2015년 6월 1일 월요일

Storia degli Esseni 10

Storia degli Esseni 10



Vedete, in fatti, il signor Frank precludersi colle sue mani la via
a spiegare non solo, ma nemmeno a comprendere la sognata origine
Alessandrina. Vedete egli stesso elevare una barriera materiale,
insormontabile, che il passaggio persino contende, onde prendere
nello Egitto lo Essenato. Vedete egli stesso porci le armi alla mano,
con queste parole: «Dallo istante (egli dice, e traduco a verbo),
dall’istante in cui la scuola Neoplatonica prese a fiorire nella nuova
capitale dell’Egitto, sino alla metà del secolo IV dell’E. V.; epoca
nella quale la Giudea vide morire le sue ultime scuole, i suoi ultimi
Patriarchi, le ultime faville della sua vita intellettuale e religiosa;
quali rapporti troviamo tra i due paesi, tra le due civilizzazioni
da essi paesi rappresentate? Ove, durante questo tratto di tempo, la
filosofia pagana fosse penetrata nella Terra Santa, e’ bisognerebbe
naturalmente supporre la intromissione degli Ebrei di Alessandria. Ma
gli Ebrei di Alessandria sì scarsi rapporti aveano coi loro fratelli di
Palestina, che assolutamente ignoravano le istituzioni Rabbiniche, le
quali tra gli ultimi occuparono luogo così cospicuo, e che trovavansi
già radicate tra essi oltre due secoli innanzi l’E. V.»E quali prove
reca in mezzo il sig. Frank ad avvalorare l’asserto?
 
Prove reca, bisogna pur dire, che desiderar non potrebbonsi più
luminose. Egli reca la intera Enciclopedia ebraica alessandrina, ove
assoluta campeggia la ignoranza delle cose e degli uomini Palestinesi.
Reca, tra gli apocrifi, il libro della Sapienza, di origine, di autore
Alessandrino. Reca l’ultimo libro dei Maccabei, foggiato come pare
indubitato sulle rive del Nilo, ed il silenzio ci addita e la ignoranza
assoluta di tutto quello che Palestina riguarda. Ignoranza dei più
grandi uomini, che alta e sonora levarono fama di sè; ignoranza di
Simone il Giusto, dei più celebri tra i Tannaiti; delle grandi scuole
di Hillel e Sciammai; e sovra tutto, ei dice, ignoranza di costumi,
d’idee, di tradizioni. Ma il Frank non è uomo da darci dimostrazioni
incompiute. Egli prova, e si può dire con egual nerbo, con egual
verità, la ignoranza reciproca nella quale gli Ebrei di Palestina
vivevano di tuttociò che in Egitto avveniva, di tuttociò che concerneva
i loro fratelli di Alessandria. Lo prova la oscura, l’alterata
cognizione che i dottori possedevano della traduzione dei Settanta; lo
prova il silenzio strano, incomprensibile, nella Misnà e nel Talmud dei
nomi più insigni, delle grandi, delle somme illustrazioni israelitiche
dell’Egitto; silenzio di Filone, silenzio di Aristobulo, e silenzio
infine di tutte le opere anzidette, concette e partorite all’ombra
delle scuole Egiziane. Lo credereste? Egli è in mezzo a quest’osanna
perpetuo, alla impossibile comunicazione tra Palestina ed Egitto, egli
è in mezzo a questo concorso imponente, maestoso di prove, contro
l’origine Alessandrina, egli è qui, qui per l’appunto che l’origine
Alessandrina degli Esseni si pone dal signor Frank siccome quel vero,
che mestieri non ha di esser provato.
 
Voi lo udiste; voi vedeste con quanta urgenza di prove l’illustre
autore innalzi tra Palestina ed Egitto tale una muraglia, rispetto
alla quale, quella famosissima della Cina ti pare un trastullo. Che
credereste ora che faccia il sig. Frank? Egli crede citare la massima
delle prove, e cade invece, se così è lecito pensare di un tant’uomo,
nel massimo degli equivoci. Egli cita in prova della non avvenuta
comunicazione tra Palestina ed Egitto, il silenzio dei Rabbini intorno
gli Esseni, intorno i Terapeuti. Perchè, egli chiede, perchè questo
silenzio? Perchè gli Esseni, ei dice, origine avevano egiziana, e nulla
che fosse egiziano dai Rabbini si conosceva.Sogniamo o siamo desti?È
egli il sig. Frank che tale profferiva sentenza? E pure, dovuto avrebbe
ad una piccola circostanza avvertire, che tutta avrebbe mandata a
soqquadro la sua argomentazione; ch’è quanto dire, avria dovuto
avvertire, che se la ragione può valere pei Terapeuti dimoranti in
Egitto, non lo può in nessun modo pegli Esseni in Palestina stanziati;
pegli Esseni che viveano tra le stesse mura e sotto gli occhi stessi
dei dottori, i quali se non ne fecer menzione, a tutt’altra cagione
bisogna imputarlo, che non a quella della pretesa origine egiziana.
La quale origine egiziana tuttochè fosse vera addimostrata, nulla
avrebbe impedito che dai dottori gli Esseni si conoscessero, e di essi
a dilungo favellassero, siccome quelli che comune con essi avevano e
patria e soggiorno e convivenza. Che se non lo fecero, non ci dite,
di grazia, perchè traevano dall’Egitto la origine; chè così dicendo,
offendete, non ch’altro, il più comunale buon senso.Ma che dico il
buon senso? Dovrei dire la vostra istessa teoria, il vostro sistema
istesso d’isolamento, di separazione dell’Egitto. E come no? Voi dite
gli Esseni Egiziani. E bene sta. Ma dove abitavano cotesti Esseni?
Abitavano pure in Palestina; dunque di Egitto trasmigrati si erano
in Palestina, o almeno le idee loro dall’Egitto passate erano in
Palestina, perchè uomini od idee, nel caso nostro, è tutt’uno. Ma se
passarono, se dall’Egitto trasferironsi in Palestina: che segno è? È
segno che questi rapporti da voi negati, esistevano veramente. È segno
che le dottrine cabbalistiche possono avere quelle stesse vie percorso,
che lo Essenato percorse. È segno che tutto l’apparecchio dialettico
da voi posto a sostegno della _autonomia_, della _originalità_
cabbalistica, ruina ad un tratto. È segno che coteste due cose da voi
sostenute, non possono insieme capire. È segno che bisogna scegliere,
che bisogna ottare.Volete gli Esseni derivati d’Egitto? Ed allora non
negate tralle due regioni i rapporti. O meglio vi talenta ricusare tra
Palestina ed Egitto ogni legame, ed allora rinunziate alla origine
alessandrina dello Essenato. Volere e l’uno e l’altro, è al di sopra
di ogni creata possanza: stare, per così dire, sulle due sponde a
cavallo, è opera più che umana; conciossiachè del solo colosso di Rodi,
si narri poggiare ad un tempo i suoi piedi sulle due opposte rive. Ma
il colosso di Rodi è favola meglio che storia. E bene, o miei giovani,
se ne accorse quel perspicace intelletto del _Munk_, il quale nella
sua _Palestina_ (a p. 519) tali parole dettava sul conto del Frank,
le quali comecchè di gentilezza condite, non lasciano per questo di
contenere l’avvertenza che noi al signor Frank dirigiamo. «Sembra,
dice, in verità avere il signor Frank indebitamente negletto l’officio
che gli Esseni ponno aver sostenuto, quali mediatori e sensali, tra
l’Egitto e Palestina.»
 
Questa si chiama conseguenza, e noi volentieri la ossequiamo, quale
diretta e legittima illazione del principio da ambidue consentito, cioè
della origine alessandrina dell’Essenato. Noi possiamo però separarci
dalla costoro sentenza, senza per questo incorrere nella taccia di
contraddizione. Noi neghiamo col signor Frank la comunicazione tra
Palestina ed Egitto; ma neghiamo altresì ciò ch’egli non fa veramente,
cioè la origine alessandrina dello Essenico istituto.[21]
 
Io vi dissi che gli argomenti dal signor Frank invocati a
sostegno della _autonomia_ cabbalistica, militavano con non minor
urgenza in favore dell’autonomia degli _Esseni_. Giudicatene voi
stessi.Ignoravano, egli dice, i dottori di Palestina, i loro
confratelli di Egitto. In qual guisa le scuole pagane avriano
conosciuto? Non è egli, io aggiungo, cotesto validissimo argomento
in favor eziandio della originalità degli Esseni? Ma più. La lingua
greca, dice il signor Frank, era in onore: sì, ma appo gli Israeliti di
Palestina non era però familiare. Vedete, egli aggiunge, vedete Flavio
che pure nella scienza pagana ci sembra tra i coetanei il più erudito.
E pure, chi il crederebbe? è Flavio stesso che ne depone, è la sua
confessione, sono le sue parole: _Mestieri egli ebbe di chi nella greca
favella lo erudisse, quando prese a dettare le sue istorie.Mestieri
ebbe di porsi al fianco tale, che nella lingua dei Greci quelle nozioni
possedesse, di cui egli era digiuno. Mestieri fu che le istorie sue al
costui sindacato sottoponesse._Non basta. Flavio non recita sol di sè
stesso la confessione, ma la ignoranza egli autentica altresì di tutti
i suoi contemporanei, i quali al dire di lui poco in generale delle
lingue curandosi, poco eziandio coltivavano lo idioma dei Greci; e se
l’idioma, dice il Frank, era così trascurato, come potevano meglio
conoscere le dottrine in esso idioma vergate? Bene, a parer mio,
argomenta il signor Frank, e non meno bene noi stessi argomentiamo.
 
Io torno e domando. Avvi nulla in questo raziocinio che a capello non
si acconci alla istituzione degli Esseni? Avvi nulla che più manifesto
resulti della loro autonomia?Ma più oltre spinge il signor Frank la
intrapresa argomentazione, e più oltre con esso noi pure procederemo.
Che cosa dice il signor Frank? Poniamo, egli dice, che la lingua si
conoscesse. Poniamo che queste materiali difficoltà che noi vedemmo
frapporsi alla comunicazione dei due paesi, non esistessero; mettiamo
anzi, che liberamente le idee alessandrine in Palestina circolassero, e
quelle di Palestina nello Egitto avessero accesso. Sarebbe per questo
più probabile l’adozione delle dottrine dei Greci tra gli Ebrei, tra i
dottori di Palestina? Lo nega il signor Frank per ciò che le dottrine
cabbalistiche concerne, ed ha ragione. Chiama il Frank a rassegna, e
concludenti ed infiniti sorgono alla sua voce, fatti, assiomi, decreti,
anatemi, che tutti attestano concordi l’errore, la repugnanza in cui
si avevano tra i dottori antichissimi le dottrine dei Greci. Egli
chiarisce assurda, impossibile la pretesa consecrazione di teorie
forestiere; egli restituisce alla teologia cabbalistica i suoi titoli,
la sua ingenuità, la sua cittadinanza.
 
Io credo che niente più grecizzante sia il nostro Essenato, il
quale, come vi accennai sino dall’esordire, tra le più distinte
file si reclutava del nostro dottorato; che n’era, a così dire, il
_substratum_, la _quintessenza_, il patriziato, e quindi doveva tutte
parteciparne le viste, tutte le repugnanze. Finalmente, vi ha un
argomento al quale come ad _ultima ratio_ ricorre il signor Frank; nè
male veramente si appone, sendo questo, e per esso e per noi, decisivo.
Egli è l’argomento cronologico. Prova il Frank che R. Iohanan Ben
Zaccai, grande Patriarca della misteriosa _Mercabà_, molto tempo
innanzi fioriva che una scuola si schiudesse in Alessandria, che un
solo filosofo vi facesse udire delle sue dottrine la voce. E non solo
R. Iohanan Ben Zaccai, ma un dottore ad esso posteriore, R. Gamliel,
quella scuola alessandrina precedette di tempo, conciossiachè da
lunga pezza egli fosse già morto quando i primi albori spuntavano di
filosofia nella città di Alessandria. Or bene (cosa meravigliosa e pur
vera!), non si avvide il signor Frank, che questa stessa cronologica
repugnanza si oppone a dirittura a qualunque preteso rapporto tra
l’Essenato e gli Alessandrini; che questa anteriorità ch’egli a buon
diritto conferisce ai dottori sulle scuole di Alessandria, di gran
lunga maggiore, vantano meritamente gli Esseni, siccome quelli che, a
confessione del medesimo signor Frank, erano, come attesta Giuseppe,
generalmente conosciuti non solo ai tempi superiormente indicati
di R. Gamliel e di R. Iohanan, ma in tempi assai più per antichità
ragguardevoli, ch’è quanto dire ai tempi di _Gionata Maccabeo_, quando
150 anni dovevano ancora passare pria che di Cristiani si parlasse,
pria che le scuole alessandrine risuonassero di quelle dottrine, che si
vogliono generatori, balj del grande Essenato. E questo è argomento che
davvero vi sembrerà categorico. Nè ciò basta.
 
Quando più saremo innoltrati nelle presenti esposizioni, molte
cose vedremo che a confermare varranno la impossibile derivazione
straniera del grande istituto degli Esseni. Vedremo la loro forte e
rigida organizzazione, i gelosi insegnamenti, le lunghe prove, le
incomunicabili dottrine, la perpetuità, la immutabilità dei dettati e
tutto; insomma, vedremo quello che costituisce una forte, un’autonoma
personalità, ove il genio spicca della _originalità_ anzichè della
_imitazione_, del profondo e concentrato sentire anzichè della
espansione, della interiorità anzichè della esteriorità. In una
parola, noi vedremo come non solo tutti gli argomenti dal signor
Frank accampati, ma ben altri ancora rendano sommamente improbabile
quella greca paternità, che pel Munk, pel Frank e per V. Gioberti si
volle agli Esseni assegnare. Adesso venga pure avanti nella prossima
conferenza l’origine cristiana, che non la temiamo. Faccia pure
l’estremo di sua possa, chè rimarrà ancor essa sconfitta. Tutti i
campioni che ella potrà mettere in campo, non salverannola dall’ultimo
eccidio. Dirò come David nell’atto di affrontare Golia: «_Ed io pure il
Leone, ed io l’Orso percossi a morte._»Quando si è avuto l’onore di
convincere d’inesattezza gli autori questa sera rammemorati, si può a
buon diritto sperare di venire a capo di altri eziandio. E sin da ora
ai difensori della origine Cristiana potrò dire con Dante:Ch’a più alto lion trassi lo vello.

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