2015년 6월 1일 월요일

Storia degli Esseni 16

Storia degli Esseni 16


Prende il Cronista a narrare le genealogie di Giuda, a ricostituire
il passato d’ogni famiglia, a riconnetterla cogli antichi anelli
di cui si parla nel Pentateuco. A un certo punto della genealogia
ascendente, esce fuora con queste parole: _Ora famiglie di Scribi di
Dottori abitavano presso Jahbez le quali dicevansi, le quali sono i
Cheniti che discendono dal fondatore dei Recabiti._ Gran parole, o
signori, e quante cose non s’imparano dalle parole citate! Vedete
le famiglie di Scribi Solferim da Sefer libro in quella guisa che
_Letterato_ si disse un tempo ognuno che _legger_ sapesse; Soferim che
i Lessici interpretano _coloro che espongono e spiegan la legge_, QUI
LEGE DESCRIBENDA ET ESPLICANDA VACAT, Soferim che lo stesso _Kimhi_ al
luogo istesso delle cronache non può a meno di comentare _che scribi
erano e Dottori della legge_. Vedete i nomi stessi delle famiglie
discorse, tutti significanti e parlanti secondo il valore che traggono
dal sacro idioma. Vedete _Tirhatim_ da _tarha_ porta sinonimo in
Ebraico, siccome è noto, di _Aula, di Corte, di Magistrato_ e che noi
Europei usiamo ancora quando diciamo la _Porta_ Ottomanna, e quindi
vedrete nei Soferim la _gente Aulica, magistrale e Patrizia_. Vedete
la Mehiltà di Rabbi Ismael libro più antico del Talmud e forse più
venerando, ove della parola tirhatim come delle altre che seguono tali
si offrono graziosissime etimologie che più in acconcio non potrebbero
tornare ai predecessori degli Esseni; anzi che dico? che a niun altro
possono attagliarsi se non a costoro. _Tirhatim_ dice la Mehiltà da
tarha _porta, conciossiachè abitassero alle porte di Gerusalemme_.
Meraviglioso a dirsi! Sappiamo da Giuseppe che una porta eravi ai
tempi suoi in Gerusalemme che si chiamava _la porta degli Esseni_.
Che più? Tirhatim dice la Mehiltà da strepito, suono, preghiera,
perchè le preghiere loro eran accette. Giuseppe vi citerò e Filone
dai quali sappiamo come in altissimo pregio fossero tenute le costoro
intercessioni. Volete piuttosto, continua la Mehiltà, che significhi
i _Chiomati non Rasi_ ed allora vi ricorderò ciò che, non è molto,
io vi diceva intorno al costume dei Nazareni _Jesco più antico, e
dei Cheniti ed un tempo e degli Esseni medesimi_. Ma ecco gli altri
nomi, ed ecco non meno belle ed appropriate derivazioni secondo la
Mehilta: ecco Scimhatim da _Sciamah_ ascoltare, ubbidire, e quindi gli
ubbidienti, i sommessi, come a dilungo discorrono gli storici intorno
agli Esseni, reverenti sovra ogni altro, all’autorità dei maggiori e
dei capi, siccome a suo luogo vedremo. Ecco _Suhatim_ e con bello e
significante corteo di preziosi sensi che a nessun altro, ardisco dire,
possono tornare confacenti se non agli Esseni. Suhatim che deriva, dice
la Mehilta, da _Saha_ conciossiachè da ogni unzione si astenessero;
e mirabile veramente! la storia tutta attesta concorde essere stato
l’orror degli unguenti costume peculiarissimo del nostro Istituto,
come anche questo a suo luogo vedremo. Ecco lo stesso Suhatim derivare
da Capanna _Succa_ perchè vita menavano, dice la Mehilta, solitaria e
romita; ed a chi meglio potria l’indicazione tornare a capello se non
agli Esseni?
 
Questi sono i nomi delle famiglie. Voi li udiste: Tirhatim, Simhatim,
Succatim. Ma quale n’è il nome di stirpe, il nome generico? Il testo
lo dice, nè tollera dubbiezza: _sono essi i Cheniti_, i Cheniti che,
come veduto abbiamo nel libro dei Giudici, sono i discendenti di Jetro,
e più specialmente, aggiunge il testo, sono tutte da quel derivati
che la grande famiglia fondò dei Recabiti, _Abbahim me-hamà abi bet
rehab_. Quando più oltre avrem proceduto, vedremo chi sono i Recabiti;
li vedremo famosi solitari ai tempi di Geremia, li vedremo in una
società costituiti che tutte reca in rudimento le future sembianze
della società degli Esseni, in quella guisa che nel fanciullo stanno
ascose in potenza le fattezze, le membra dell’uomo adulto. Per ora le
cose dette ci bastino; e più oltre proseguiamo nel corso dei secoli a
trovarne i vestigi. Li vedemmo ai tempi dei primi Giudici. Ma Giudici a
Giudici si succedono; ed una donna, donna di genio, una donna profeta
sorge in Israel. Voi la nomaste, ella è Devora. Dove sono li Jetroiti?
La storia ne parla, e ad una nuova emigrazione accenna, operata dal
centro della Palestina meridionale alle regioni del Nord. Voi conoscete
la storia di Devora, i suoi giudizi, le sue battaglie, i suoi trionfi.
Ma non so se ricordate egualmente _Jaele_, Jaele l’ucciditrice di
Sisara, Jaele che volle essere infame per tradita ospitalità, pure
di salvare la patria diletta, Jaele che fu benedetta in quel canto
famoso ch’irruppe dal petto della gran donna vittoriosa Taelmoghe, come
udiste di _Heber il Chenita_ che insieme ai fratelli viveva allora in
Israel. E dove sono i fratelli, la famiglia, la società? in questo
verso sono che la narrazione precede delle battaglie di Devora, dei
suoi trionfi. Come suona il verso? _Ora Eber il Chenita separato si era
dai Cheniti fratelli, dai figli di Obab suocero di Mosè e tese aveva le
sue tende nella pianura di Sananim ch’è presso Chedese_, ch’è quanto
dire all’estremità boreale di Palestina, nel Territorio di Zebulun
e di Neftali e presso quel Chedes istesso che fu patria al capitano
Barac. Voi l’udiste, i tempi dai primi Giudici trascorsi non estinsero
la nobilissima stirpe. Vivono i Cheniti, vivono in Israel, nella loro
fede, nella loro alleanza, in loro ausilio; e vivono, ciò ch’è degno
di nota, sotto le tende e vivono nelle campagne.[39] Vedremo più tardi
i loro ultimi successori ai tempi di Geremia viversene pur essi per
valli e per monti, e nella quiete riparare pur essi di pacifiche tende.
 
Ma il gran fiume della Istoria Giudaica ripiglia il suo corso, e noi
pure con esso. Dopo Devora e Giudici, e guerre, e pace, e servitù,
e riscatti, si succedono incessanti. Ecco Elì, ecco Samuele, ecco
l’antica ebraica repubblica in monarchia trasformata, ed ecco Saul il
monarca novello, ed ecco infine la guerra di Amalek. Tempi ed eventi
sono trascorsi in gran numero. Sarebbe mai per avventura de’ Jetroiti
smarrita la traccia? Tranquillatevi, essi vivono, e vivono quali i
loro antichi predecessori vedeste poc’anzi. Dove sono? Sono qui,
sono nel centro tuttavia da’ proavi abitato, sono a mezzogiorno di
Palestina, a mezzogiorno di quell’istesso Arad di cui fu menzione nel
libro dei Giudici, sono come allora sulle rive del mar Morto, e come
allora precisamente sono anche adesso limitrofi, finitimi a Amalek.
Ma la guerra santa contro Amalek è bandita; al nuovo re n’è commessa
l’impresa: ed egli già scende a fare strenua prova di sè contro ai
nemici di Dio. Che farà Saul? Rivolgerà egli contro i Cheniti le armi?
Forzerà il passaggio? La quiete dei loro abituri conturberà col romore
di guerra? No! pieno di rispetto pei figli di Jetro non forza il
passaggio che sarìa? violenza; non lo chiede nemmeno poichè di guerra
non vuole offrirgli nemmeno l’aspetto, la mostra; non li invoca in suo
aiuto, non li spinge alle armi conciossiachè egli sappia troppo alieno
officio essere a quei solitari i ludi di Marte: ma che fa Saul? Fa
ciò che qualunque capitano avria fatto con religiosi, con sacerdoti,
con solitari. L’invita a sgombrare. _E disse Saul ai Cheniti: su via
partitevi da Amalek onde con esso non siate involti, conciossiachè tu
abbia usato carità con tutti i figli di Israele, quando trassero fuori
della terra d’Egitto: e si partirono i Cheniti d’infra Amalek._
 
Ma che? E Saul e Cheniti e Amalek rapiti sulle ali del tempo, più non
si lascian vedere ai nostri sguardi: quella generazione è passata, e
tempi sorgon ed uomini e fatti nuovissimi. Ecco David, ecco Salomone,
ecco il reame d’Israel scisso in due parti, ecco i re di Giuda e i re
d’Israello. Ecco Elia profeta, ecco Acabbo, ecco Jehu, che dal profeta
Eliseo riceve missione cruenta, missione di lavare nel sangue l’onta
della famiglia di Acabbo. Ecco Jehu accingersi all’opera di sangue,
ecco il trono di _Ahab_ rovesciato e Jezabele che dall’alto di un
balcone _Salve!_ dice, _o Jehu! Omicida del suo Signore_; ecco Jehu che
dopo avere il trono purificato si prepara a purificare gli altari, che
verso Samaria s’incammina per farvi la immane ecatombe dei 400 falsi
profeti trucidati nel tempio, nella festa di Baal. Gran cose, gran
fatti, grandi vicende, ma dove sono li Jetroiti? Eccoli nel personaggio
più cospicuo dei suoi tempi, in quello che farà mutare sembiante a
tutti i Cheniti, che li stringerà finalmente in un sodalizio, che sarà,
se non il Fondatore, il Restauratore di quell’Istituto, che lor darà
leggi, e regole, e divieti che saranno di poi rigorosamente osservati.
Chi è costui? Egli è _Jonadab figlio di Rehab_ che in un memorabile
incontro strinse amicizia e patto fraterno col rammentato Jehu. Muoveva
questi a Samaria, e nella mente volgeva, come vi dissi, terribili
progetti contro i profeti di Baal. Muoveva superbo dei riportati
trionfi, della dinastia rovesciata, del regno conquiso. Chi è questo
che gli si fa incontro? Egli è _Jonadab Ben Rehab_, Jonadab a cui Jehu
siccome a maggiore fa riverenza il primo, da cui chiede l’amicizia, la
stima, l’ausilio, da cui riceve lieta testimonianza d’affetto e con cui
infine trattolo in sul carro si avvia insieme alla capitale del regno.
 
Quante cose da osservarsi! Il primo salutare di Jehu che non isdegna,
comunque altero per i recenti successi, inchinare l’umil privato
Jonadab ben Rehab; protestargli devozione ed affetto, ed affetto eguale
da Jonadab supplicare; la risposta amorosa sì, ma laconica dignitosa
oltremodo di Jonadab ben Rehab; il volerlo al fianco suo compagno,
auspice dell’opera che imprende; ed infine una forse meno interessante
analogia, ma pur curiosissima tra il fatto presente e quello tanto
più antico di Melchisedech ed Abramo, Jehu è l’Abramo moderno come
Jonadab vi rappresenta Melchisedech: Abramo e Jehu riedono trionfanti,
e Jonadab e Melchisedech, gli uomini di Dio, i devoti all’Altissimo, ne
ricevono gli ossequi; e Jonadab infine e Melchisedech, per completare
il raffronto, sono ambedue di sangue, di origine pagana.
 
Ma che più tardiamo? Il tempo volge di nuovo le sue ruote veloci. Qual
mutamento! Quanto vuoto, quanta emigrazione, quante rovine! Il regno
d’Israele è caduto, le dieci tribù vanno schiave in esilio e solo _come
capanna in vigna, come giaciglio in campo di cocomeri_[40] resta ultimo
baluardo di libertà la figliuola di Sionne. Dove sono li Jetroiti? Il
nome qui, confessiamo il vero, non si trova; ma si trova qualcosa più,
si trova il ritratto, si trovano i caratteri. Chi n’è il pittore, chi
li descrive? Maestro e sommo pittore delle memorie antiche e dei fatti
avvenire, il profeta Isaia. Egli è un passo dell’ultima parte del suo
libro di cui non seppi giammai rendermi conto abbastanza, e che solo
principiai a comprendere quando il pensiero rivolsi a’ Jetroiti, ai
Recabiti che tra poco ci descrive Geremia, in una parola, agli antenati
dei nostri Esseni. Si apre il capitolo 55 con una profezia consolante
pei profughi di Babilonia. _Osservate giustizia_, grida Isaia, _operate
equità; conciossiachè è prossima la mia salute e la giustizia mia
a comparire. Beato_ _l’uomo che farà questo, che a quel che dico
si atterrà, che si guarderà da profanare i sabati, che la mano sua
tratterrà dal fare ogni male._ Ecco però il punto oscuro, anzi a parer
mio il centro luminosissimo. Continua Isaia: _Non dica il_ FIGLIO DELLO
STRANIERO CHE AL SIGNORE SI È UNITO: _separato mi ha il Signore dal
popolo suo; non dica l’_EUNUCO: _ecco io sono albero che non fa frutto:
perciocchè così dice il Signore agli_ EUNUCHI _che osserveranno i miei
sabati, che ameranno ciò che io amo, che si atterranno al mio patto; io
darò loro_ NELLA CASA MIA E TRALLE MIE MURA _seggio e fama migliore di
figli e di figlie; fama eterna darò loro, che non avrà fine_.
 
Ecco il testo d’Isaia ed eccone il senso. Per chi parla il Profeta?
A chi allude? Chi è lo _straniero unitosi al Signore_ che rassicura?
Che sono questi _eunuchi_ sconosciuti, inauditi in tutta la Bibbia?
Che cosa sono questi sabati, in cui particolarmente si ripone degli
eunuchi la speme? Qual’è la casa, quali le mura di Dio ove agli stessi
eunuchi seggio si ripromette e fama imperitura? E che cosa è la fama
istessa e le generose promesse, e la perpetua durazione della gloria
del nome di questi _eunuchi_? Io chiesi tutto questo agli interpreti,
ai glossatori antichi e moderni, e che cosa risposermi glossatori ed
interpreti? Nulla che non sia comune, vago, generalissimo; nulla che
solva condegnamente e pienamente i gravissimi problemi accennati;
nulla che dia moto, vita e senso alle parole del gran profeta, nulla
che non riveli in tutti un grande imbarazzo. Niuno pensò ai Cheniti,
niuno pensò ai Recabiti che Geremia ci ritrarrà, da lungo tempo stretti
organizzati in società; niuno s’avvide che qui il profeta evidentemente
favella di _proseliti ab antico_ vissuti in Israel, di proseliti
tratti seco loro in esilio, involti nella stessa sventura, ed a cui
il bisogno si sente di far suonare alta e solenne la parola della
speranza; niuno disse: Ma gli eunuchi sono gente ignota in Israel: non
di essi menzione in tutti i libri ispirati: non possibile nemmeno la
loro esistenza in Israel, di fronte al solenne inviolabile disposto
della legge di Dio, che interdice assolutamente ogni evirazione; niuno
concluse: Mestieri è dunque intendere di un _Eunucato_ volontario di
un _voto di continenza_; niun ricordò come il nome di _eunuco_ usasse
una religione insigne a denotare il celibato dei sacerdoti, niuno
avvertì come Policrate vescovo di Efeso nella sua Epistola a papa
Vittore, il chiamasse recisamente _eunuco_ e _uomo pieno di Spirito
Santo_; e per ultima negligenza niun pose mente al titolo che volontari
assumevansi i Farisei di _eunuchi_ comecchè nè evirati fossero nè il
celibato guardassero così rigorosamente siccome gli Esseni,[41] ma solo
per il costume come dissi continentissimo; niuno attentamente badò
all’espressioni del profeta, ove eunuco e proselita sono posti non solo
a contatto ma considerati i medesimi nei timori, nelle promesse, nelle
speranze; e tranne i predecessori degli Esseni, io non so veramente
dove eunucato e proselitismo siansi insieme trovati; non videro come
qui si vuol dire che il rimanersi senza prole non minacci la loro
esistenza, conciossiachè questa si fondasse non già sulla procreazione
materiale ma sulla perpetua aggregazione di nuovi fratelli, dei discepoli, dei seguaci, dei figli nello spirito e nella fede; 

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