2015년 5월 31일 일요일

Passeggiate per l'Italia 20

Passeggiate per l'Italia 20


Essa origlia sempre al giuoco della natura, da cui prende in prestito
la forma, e graziosamente adatta l'effige animale alla pianta e alla
stessa forma umana, spiegando sensibilmente il fenomeno intrigato ed
enigmatico della vita. È anche bello tutto ciò che di finito la vitale
necessità ci offre, quando l'uomo animato l'afferra e lo modella in
plastiche forme, imprimendo alla materia greggia lo stampo della divina
libertà, in modo da divenire per lui stesso un celestiale godimento il
bisogno quotidiano. Sì, chi chiamerebbe a ragione ignobile e misera
quest'arte che nelle pareti domestiche così propizia governa come
un'economa? Tutto ciò di cui la vita ha bisogno per godimento e per
conforto del cuore, essa tocca con le mani che sanno trasformare in
leggiadre figure. Anche ciò che è ordinario sa rendere raro, e prezioso
ciò che è comune, piacevole la necessità, e per lei l'abitudine diventa
un attraente poema. Ecco, essa offre i frutti di Pomona in preziosa
tazza, versa il vino dalla brocca orlata di figure nel corno da bere e
presenta allo sguardo la rosa purpurea in tenero cristallo. Inoltre,
sospende il lume al candelabro modellato con arte molteplice, perchè
a doppio piacere rianimi e ridesti gli spiriti. Guardate così questo
svelto lavoro! Quando l'olio esalante ne ha impregnato ogni lampada ed
esse splendono all'intorno come una pensile ghirlanda, non brillerà
forse ai lieti visi e alle sagge conversazioni, ovvero alla danza
scrosciante e al suono giubilante dei flauti? Per lungo e lungo tempo
risplenda di gioia questo candelabro! E sia una sentinella al banchetto
ospitale e lungamente per te, o Ione, un messaggio di felicità e
d'innumerevoli feste!»[7]
 
Ciò disse e tacque. Amore gli aveva fortemente attizzato la fiamma
della parola nel petto con gli sguardi entusiastici della fanciulla.
E finì così il silenzio di ammirazione; intanto si udiva fremere il
rimbombo del Vesuvio, quand'ecco si levò un grido di giubilo: dalle
chiome si sciolsero le donne le ghirlande inanellate, le gettarono
su di lui, e come avviene a chi contempla la sbocciante primavera,
quando dai rami di pesco lo zefiro spazza via la fioritura, così
s'intrecciarono attorno al giovane e caddero le agitate corone, mentre
sulle spalle, intorno al capo scrosciava la pioggia di fiori. Ed egli
confuso apparve ancora più bello coronato di fiori, simile a un celeste
nei tratti: ognuno lo guardava con gioia. Ma Menandro nascose tra le
labbra il suo tacito malumore, levò in alto la mano e fissò Arrio con
occhio interrogatore.
 
A ciò Pansa: «O socratico garzone, ti benedica Apollo! Tu hai ben
parlato; vieni domattina alla mia villa, perchè ti versi dell'oro nelle
mani; ed Arrio saprà bene offrire all'eccellente giovane un regalo che
gli farà maggior piacere».
 
Allora gridò lieto Arrio: «Oh! accendete subito le lampade, le
artistiche lampade, in onore di colei che è ritornata! Come un genio,
come un genio amico c'è venuta oggi la luce, perchè l'aria già si
annebbia e la notte scende più presto del solito!»
 
Ma subito Ione: «A me sola conviene, o padre, a me sola s'addice
consacrare le lampade con le mani ospitali, e non deve alcun dito
umiliante toccarmi l'opera divina!» E s'alzò; il solerte fratello le
porse l'orciuolo dell'olio, ed essa lo versò nelle lampade, mentre
leggermente le tremava la mano. E con un lume acceso, simile ad Amore,
se ne stava a lei dappresso l'incantato giovane, aspettando con gli
occhi sorridenti. Non appena ogni lampada si fu imbevuta di olio,
egli porse subito alla sorella la candela fra le mani, ed essa con
lo spirito presago non fallì, chè prima accese l'elegante lampada di
Oneiro, poi l'attraente lampada di Psiche e di Amore, indi quella di
Pallade e finalmente la lampada ultima della Morte.
 
Come è sospeso al cielo nella notte di ambrosia il sublime Orione
con la splendida fascia, quando sul mar di Sicilia dolcemente lo
guidano le Ore, e quando già s'appressa la rosea Alba e un crepuscolo
tremula intorno all'immensa e nevosa cima dell'Etna, così fiammava
ora il candelabro nel tremulo crepuscolo della sala da festa, e sul
volto di Ione volava come uno sprazzo d'oro lo splendore del lume,
trasfigurandola.
 
E risuonò un grido di giubilo, sonoramente applaudiron subito le donne
e corse di bocca in bocca un'esclamazione di maraviglia. Ma un coro di
cantori, che era nascosto dietro le colonne, dolce intuonò un'armonia
che gonfiò di gioia il cuore di tutti.
 
A ciò disse Giulia, la sposa dell'eccellente Balbo: «Come armonizza
bene il candelabro col suono dei flauti e coi canti! Come se gli
si muovessero in giro all'intorno le figure di bronzo, esso agita
delle tremule danze; eppure non ne intendo appieno il senso. Chi sa
interpretare queste lampade? Sono ben scaltri gli artisti, che sempre
avvolgono negli enigmi le figure delle loro magiche mani!»
 
«Giusta la tua osservazione, o bella, gridò Arrio, ed anche a me non
riesce chiaro il senso. Ma tu ce lo dirai, o cantore Ismeno, poichè
invero solo il poeta maneggia la chiave dell'arte, il poeta che è un re
dominatore degli spiriti: mai la pietra silenziosa gli nega la sua voce
ed egli desta al canto persino il bronzo irrigidito».
 
Assai volentieri s'accostò quindi il vecchio Ismeno, che il padre di
Arrio aveva adottato in casa; argentea era la sua barba e bianca la
chioma, e il dignitoso capo già ricurvo per la stanchezza della vita.
Affabilmente ei cominciò subito: «Difficile cosa tu m'ingiungi, o
nobile Arrio. Spesso anche l'uomo più colto sbaglia dinanzi all'idea
del poeta, chè la segreta e misteriosa anima degli artisti profonda
s'immerse nel getto fluttuante del bronzo. Perciò, se la mia parola
sbagliando non desta alcuna eco nel bronzo, perdona, o maestro!
poichè è estraneo a noi il pensiero degli altri uomini». E con le mani
salutò l'amico; i due spiriti eccellenti se ne stavano presso la bella
immagine come la primavera e l'inverno insieme.
 
«Con arte e con sapienza veggo qui modellata nel bronzo, disse Ismeno,
l'immagine della nostra vita e la danza delle Ore. Graziosamente
la prima Ora incomincia la sua: noi la chiamiamo fanciullezza. Essa
s'accosta con incanto e soavemente con la fiaccola scintillante del
Dio del sogno intreccia le sue melodiche danze intorno alla culla
del bimbo. Ecco, il dormiente si desta, allora vengono le favole
e le fiabe, gli allegri giuochi, e lo sciame dei sogni scherzosi
introducono nella vita il bambino a divertirsi con beati trastulli.
Nella tranquillità questi sogni assumono delle forme presso il suo
cuore origliante e gl'intessono segretamente all'intorno un mondo
che comincia a svilupparsi nelle immagini. Pien di presentimento si
sviluppa il piacere e più tardi anche il tetro dolore, e germoglia il
desiderio e la sorte riposa nel germoglio. Ma ben presto se ne torna in
fretta verso il cielo l'Ora della fanciullezza, che ha compiuto il suo
tempo.
 
«Vedete, s'accosta l'altra, Agitando la fiaccola dell'amore, danza
nella vita la bella Menade, l'Ora della gioventù. Essa porge al giovane
la coppa spumante del piacere e del desiderio, e dalla terra gli si
dischiude un lembo di cielo. Non s'indugia nella polvere terrena,
l'umanità gli sembra schiava e pigra; egli vola col sibilante cavallo
aereo di Perseo a combattere i tiranni, ed erra come Icaro beatamente
verso la luce, e come Fetonte infiamma il mondo di ardore. Solitaria
cammina la fanciulla nella presaga tranquillità del cuore, finchè
il nudo nume non le ferisca ad un tratto i sensi, e come Psiche essa
cerca il fuggitivo, addolorata fino alla follia. O celestiale ed alata
Ora della gioventù, troppo rapida ten vai, illudendoci! Sì, colui pel
quale ancora risplende la fiaccola di Amore, è egli stesso un dio!
Goda pure l'ora fuggitiva, quell'ora che non arrivano mai a compensare
gli scettrati anni della vita, fossero pur mille, che l'uomo trascorre
affaticandosi. Una volta sola gli Dei invitano a banchetto il mortale,
ma Icaro e Fetonte precipitano in un attimo dal cielo, tramontano le
speranze ed i vani desiderî come astri, la vita procede con pie' di
bronzo e ammassa tombe su tombe. Anche l'ingannevole Amore getta via
la sua veste sfolgorante e ci lascia nella colpa e nel pentimento l'Ora
della gioventù.
 
«Vedete la terza! Come forte e luminosa spande la sua luce attraverso
le tenebre! Bella nella corona di ulivo, la celeste messaggera di
Pallade! Qui nell'uccello notturno si lasciò artisticamente indovinare
il modellatore. In alto l'Ora solleva l'uomo dal falso sentiero della
scompigliata gioventù e lo introduce tranquillamente nell'apparecchiata
officina della vita, che la donna, propizia adornandola, gli assetta
con amore operoso. Pallade gli apprende la saviezza e le opere
espiatrici del lavoro, e piamente gli limita la sensibilità con la
forza e con la sacra prudenza. E a lungo s'intrattiene la Dea, ben
volentieri essa benedice all'uomo beato il cuore di Dedalo e le
mani che incessanti lavorano. Ecco, già si ammucchiano le buone e
le belle opere e così si accumula una grande eredità da nutrire i
figliuoli; a un tale uomo non piace che quanto è duraturo, la simmetria
armonicamente ordinata delle forze che agiscono sul mondo. Ma nel petto
gli riposa il destino che gli Dei decretarono.
 
«Salve anche a te, o fiaccola della morte che scioglie la vita! Esausta
si piega giù la mano e calmo riposa il cuore dopo la tempesta degli
anni, senza che più s'agiti un desiderio od una speranza. Verso terra
s'inclina il capo, quand'ecco si accosta ieraticamente Eirene, e con
lei viene la ricordanza, la velata madre dei sacri dolori; ritornano
le Ore da lungo tempo scomparse, con dolce saluto di lontano esse
appaiono allo sguardo come le vele del mare, trasfigurate dal sole
che tramonta. Ma con mestizia le contempla il vecchio e con profonda
meditazione rivolge lo sguardo indietro alla vita e ai suoi gustati
beni, e volentieri accoglie ora dagli Dei la morte, come il supremo
dono. Così un giorno possa accostarsi anche a te con volto amico la
morte, o Arrio, tardi nella notte porporina, quando sia già terminato
il filo della tua vita. Ma il mio cuore anela la sua patria, sempre
più calmo esso m'è divenuto ed a me pare come se qui d'intorno mi frusciasse l'ala della morte».   

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