2015년 6월 1일 월요일

Storia degli Esseni 13

Storia degli Esseni 13



Quando pure avverso
fato ci contendesse il rintracciare la seconda di queste origini,
cioè l’incominciamento storico, individuo, complessivo della setta,
ei sarebbe acquisizione preziosissima la storia, la origine degli
elementi di cui si compose. Ma il fato ci arriderà benigno meglio
che non estimate; e lo studio che siamo per fare al presente, verrà
compito, integrato da quello che faremo di poi; e l’origine delle idee
vedrà immediatamente seguirsi l’origine della loro personificazione
in un sodalizio. Io chiedo adunque all’Ebraica antichità gli elementi
dell’Essenato, e che cosa mi risponde l’Ebraica antichità? Ella mi
risponde, offrendomi una istituzione in cui, siaci lecito il dirlo,
gran parte si dipinge dei caratteri e dell’Essenato, ed ove tranne
l’associazione, l’organizzazione sociale, e tranne il celibato, la
fisonomia splendidamente rifulge di precursori, di preparatori del
grande Istituto. Qual’è questa istituzione? Ella è l’istituzione
del Nazirato. Non so se voi quanto sia mestieri conosciate che
cosa è Nazirato: fatto è che nè conosciuto nè apprezzato egli è a
parer mio quanto pure si dovrebbe. _Nazirato_ era quello stato di
religiosa separazione in cui volontariamente si poneva ognuno che
più particolarmente si volesse a Dio dedicato. Si dedicava, o miei
giovani, al Signore con tre specie di voti che i precipui obblighi
costituivano dei Nazirei. S’interdiceva in primo luogo non solo il
vino ma l’aceto, ma l’uva istessa, e stando alla parola _Scehar_
ogni bevanda eziandio inebriante. S’interdiceva in secondo di rader
un sol capello della chioma, la quale doveva al termine del suo voto
recidersi tutta ed al fuoco bruciarla del sacrifizio che il Nazireo
offeriva; s’interdiceva per ultimo di venir menomamente a contatto con
un cadavere, nè qualunque altro genere contrarre di impurità che da
quel derivasse. Di questi tre voti, di questi tre obblighi, due vediamo
comuni agli Esseni; comune cioè la interdizione del vino, siccome a
suo luogo vedremo, comecchè da talun contestata; comune l’orrore da
ogni corporea impurità, come più estesamente sarà da noi dimostrato;
e se comune non vediamo egualmente la intangibilità della chioma,
egli è perchè la perpetua consacrazione, il vincolo non temporaneo
degli Esseni la rendeva impossibile, e soprattutto perchè la legge
dei Nazirei _formalmente ne assolveva coloro che la intera vita
sacravano_, siccome meglio dalle cose sarà chiarito, che in appresso
diremo. Voi comprendete già come questi strettissimi obblighi, uno
stato costituissero pegli Esseni di particolare santità; ma quanto più
questi voti non acquisteranno valore se li vedrete dovunque applicati
ove una maggiore si esiga o più esquisita perfezione religiosa! Se li
vedeste per esempio iterati e tra i doveri annoverati dei sacerdoti;
se esplicita invocassi l’inibizione che ai sacerdoti interdice l’uso
degli inebrianti ogni qual volta l’alterno servigio li chiamava
attorno il santuario: se vi mostrassi _Nadab_ e _Abiù_, i due infelici
figliuoli di Aaron, divorati da un fuoco miracoloso solo per aver,
secondo la tradizione, libato del vino al loro ingresso nel tempio;
se vi citassi infine la legge che vuole i giudici _pro tribunali_,
sedenti sobri per tutto quel giorno di liquore ebriante; se vi dicessi
con Ezechiele che i sacerdoti non debbano radersi assolutamente la
testa, ma sì tanto della chioma rispettare che bella mostra faccian
di sè nel pubblico servigio; se tale vi citassi una frase in Geremia
ove la capigliatura, la lunga chioma è detta serto, è detta corona; se
passando poi al tema delle impurità, vi mostrassi i Nazirei equiparati
nelle rigide osservanze non solo al volgo dei sacerdoti, ma al grande,
al sommo pontefice egli stesso il quale solo esso in questo ai Nazirei
somigliante, doveva non solo da ogni impurità tenersi lontano, ma
nemmeno gli estremi offici rendere ai prossimi parenti, al padre,
alla madre, al fratello, alla sorella, pei quali invece al sacerdote
volgare era conceduto immondarsi.[26] Che più? Se vi mostrassi a certi
effetti, in certi casi e secondo certe opinioni, il Nazireo allo
stesso pontefice sommo in santità sovrastare, quando cioè pontefice
e Nazireo imbattutisi per caso in cadavere derelitto era imposto al
sommo pontefice rispettare la santità del Nazareo e la propria dignità
obliare per rendere gli ultimi doveri a quel corpo infelice. Certo, che
dopo avere tutte le anzidette cose udito a ricordare, certo esclamerete
che ben grande doveva essere nella mente del divino leggidatore, del
Nazireo il concetto. Che sarà poi se i termini intenderete con cui sul
conto suo si esprime? E quai termini! _La corona di Dio è sul capo
suo_, vi dice aperto il sacro testo.[27] Non basta: Per quanto dura il
suo Nazirato _sacro_ è desso al Signore. Termini che nè diversi, nè più
pomposi suonano pel sacerdozio, termini chè chiaramente la parentela,
l’affinità ti rivelano, che volle Iddio stabilita tra il Nazirato e il
sacerdozio, tra il Nazirato sacerdozio incoato, virtuale, temporario, e
il sacerdozio Nazirato attuale e perpetuo. Voi udiste parlare di corona
sacra a proposito del Nazareo, e di sacra corona intenderete parlare a
proposito del sommo pontefice. Voi udiste il Nazareno qualificato sacro
al signore, e _sacro al signore_ recava in lettere d’oro sul frontale
inciso il sommo pontefice. I sacerdoti sono ministri dei sacrifizi, e
ministri esclusivi, chi non lo sa? Ma pure se vi fu uomo che tutte le
ordinarie regole conculcando dei sacrifizii, si sia eretto a pubblico,
a solenne immolatore, e se eretto si sia comecchè nè sacerdote nè in
luogo celebrante al culto di Dio dedicato; se uomo cotale vi fu, ei
fu un Samuele, ei fu un semplice levita, ei fu un Nazareno; e se in
progresso di tempo, e se dei redivivi Nazareni, e se infine degli
Esseni fu detto siccome da Giuseppe apparisce, che fuori del tempio
sacrificavano, chi sa che lo esempio di Samuele ad accreditare non
sia valso una opinione siffatta! Fatto è che il carattere sacro,
religioso e quasi ieratico non fu mai ai Nazarei disdetto: non lo fu
nemmeno ai tempi malaugurati della invasione siriaca. Quando, secondo
un preziosissimo testo dei Maccabei, nel primo di questi libri al
capitolo 3º, ritiratisi gli Ebrei fuori di Solima seco recano dalla
santa città a Maspa, ove s’adunano e si accampano, tutto chè di più
sacro e prezioso avessero nel tempio di Dio; quando siccome si esprime
il testo istesso dei Maccabei, _bandito un generale digiuno e postisi
dei sacchi attorno e della cenere in sul capo, spiegano i libri della
legge, arrecano le vesti sacerdotali, le primizie e le decurie e
fanno venire innanzi i Nazirei_, quando non sapendo in qual luogo più
sicuro riparare tanto tesoro, esclamano, dice il testo, _con gran voce
dicendo: Che faremo a costoro e dove li meneremo? Conciossiachè il
tuo santuario sia calpestato e profanato, e i tuoi sacerdoti sieno in
cordoglio e in afflizione_.
 
Io credo che non pochi insegnamenti abbiamo fin qui acquistato;
abbiamo veduto tra gli antichi Nazirei e gli Esseni parecchi correre
luminosissime attinenze, e tra ambedue altresì, e il sacerdozio
costituito in Israele; abbiamo in tanta antichità rinvenuti parecchi
degli elementi onde si formò di poi il nostro Essenato. Ma qui non
finisce la vena feconda del Nazirato vetusto, qui non hanno fine i
mirabili riscontri tra esso e’ moderni Nazirei che si chiamano Esseni.
Solo che meglio vi piaccia la natura indagarne, solo che le frasi dei
nostri Profeti, laddove dei Nazirei tolgono a ragionare, non vadano,
come avviene, perdute nel torrente di una irreflessa e precipitosa
lettura. Un passo principalmente vi ha di cui non si potrebbe
ragionevolmente inforsare la importanza. Egli è il Profeta Amos quando
rinfaccia ai coetanei suoi la ingratitudine onde ripagavano le insigni
beneficenze di Dio, quando ricorda loro il portentoso riscatto, le
spirituali divise con cui rivestilli, quando in ispecie ricorda i doni
profetici, le fatidiche ispirazioni; quando esclama in nome d’Iddio,
_E pure io fui quello che i figli vostri costituiva profeti e i giovani
vostri costitutiva Nazareni. Non è forse così, o Popolo d’Israel,
dice il Signore? Ma voi che faceste? Voi propinaste ai Nazareni il
vino conteso, ed ai profeti intimaste dicendo: Non profetate._ O io
m’inganno, o nuova sembianza è cotesta che assumono i Nazareni. Non
solo gente sacra e quasi sacerdotale, siccome vedemmo, ma gente, si
può dire arditamente altresì, gente profetica. Chi conosce il genio
della lingua Ebraica, la replicazione del concetto, nelle due metà del
versetto, le predilette sinonimie, il parallelismo frequentissimo,
non porrà menomamente in dubbio che nella mente di Amos, Profeti
e Nazireni, il vino dai Nazareni libato, e la esautorazione del
Profetismo non si unificassero a dirittura in un solo concetto. Per
chi è autonomo nei giudizi questo è d’avanzo. Per chi ama invece
poggiare sulle autorità ne avremmo a citare di soverchio. Potremmo
dire del Parafrasta Caldeo che con significantissima sostituzione
pone invece della parola _Nazireni_ il vocabolo Arameo _Malfin_ che
suona _insegnatori_; potremmo invocare il venerabile _Rasci_ che tale
ci offre definizione di cotesti del profeta, che più acconcia, più
precisa, più completa non si potrebbe dare degli Esseni medesimi;
quando dice cioè ch’erano i Nazirei separati dalle comuni costumanze,
e tutti dediti alla legge di Dio. Potremmo dal labro pendere di
Abenesra ove col consueto laconismo, ma altamente espressivo pel caso
nostro, _Nazirei_ dice _che consacrai a riprendervi, a santificarvi_.
Potrei chiamare a testimonio l’Abrabanel che dice il _Nazireato esser
preparazione allo spirito santo_, che aggiunge _essergli stato il vino
propinato onde lo spirito divino non scendesse sopra di essi, nè quindi
potessero vaticinare_.[28] Or che cosa sarà s’io vi dicessi che gli
Esseni andavano celebri per i loro vaticini e che non poche delle loro
predizioni ci sono da Giuseppe riferite, siccome a suo luogo vedremo?
Certo che vedreste allora nell’antico Nazirato, nelle doti profetiche
di cui va insignito un elemento nuovo dell’Essenato moderno, una pietra
nuova del grande edifizio, un preludio alle Esseniche predizioni: e che
sarà poi se vi farò toccare con mano nuovi riscontri nelle circostanze
più particolari della vita, nell’abito per esempio, nel regime tra
l’Essenato e i Nazirei; il sacerdozio antico e il Profetismo? Certo
non negherete che sarà un passo di più verso la mèta a cui aneliamo,
il ritrovamento delle parti integrali, degli elementi del grande
Istituto. Or bene, volete sapere degli Esseni l’abbigliamento? Mirate
ai Profeti ed ai Nazirei; due luoghi vi sono aurei tutti e due,
luminosi tutti e due per chi ha gli occhi per vedere, dove il costume
esteriore ci vien dipinto, ma di volo con un sol tratto, di Profeti
e di Nazirei. Costume uniforme dei Profeti, colà abbiamo, laddove
predicando Amos il discredito in cui saria caduta l’ispirazione, _tanto
vil cosa_ aggiunge _sarà reputata, che niuno vorrà simulare nemmeno il
portamento esteriore di un Profeta, che niuno più addosserà un mantello
peloso_.Chi ha orecchi ascolti: un _mantello peloso_, ecco dei Profeti
la divisa, il destintivo. Che se non contenti di aver trovato, se così
è lecito dire, dei Profeti il figurino, ne voleste uno proprio di carne
e sangue in cotal foggia vestito, potrei io esitare un istante, potrei
io non vedere sorgere immantinente ai miei sguardi il severo, l’ispido
_Elia_, l’uomo come il descrive il sacro storico, l’uomo peloso, l’uomo
dalla cintura pelosa, Elia il Jesbita; Elia il solo superstite tra i
Profeti di Dio, Elia che al sol vederlo in questo arnese caratteristico
esclamano tutti? _Elia attisbi u?_[29] Ebbene mirate nell’autobiografia
di Flavio Giuseppe ciò che del costume va esprimendo dei più rigidi tra
gli Esseni, e mi saprete dire se troppo disforme da quello procedesse
tra i profeti usitato. Ma i men rigidi, i più urbani tra gli Esseni
come vestivano essi? Ah! egli è qui ove ritornano in campo non solo i
sacerdoti come gli Esseni _bianco vestiti_, ma ciò ch’è più, ritornano
in campo gli stessi Nazirei e un nuovo e parlante rapporto ci offrono
colla società degli Esseni. È tal cosa la Scrittura, o miei giovani,
che se uomo non tende l’orecchio del continuo a spiarne non ch’altro le
più fuggevoli espressioni, gran parte sperpera, miseramente perduta,
delle sue ricchezze. È un mondo che si rivela per cenni ed enigmi,
è la figlia del Re, secondo la magnifica parabola Zoaristica, che
solo rivela la faccia sua bellissima, dopo avere con ripetuti cenni
ed ammicchi l’attenzione e l’ansia provocate del suo amadore.[30]
Testimone l’esempio che abbiam tralle mani. Chi avrebbe detto che la
Bibbia contenesse perfino l’antico costume dei Nazirei? Eppure nulla
di più esatto, la Bibbia lo contiene, in una locuzione, in una idea
incidentale, ma pure lo contiene. Povero Geremia! Ei lamenta perdute
tante cose e carissime! Ma non dimentica, credete per questo, cose di
men rilievo, per esempio i bellissimi Nazireni e le loro vesti. _Dove n’andaste_, sclama nel dolor suo, _Dove, o Nazareni dalle candidissime stole più della neve bianche, bianche meglio del latte?_

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