Passeggiate per l'Italia 22
Alto tuttavia urlava il mare percosso dal turbine impetuoso, fuori
presso il roccioso lido, e già avevano i balzanti flutti trascinato
quei fuggiaschi di Pompei nel naviglio del vecchio egiziano, che
ora coll'albero infranto giaceva gettato sulla spiaggia salvatrice
di Capri. Non lungi da Napoli si eleva la bella roccia dedalica
dell'isola aprica. Ivi Amore si compiace di sognare nelle grotte di
zaffiro origliando alla camera nuziale delle sirene del mare, dove,
con delicato sorriso, le onde tremolano nel fosforo e l'aria narcotica
intesse tranquillamente di azzurro il grazioso crepuscolo. Ma fremeva
ora il mare intorno al lido tutto inarcandosi di onde cristalline, e
la schiuma schizzava fin sulla cresta dell'isola. E come una nebbia,
la cenere compatta e crocchiante copriva gli scogli, e lontano sulle
onde l'uragano agitava un vortice di nubi. Rosse splendevano le rocce e
rosso il golfo ribollente, ma fosco si agitava il mare nello splendore
solfureo, impetuosamente illuminato dai lampi e poi di nuovo coperto
subito dalla notte. E con luccicanti creste s'avvolgeano i sibilanti
cavalloni, sbuffavano in alto inalberandosi e risuonando poi sulla
scogliera, sì che intorno ne rintronava la spiaggia ed echeggiava con
rimbombo l'isola.
Così passava rapido il tempo, non più partito dal mutare delle stelle
nel cielo. Poichè non era nè giorno nè notte, e solo rossi bagliori
raccapriccianti solcavano la terra che fumava. Se le ore scorressero,
se i giorni si spegnessero nella notte senza misura di tempo, nessuno
dei mortali avrebbe saputo.
Finalmente venne la calma; presso agli scogli di Capri cessava di
fremere, stanco, il mare, e la tempesta delle nuvole ammainava le vele.
E le nebbie squarciate, già tutte infrante a brandelli, affollandosi a
mo' di schiera correvano e si spingevano al mare come corrono le flotte
di ritorno alla loro patria dopo la terribile battaglia navale, serrate
a schiere anch'esse ed affollandosi al suono delle tube, mentre le vele
sventolano rotte intorno all'antenna e foschi sporgono i tronchi degli
alberi spezzati; e le navi, stanche dalla lotta, tirano giù le vele
stridendo come gru e sempre più lontano nereggia la fitta squadra sul
mare.
E già dai crepacci della grigia nuvolaglia appariva l'azzurro del
cielo, quando spuntò timido l'astro del mattino e dall'azzurra notte
di ambrosia emerse con tutte le stelle la lampada degli Dei, Orione.
E subito splendette l'aria, il chiarore divenne sempre più limpido,
un vapore colorato si levò dalla sponda gialliccia del levante,
morbido come il chiarore dell'Iride, quando affrettandosi al mare si
trascina dietro il lembo della sua veste variamente ricamato a fiori
e la traccia luminosa delle ali. Come un brivido corse un alito di
vento e dalla scogliera si precipitò con alte strida il gabbiano,
a tuffare nei flutti le sue ali strepitanti. Un grazioso sorriso
mattinale rischiarava adesso il cielo, e spuntò rosea la magnifica
Eos vivificatrice della città, mentre in largo s'accendeva il mare e
risplendeva la cresta di Sorrento, come s'accende l'ebbro e sanguigno
capo del fiammante papavero. Timide ricomparvero le rive, avvolte come
in un velo d'incerto vapore: colà la riva di Pesto e qui gli scogli
delle Sirenusse, di là la riva di Napoli e il giallo monte Miseno.
Ma il dominante Vesuvio se ne stava lì maestoso nella sua pompa di
porpora, tranquillo come un eroe che silenzioso contempli il campo
di battaglia e i morti, niente affatto rannuvolato dal rimorso e
appoggiato alla lancia luccicante della zuffa.
Appena spuntò Elio per sanare della sua luce la terra, il vecchio
veleggiò subito con la sua nave verso la riva di Pompei, per osservare
con i propri occhi e cercare tra i superstiti e i morti.
Ma chi può dire quale orribile e violento dolore assalisse ora i
figli di Arrio, che si abbandonarono alla piena dell'affanno, quando,
simili a naufraghi, si svegliarono sull'estraneo lido, privi di
speranze, poichè il compagno svelò loro la sorte del padre e non cercò
d'illuderli in nessuna maniera? Strappandosi i ricciuti capelli e
percotendosi il petto, il fanciullo emise un profondo grido di dolore
che si ripercosse lontano negli scogli di Capri.
Arrio! risuonavano le rupi, ed Arrio! ripeteva l'Eco. E con i sensi
smarriti Ione vagava lungo la riva: ora, silenziosa contemplando le
coste di Pompei, sollevava il braccio in alto verso il cielo con le
labbra aperte senza profferir parola e pazza di dolore, ora lanciava
nell'aria un grido improvviso. Non così nello spasimo del cordoglio
uscì un giorno un canto di dolore dalla bocca di Cassandra, che
contemplava i ruderi di Ilio, seduta sul lido nemico, e versava nel
mare il suo affanno triste come la morte, impennando le aure del
suo sacro grido di malinconia, come ora si lamentava Ione cercando
il padre, gli amici, la patria, che senza tomba erano profondamente
sepolti sotto la lava vomitata dal Vesuvio. Ed ella supplicava la
morte, e spesso saltava avida di sprofondarsi nel mare; però la
stringeva gemendo il fratello Ion e forte talvolta la cingeva con le
braccia Euforione, versando lacrime di raccapriccio e unendo gemiti a
gemiti. Essi passavano nel pianto il giorno come passavano anche nel
pianto la notte, storcendo le mani con sospiro ed errando intorno alle
rupi dell'isola, così come i figli del cigno, che seggono raccolti sul
rossastro promontorio presso il mare e battono le ali e gridano senza
fine con un gemito rassomigliante al suono dell'arpa nell'azzurra
solitudine dei flutti, poichè il cacciatore uccise loro i genitori
distruggendoli insieme col nido.
Di nuovo si fe' giorno. Quand'ecco ritornò anche Serapione, mentre
quelli ansiosi, immoti nel sordo dolore, vuoto il petto di sorgenti
di lacrime, tristi pensieri volgendo, sedevano sul giallo scoglio,
sui gradini di marmo del palazzo, che Tiberio, il demone di Capri,
un giorno si fabbricò cingendolo di magnifiche colonne, da' cui
piedistalli scintillanti intorno alla scala si specchiavano giù nel
mare immagini di numi tacite e severe.[11] Colà li trovò il vecchio,
ei venne inerpicandosi per l'erta della riva e subito, come un uomo
del quale lo sguardo precursore della parola accenni a qualcosa di
triste, Serapione cominciò perplesso in tali accenti: «Infelici, oh che
cosa debbo io ora riferirvi? come potrò riuscire ad esprimervi tutto
ciò con parole? Un ammasso di polvere è diventata Pompei, inghiottita
la città e sotterrata anche la sua gente! Nè il padre, nè la casa, nè
gli amici, nè la patria sperate di vedere; l'inarcantesi terra tutti
insieme li ricopre. Ahimè! nessun occhio li vide, e chi è sfuggito
alla rovina dice che è morto Arrio, e morto anche Pansa ed è morto
anche Ismeno! Chi discerne fra i molti che perirono? Da ogni parte
imperversa la distruzione ed il caos, sembra che tutto sia una fossa
sola. Le macerie coprono colà il paese sfigurato come con le onde
fangose del Nilo. Plumbei si elevano gli ammassi della lava rappresa;
monti vomitati dal monte seppellirono i campi e le città, e la terra
fusa indurisce selvaggia, orribilmente compressa nelle sue zolle. E
d'intorno deserto; un pantano di zolfo, un indicibile ammasso a strati
di cenere e sabbia e frane e frantumi infiniti! La città precipitò nel
profondo del Tartaro senza lasciare alcuna traccia; così del Vesuvio si
distese su di essa un lenzuolo di polvere e una nera coltre di cenere,
che non un tempio si scerneva, non il teatro, non la piazza, neanche
una casa. Ma qua e là dal flutto di cenere un dorico capitello sporgeva
il suo capo tentennante come un ebbro, e si vedeva l'orlo merlato d'una
torre infranta. Ahimè! e di morti un esercito! gli uni fissi nella lava
e gli altri nella sabbia, ovvero accomunati nelle onde fangose con le
bestie marine, che il mare ora rivolge con raccapriccio negli orribili
flutti insieme coi percossi alberi e le caviglie delle infrante navi.
E il vento solleva un turbine di polvere; come nel deserto di Libia,
su Pompei la cenere danza le furiose danze della morte. Napoli e Nola
mandarono in fretta delle schiere di fossatori, se mai riuscisse loro
di liberare qualcuno dai frantumi; ma questi uomini rimangon lì fermi,
con le zappe inerti ai loro piedi, pieni di orrore e guardano la nera
campagna flegrea. E come i corvi d'autunno riempiono di strida il
terreno dissodato, accoccolandosi a stuolo, così seggono colà le donne
gemendo fra i rottami, con monotone grida, e versano sul loro capo la
polvere solfurea. Il dolore, segugio della morte, manda alti gemiti
colà e cerca la via nella cenere ammonticchiata; la fame con lucente
sguardo gironza intorno e fruga tra i rottami con urlante delirio.
Oh come basterà la parola ad esprimere tutto ciò? Intorno al grazioso
golfo ora la morte intreccia nere ghirlande; anche altre città caddero;
caddero Ercolano ed Oplonti,[12] Stabia è coperta dalla notte. Da che
la terra popolata uscì fuori del caos, giammai occhio mortale vide così
violenta ed orrida distruzione! Cessate, deh, cessate dal lamentarvi!
nessun dolore può misurare questi abissi vertiginosi e senza fondo.
Muto sta l'uomo innanzi all'opera dei celesti, compreso di stupore
e d'irresolutezza, e lascia compiere ciò che non può arrivare mai a
capire. Lasciate che i morti riposino tranquilli e che il padre dorma
nella sepoltura della casa, beati loro che non videro la caduta e lo
squallore di Pompei, perchè un demone del cielo li rapì di mezzo alla
festa».
Così il vecchio. Ancora alto gridava il giovanetto Ion con voce
risuonante e con volto nascosto amaramente sospirava. Ma Ione, con le
mani tese verso la sponda azzurro-velata di Pompei, d'un volto simile
alla morte, rabbrividito e pallido, sparsa sul petto la chioma fluente,
stava ferma a guardare nel mare, finchè le braccia non le si piegarono
per istanchezza ed il capo non s'appoggiò alla spalla dell'amico
Euforione, il quale sollevò per mano dal suolo anche il fanciullo.
E intenerito vide il vecchio come le giovani figure legasse insieme
la catena del dolore e la catena dell'amore. E a lungo esse rimasero
così silenziose nell'ansimante dolore e contemplarono malinconicamente
la vita, quando a un tratto il vecchio proruppe: «Ben vede oggi il
sole della trasformazione tante cose che i popoli istituirono, le età
consolidarono, la repentina morte disciolse. Il povero ora si unisce
al ricco e il signore chiama fratello lo schiavo. Che sono i desiderî
degli uomini e che è mai l'affaticarsi per il futuro? Che cosa è il
tuo dolore, o Euforione, che poco fa scagliasti selvaggiamente contro
il cielo per una meschina figura di argilla? Ecco, Pompei giace nella
polvere frantumata, rotta come un vaso che un fanciullo scherzando
getta giù dal piedistallo. Ora vi abitano le larve e striscia pei muti
palagi il verme schifoso, sedendo sull'oro e sulla seta di Tiro. E la
notte eterna copre le preziose meraviglie della bellezza. Così come
i ciottoli della roccia, il tempo rotola costantemente le opere degli
uomini, schernendo i figli di Prometeo che, poveri creatori, formano
polvere dalla polvere. I nipoti ereditano le macerie e la posterità
dolente raccoglie anche la più sublime azione come un rottame di mezzo
ai frantumi».
A ciò subito levò il capo il Greco e disse con commozione: «Ben
dicesti tu il vero! Un sol minuto basta a dileggiare i nostri titanici
dolori e i più eccelsi sensi divini, giacchè anche dietro la mano e
l'opera di Fidia stava un giorno motteggiando la morte e placidamente
si prendeva gioco dei rottami in cui quella si sarebbe ridotta. Pure
tutto ciò che nel petto aspira con forte desiderio alla luce, ciò
che tende all'immortale con la lieta brama del creare, o vecchio,
non è un soffio della dileguantesi ora mortale! Cadono le città e i
popoli, muoiono le opere degli uomini, ma rimane il potere dell'arte
ed il lavoro che redime; i quali, sacerdoti celesti della luce e
della libertà, peregrinano come messi andando dai padri alla vegnente
generazione dei nepoti. E l'uomo si rinnova eternamente, ammassa
opere su opere, attendendo pacifico alla perfezione del fiore della
terra, con santa umiltà. Così io la penso, e quantunque ancora l'anima
mi stilli di morte, pure mi è rimasta la forza e la brama infinita
dell'operare. Anche a me han distrutta i celesti l'officina e le
opere, e nel medesimo tempo il dubbio ed i miei piccoli dolori puerili.
Eternamente adunque le macerie coprirono le opere dell'apprendista, per
sempre quelle figure del sogno e della brama che lottava con energia
giovanile. Ma come quando nella vampa del Vesuvio io tuffai l'anima,
sì che essa, liberata dalla scoria della pesante materia e purificata
dalla torbida miscela, tende ora alle vette apriche, così io son
divenuto, così mi sento rinnovato, così ringagliardito dentro di me».
E l'Egiziano guardava lieto l'insigne giovane così entusiasta,
ammirando com'egli, con ancora la veste di schiavo sulle vigorose
forme, se ne stesse colà virilmente col capo sollevato e coperto da
riccioli neri, simile al figlio di Dedalo che aveva modellato nella
creta, ma più tranquillo e più grave; e l'ospite amico si compiaceva a
guardare come per mano ei si tenesse la più bella fanciulla di Pompei.
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