alla vista di chi l'è dinanzi nella
tunica di schiavo, e così, impietosita, arriva fino a svelargli il
segreto d'un sogno... Fra le rovine avvolgenti d'ogni intorno Pompei,
mentre il mare si distendeva al di sotto come inviluppato in una densa
caligine, Euforione le si presentava con due ali arcuate sulla spalla,
invitandola a fuggire sui flutti ondeggianti... e lei, afferrata,
fuggiva verso lidi lontani...
 
Oh potenza dell'amore precorritrice degli eventi! Chi avrebbe detto
che Ione, già promessa sposa ad un ricco pompeiano sceltole dal padre,
sarebbe stata invece la consorte invidiata d'un suo schiavo artista,
solo per la suggestiva potenza dell'arte?
 
Così Amore e Psiche, le simboliche figure della seconda lampada,
intrecciano i loro destini a quelli dei due amici, che l'impari sorte
aveva diviso, e pei sentieri della speranza li avviano al conseguimento
della pace e della felicità...
 
Anche i rosei anni della giovinezza voleranno via nella rapida corsa
delle Ore, ma a conforto dei sogni e delle voluttà per sempre dileguate
rimane l'Arte che vivifica la vita, apportando la luce rischiaratrice
delle tenebre.
 
Euforione simboleggia appunto quest'arte che, inspirandosi ai
quotidiani bisogni, solleva lo spirito alla contemplazione di un ideale
più sereno, e lo ritempra alla tranquillità e alla calma necessaria al
lavoro, dopo le ansie tormentose e gli ardori delle passioni giovanili.
Così, quando i due coniugi avranno bevuto, fino all'ultima goccia,
alla coppa dei piaceri, allora, nel tempietto delle pareti domestiche,
l'uomo devoto al culto di Pallade Atena intesserà intorno al capo
ancora carezzevole della compagna una ricca ghirlanda di artistici
fiori, come prova del suo immenso amore e della sua anima libera e
forte. E Ione sarà la sposa felice, cui l'Arte presenterà devotamente
i suoi omaggi: dall'alto del suo piedistallo, ove salgono gl'incensi
dell'adorazione e della glorificazione, guarderà beata chi per lei suda
nel bronzo, ed allora gli sorriderà con aria di compiacenza, ammirando
riflessa nel viso dei figliuoli l'immagine operosa di lui...
   

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