2015년 6월 1일 월요일

Storia degli Esseni 14

Storia degli Esseni 14



(Treni cap.
IV, v. 7.) Perocchè glossa il venerando Rasci i _Nazirei e i Farisei_
(notate questo contatto e ponetelo in serbo per altro tempo) _i Nazirei
e i Farisei mostravansi al di fuori tersi e puri_ COLLE BIANCHISSIME
LORO VESTI, _alla neve somiglianti, siccome alla neve si assimigliano
le vesti dell’antico dei giorni, e siccome infine è costume dei
Ilasidini_; ed anche quest’ultima frase ponete in serbo, giovani miei.
Ed ecco il costume degli Esseni, il costume dei più miti tra essi
somministratoci dall’antico Nazirato, dal Nazirato consenziente anco
in questo col sacerdozio ministrante nel tempio di Dio.[31] Ma io
dissi che negli antichi profeti un vestigio ritrovato avremmo della
tavola degli Esseni, del regime degli Esseni. Dissi ben poco; doveva
dire e la dietetica e la dimora e la scelta del luogo. Vi è un passo
nel secondo dei Re ove la scuola dei profeti, _i figli dei profeti_
come allor si dicevano, banchettando a cielo aperto ci permettono
di osservare di che cosa si formassero le consuete imbandigioni. Io
veggo primi rammentati i legumi; e legumi pure erano il cibo favorito
nell’essenico refettorio, veggo radiche ed erbe qua e colà dai Profeti
stessi raccolte su per i campi; ed erbe e radiche alternavansi talvolta
negli essenici prandi. Che più? La scuola profetica abita non solo
sotto il medesimo tetto, tralle stesse pareti, ma soggiorna eziandio
lungi dall’abitato _presso le rive del Giordano_; e non sarebbe
temerità s’io dicessi che non del tutto andò errato Gerolamo quando
nelle frasi del testo intravide eziandio la costruzione di separate
cellette.
 
Aveva io ragione di sperare larga suppellettile di elementi, di
preludi, di presentimenti Essenici nella storia dei Nazireni, in
quella del sacerdozio, in quella dei profeti che tanta parte offron
pur essi della fisonomia dei Nazireni? Ma vi ha un’obbiezione che voi
potreste fare e ch’io perciò appunto amo di prevenire. Potreste dire:
il Nazirato era voto e vincolo; ma voto e vincolo a tempo, ch’è quanto
dire era assai diverso dall’Essenato che una consacrazione importava
la quale continuar doveva quanto la vita lontana. E benissimo vi
apporreste se tra Nazirato ed Essenato non corresse a senso mio divario
alcuno; se io dicessi le stesse forme, le stesse leggi essersi per
tanto corso di secoli dall’uno all’altro tramandate senza alterazione
alcuna. Ma ciò nè dissi nè poteva io dire in verità. Sebbene che dico?
È egli poi vero che il voto dei Nazireni fosse sempre temporaneo
come voi dite? Certo che così pensò e scrisse un uomo dottissimo il
_Munk_ nella _Palestina_. Ma con sua buona pace sia detto: il Munk
s’ingannò a partito. Non solo la tradizione attesta il contrario, non
solo esempi vi sono luminosissimi di Nazirato perpetuo, e basti citare
i nomi famosi di Sansone, di Samuele, e nei tempi Rabbinici di Elena
la pia Regina degli Adiabeni;[32] ma sopratutto il testo stesso su cui
pare il Munk affidarsi, se non dice aperto di un Nazirato a vita, non
parla nemmeno di tempo, non prescrive termine, nè limitazione prefigge.
Si dirà ancora che non vi fu Nazerato perpetuo? Io credo che la sua
esistenza non possa revocarsi in dubbio, e quindi un nuovo elemento,
un nuovo apparecchio emmi lecito intravedervi della grande e dotta
congregazione degli Esseni.
 
Io non lascerò, o miei giovani, l’argomento dei Nazireni, anzi che
non vi abbia fatto toccar con mano come oltre le regole, le leggi, le
istituzioni, il nome stesso di Nazireno sinonimizzi mirabilmente con
tutti quelli che in ogni tempo recarono gli Esseni, con tutta la ricca
suppellettile di nomi con cui a senso mio furono contradistinti. Primo
tra questi, e già in parte ve lo accennai altra volta, si è quello di
_Fariseo_; nome che nella sua vastissima comprensione anco l’Istituto
abbracciava degli Esseni siccome quello che dei Farisei era culmine
ed apogeo. Or che vuol dire Fariseo? Vuol dire _separato_. E come
direste separato nella lingua biblica, nella lingua della scrittura?
Direste precisamente _Nazir_; col qual nome avrebbe qualificato Mosè i
Farisei se al tempo suo fossero esistiti, in quella guisa che Farisei
avrebbero potuto qualificare i dottori i Nazireni?[33] Vi pare assai?
Udite ancora. Io vi dissi altra volta e ve lo proverò in seguito,
come speciale designazione degli Esseni fosse ai tempi Rabbinici
il nome di Hasidim. Volete ora vedere i Hasidim trasformarsi in
Nazireni? Certo che la metamorfosi vi parrà avventata. Pure nulla di
più preciso se aprite il Talmud al primo di _Nedarim_. Dove leggerete
questa confessione preziosissima; _che i primitivi Hasidim solevano di
frequente votarsi a Dio in Nazireni_.[34] Volete più? Certo che voi
discretissimi non esigereste di più: ma pure proviamoci: proviamoci a
recare il sinonimo di Nazir con Essena a quella evidenza che si può
desiderare maggiore. Voi vedrete tra non molto come il Talmud, come i
monumenti Rabbinici più antichi tracciano, siccome fu creduto finora
sul conto degli Esseni, come questo silenzio formasse sempre argomento
di legittima sorpresa per chiunque si facesse ad osservarlo, e come
questo preteso silenzio, fosse creduto, fosse ammesso non solo dai
dotti, dagli eruditi di ogni maniera, ma eziandio dai succedituri
Rabbini, dai dottori che sursero e scrissero dopo il Talmud i quali
quando ebbero contezza, strano a dirsi! per mezzo dei moderni scrittori
della esistenza di un antica setta fra loro per nome Esseni, quando di
essa ebbero come di peregrina e inaudita scuola a favellare, che nome
credereste che gli apponessero? il nome di _Nazireni_! Tanto pareva
loro confacersi agli Esseni l’antico nome di Nazireo, tanto al genio
rispondere il genio, la vita, le leggi alle leggi e alla vita.
 
Un grande insegnamento emerge, se io non sbaglio, dalle cose dette
sin quì, ed è questo: che senza ammettere una generazione diretta od
omogenea, grande però, massima parte di tutti gli elementi che la
vita composero e la esistenza dell’Essenato si trovano contenuti e
come in germe rinchiusi in seno al Nazirato ed al Profetismo. Purità,
sobrietà, dottrina, ispirazione, vita solitaria e cenobitica, costume,
dietetica e persino il nome loro caratteristico. Si può dire per
questo che tutte abbiamo le parti costitutive dell’Essenato? Io non
oso dir tanto: vi ha un elemento nella organizzazione degli Esseni
di cui traccia non solo nei Nazireni non si discopre, ma che pure
ardua, se non impossibile impresa, sembra trovarne vestigia nella
ebraica antichità; che dico? Che pare a dirittura contraddire alle
leggi, ai costumi, allo spirito generale dell’Ebraismo. E questo è
il _Celibato_. Il celibato fu egli dagli Esseni praticato? Ove sia
stato praticato, ha egli radici, ha egli origine nel genio, nella
storia, nel passato dell’Ebraismo? Io mi affretto a dirvi per ciò che
concerne la prima dimanda, come il celibato fosse istituzione sì degli
Esseni; non tale però che da tutti fosse egualmente praticata. Quando
delle leggi loro favelleremo e del loro Istituto, vedremo come gravi
restrizioni debbano accompagnare la divulgata sentenza che a tutti gli
Esseni indistintamente attribuisce il celibato. Pure si praticò; e se
non tutti come il più perfetto consideravanlo degli stati, certo che
appo taluni era in grande onore. D’onde quest’onore? D’onde questa
dissonanza dalla voce dei secoli che proclamava invece tra gl’Israeliti
maledetto, infame il celibato? Ardisco dire che l’ebraica antichità
non è sorda assolutamente al nostro dimando. Io vi so dire che certi
fatti vi sono e certe frasi i quali attestano manifestissimo che se pel
comune degli uomini, per le condizioni più comuni della vita sociale,
lo stato coniugale è lo stato più onesto, più meritorio, più religioso,
pure si dànno certi stati così sublimi, certi uomini così trascendenti,
certi momenti così augusti, in cui la virtù della continenza,
temporaria e passeggiera talvolta, si stende però altre fiate ad un
epoca così vasta, e talvolta abbraccia così una vita intera, che male
il nome si potrà contrastargli ed il carattere di _Celibato_. Quali
sono questi fatti e questi precetti? Un occhio penetrante li scuopre a
prima giunta nel gran campo delle scritture; una mente alquanto erudita
li ritrova nel grande emporio delle Tradizioni. Ecco i Dottori cui
amore stringe della vita speculativa, della vita ipermistica dispensati
formalmente dal matrimonio: ma di questo non dirò di vantaggio,
perciocchè non appartiene a rigore all’epoca delle origini. Ecco un
colloquio interessantissimo tra il sacerdote di Nobbe e David che
chiede cibo per sè e pei suoi. Ecco il sacerdote obbiettare come i
sacri pani non potessersi offerire a coloro che da contatto donnesco
non si fossero astenuti. Ecco David replicare essersi tutti da tre
giorni serbati continentissimi. Ecco Giobbe che pria di bandire i
Riti e il sacrifizio domestico, impone ai figli, apparecchiarvisi con
rigorosa castità. Che più? Ecco il gran fatto, il fatto più culminante
nella storia dell’Ebraismo, ecco la promulgazione della legge ed ecco
ciò che impone Moisè? Egli comanda si separi ognuno dalla donna sua
e tre giorni di severissima continenza li predispongano al condegno
accoglimento della parola di Dio. Volete più? Vi ha una tradizione
preziosissima certo non coniata in grazia dell’Essenato, ma che pure
torna mirabilmente in acconcio pel caso nostro, e la tradizione
riguarda Moisè. Si volle, si disse, che da quel punto in cui Dio fece
suonare quelle parole sacramentali «Ed ora qui rimanti con me;» il
gran profeta avesse letto nel volere divino l’obbligo di sequestrarsi
da ogni carnalità e di vivere oggimai la vita dei Celesti, e le sole
voluttà omai pregustare che il novello stato gli offriva nel consorzio
di Dio.[35] Che volete? Fosse consiglio della solitudine, fosse desio
di scuotere a dirittura ogni polve terrena, fosse vaghezza di una
perfezione superlativa, fosse persuasione di esquisita misticità, gli
Esseni nostri, allo stato aspirarono eccezionale dei grandi uomini
e dei grandi momenti nella vita dell’Ebraismo; aspirarono a fare
una regola, una legge dell’anormale e dell’eccezione, agognarono ad
ottenere del continuo quella istantanea elevazione in cui si tennero i
santi antichissimi in breve ora del viver loro; e invece di libare un
sorso della vita beata, vollero votare interamente la tazza. L’erezione
dello stato eccezionale in regola inflessibile, del transitorio
nell’immanente costituì tra gli Esseni il Celibato.[36] Questi sono i
germi, questa l’origine che ci offre la Bibbia. Quando parleremo della
istituzione in se stessa, avremo un altro termine fecondissimo di
raffronto, i Dottori e le Tradizioni; e il Celibato diverrà allora se
occorre anco più comprensibile. Per ora noi abbiamo fornita parte non
indifferente di nostra via, abbiamo notati, registrati nell’antichità
Ebraica gli elementi dell’Essenato. Abbiamo descritta la _embriogenia_
del grande Istituto. Otto giorni ancora e gli elementi disgregati,
inorganici, impersonali diverranno un ente vivo, storico, parlante,
organico, personale; in cui tutti o quasi tutti s’incarneranno i
discorsi elementi. Noi possiamo dire oggi: questi sono gli elementi
dell’Essenato. Noi potremo dire allora: questi sono degli Esseni i
progenitori, gli antenati. Noi diciamo oggi, ecco le pietre, ecco i
materiali: noi diremo allora, ecco la fabbrica, ecco il palagio, o
almeno: ecco le fondamenta.
 
 
 
 
LEZIONE NONA.
 
 
Se prepotente io non sentissi il bisogno di giungere più ratto che
ci è dato a la mèta prefissa, la tela che noi andremo questa sera
svolgendo troppo maggiore argomento ci offrirebbe che quello di una
sola conferenza. Le cose che ho a dirvi sono molte, sono gravi, sono
di grande momento, sono la ricostruzione storica dell’Essenato per
tutti i tempi favolosi, incerti, storici della sua esistenza, sono la
storia della sua incarnazione durante i lunghi secoli che precederono
l’Essenato propriamente detto, egli è infine l’_albero genealogico_
del grande istituto. Io stringerò il molto in brevissimi termini, io
vincerò il desiderio che pur provo vivissimo di farvi assaporare di
ogni parte il valore di farvi misurare sol collo sguardo gli amplissimi
orizzonti che ad ogni tratto ci si schiuderanno dinanzi, nè a questo
bisogno meglio che desiderio, verrei men di certo se io non contassi
sulla vostra penetrazione, sul vostro acume. Supplite voi al manco del
mio dire; intendete meglio che io non possa spiegami.

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