2015년 6월 1일 월요일

Storia degli Esseni 17

Storia degli Esseni 17



non notarono poi come il vaticinio sia mirabilissimamente commentato dalla
storia, e Isaia giustificato da Plinio. Da Plinio che in quel famoso
passo del 5º libro, dove, come udiste, degli Esseni discorre, queste
parole lasciò scritte memorandissime. _Essi_, dice Plinio, (_gli
Esseni_) _non vengon mai manco, perché tutto giorno si riducono a viver
presso di loro quelli che tirati sono ai loro costumi; e così_ (gran
parole!), _e così per migliaia di anni_ (che diranno Munk, il Franck,
il Salvador che li fan giovanissimi?), _e così per migliaia d’anni,
cosa incredibile a dirsi_ (è Plinio che si stupisce), QUESTA NAZIONE È
ETERNA DOVE NON NASCE PERSONA.[42] Isaia Profeta! sono profezie le tue
o sono storie? E tu Plinio, è la storia che tu ci narri o il vaticinio
che ripeti del grande _Isaia_? Tanto, e Profezia e Storia, e Plinio ed
Isaia, procedono mirabilmente concordi.
 
Io vorrei stasera spingere più oltre le nostre ricerche, e il
preziosissimo frammento studiare con voi di Geremia profeta. Egli è un
gran cap. il cap. 35 di Geremia per la quistione che ci preoccupa! ed
agio vuole e sviluppo maggiore meglio che ora nol consentan le forze.
Io farò punto: ma prima di accommiatarvi, un’altra volta ancora vo’
ripetervi le parole di Plinio. Ricordatevi, o miei giovani, dell’aureo
detto. _E così per migliaia di anni, cosa incredibile a dirsi! questa
nazione è eterna dove non nasce persona._
 
 
 
 
LEZIONE DECIMA.
 
 
Muovendo dai tempi più antichi della Istoria del popolo nostro, noi
chiedemmo ad ogni secolo, ad ogni grande epoca, degli Esseni contezza.
La storia ebraica, la scrittura, i profeti, ci risposero in guisa
che non avremmo forse sperato in quistione che le vicende proprie
nazionali degli avi nostri non toglie di mira. L’ultimo ad erudirci
nell’ultima nostra conferenza, l’ultimo a mostrarci degli Esseni o
meglio dei loro precursori il passaggio, si fu Isaia. Isaia vide più
regi succedersi sul trono di Giuda, e l’ultimo che la voce udì del
sommo ispirato, anzi, che ne riportò, come non è molto vi accennai,
guarigione completa, si fu Ezechia. Ma come tetri e procellosi
procedono i tempi dopo Ezechia! Dopo di esso Manasse, dopo di Manasse
Amon e dopo Amon un re pio, un re che le tradizioni riprese del suo
bisavo, il re Iosciau, Iosciau è sul trono, e alla restaurazione si
adopra, si affatica del culto di Dio. Ma chi regna nella pubblica
piazza, chi conciona le moltitudini, chi fulmina i vizi e la idolatria
imperante, chi fa suonare alta, paurosa minaccia di guerra, chi predice
servitù e quindi riscatto; in una parola, chi profetizza? Il profeta
è Geremia e i suoi discorsi, i suoi scongiuri, i suoi anatemi, i suoi
vaticini sono in quel libro raccolti che s’intitola da Geremia. Ma
un capitolo in questo libro vi ha che dissi altamente interessare la
origine degli Esseni, e questo è il capitolo 35. Là, gli antenati degli
Esseni ti appariscono davvero costituiti regolarmente in società, con
una regola particolare di vita, con memorie, con tradizioni, e quel
che più monta, con voti, voti solenni, inviolabili, imprescendibili
che egualmente avvincono ogni suo membro. Là tu vedi i _Cheniti_
sinora da noi contemplati, meglio come nomade e separata tribù che
qual religiosa società, tutte di società e religione assumere qualità
e sembianze. E chi lo dice? Lo dice Geremia; anzi egli è Dio stesso
che quasi in mostra offre i gran _Recabiti_ ai contemporanei ed ai
posteri. _Va’_, dice il Signore a Geremia, (udite che tutto in nostra
favella trasferisco il capitolo rammentato perché tutto da capo a
fondo rigurgita di preziose indicazioni): _Va’ alla casa dei Recabiti
e parla ad essi, e menali alla casa del Signore in una delle stanze
laterali, e porgi loro a bere del vino. E presi Jazania figlio di
Geremia figlio di Abazinia e i suoi fratelli e tutti i suoi figli,
e tutta la famiglia dei Recabiti e menali alla casa del Signore;
nella stanza del figlio di Amon figlio di Igdeliau, l’uomo di Dio,
ch’è presso le aule dei principi, ch’è sopra alla stanza di Maseiau,
figlio di Sciallum il tesoriere. E posi innanzi ai figli della casa
dei Recabiti ampolle piene di vino e tazze; e dissi loro: bevete del
vino. E’ risposero: non beremo del vino, perciocchè Ionadab figlio
di Rehab il padre nostro c’impose dicendo: non bevete vino voi ed i
vostri figli in eterno. E case non fabbricate, nè grani seminate, nè
vigne piantate, nè possedete alcun che, ma in tende abiterete tutti i
vostri giorni affinché viviate molti dì sulla faccia della terra ove
siete pellegrini. Ed ascoltammo la voce di Ionadab figlio di Rehab
padre nostro, in tutto quello che ci comandò, di non bere vino tutti i
nostri giorni, noi, le nostre donne, i nostri figli e le nostre figlie;
e di non fabbricare case, per abitarvi nè vigna, nè campo, nè sementa
alcuna possedere._ Voi udiste parlar di donne e di figlie, voi udiste
ancora nelle passate lezioni di donne Nazaree. Troppo, direte pertanto,
siam lungi dal celibato degli Esseni. Eppure le donne non furono al
tutto escluse dal nostro istituto. Nol furono nello stato di matrimonio
per moltissimi degli Esseni siccome ne ammonisce Giuseppe, i quali il
matrimonio anzi praticavano e pregiavano assaissimo. Nol furono poi
per gli stessi celibi contemplativi; i quali schiudevano di frequente
le porte loro alle donne affiliate che chiamavano, come dice _Filone_,
col nome di _Terapeutidi_ (Pridaux 5. 92.) _Ed abitammo_, continuano
i Recabiti, _entro alle tende, ed ascoltammo e facemmo quello che
comandò Ionadab nostro padre. E fu quando salì Nebuhadrezar re di Babel
contro la terra, e dicemmo: andiamo, entriamo in Gerosolima per causa
dell’esercito dei Casdei, e dell’esercito di Aram; ed abitammo in
Gerusalemme._ E questa risposta per l’appunto voleva il profeta. Egli
si volge allora al popolo che udito aveva sino all’ultimo i Recabiti,
e dall’esempio loro trae argomento ad acerbe rampogne. Vedessero, ei
dice, i fedelissimi uomini come i comandamenti serbati avessero di
un mortale, _di Ionadab Ben Rehab_; vergognassersi di avere eglino
le volontà di Dio derelitte, le parole del padre immortale tenute a
vile, ed altre simili querele che si omettono per brevità. Solo vi
piaccia udire la conclusione; quando cioè Geremia, finito che ha di
favellare al popolo, si rivolge di nuovo ai Recabiti e così dice: _Ed
alla casa dei Recabiti_, disse Geremia, _così parlò il Signore degli
eserciti Dio d’Israele. Poiché ascoltato avete il comando di Ionadab
vostro padre ed osservaste i suoi precetti, ecco così dice il Signore
degli eserciti Dio d’Israele: non mancherà uomo a Ionadab Ben Rehab
che ministri innanzi a me per tutti i tempi._ Qui termina il capitolo
35 e qui finisce ancora tutto quello che intorno ai Recabiti ci
offre il libro di Geremia. Io volli testualmente riprodurre l’intero
capitolo, sì perchè pare a me nella nostra indagine rilevantissimo;
sì perché possiate adesso con più vantaggio seguirmi mentre andrò a
parte a parte sponendovene i singolari documenti, e le preziose notizie
sprigionando che in seno racchiude. E quante e di qual peso notizie!
Lo è persino il nome che recano, il nome di Recabiti il quale attesta,
se non m’inganno, come la loro esistenza sociale rimonti ad epoca ben
più antica di Ionadab che fu sol discendente di quel _Recab_ da cui
s’intitolarono i _Recabiti_, che diede probabilmente una forma che
molto si avvicinava a quella che assunser di poi, e che finalmente,
siccome chiaro apparisce dal 1ºo delle Cronache, visse in epoca che
non ardisco determinare, ma che pure di molto precesse e Ionadab e i
Recabiti di Geremia. Voi l’udiste: per comandamento di Dio alle loro
stanze questo si conduce, e intimato loro la commissione che ricevuto
aveva, tutti dal primo all’ultimo li conduce a offrire di sè grandioso
spettacolo negli atrii di Dio. Che bel momento fu questo! che scena!
che solennità imponente! in cui fu visto il tenero, il patetico
Geremia, messosi alla testa della nobilissima schiera, apporre come
a dire il divino suggello alla loro istituzione; ed essi offerire a
modello di fedeltà, di obbedienza, di costanza al popolo riunito:
costanza vera, perpetuazione quasi incredibile in mezzo ad una società
più vasta qual era l’Ebraica, che da ogni parte li circondava. Poichè,
sappiatelo una volta, i Recabiti di Geremia sono i discendenti di quei
Cheniti che vedeste ai tempi di Devora, i pronipoti di quei medesimi
che ai tempi dei primi giudici lasciarono i palmizi di Gerico; e
per dir tutto in una parola, sono la vera e legittima figliolanza di
Jetro, il grande, il vetusto proselita. Ma quanto diversi però dai loro
proavi! e quanto più ai figli loro, agli Esseni, somiglianti che non
ai padri! Qui vedete l’_astinenza dal vino_ che data da Jonadab; il
quale secondo la legge del Nazirato che vi feci conoscere, ne trasmise,
come pare, di mano in mano gli obblighi nella sua discendenza; siccome
dato era veramente a ogni padre di così praticare; siccome fece _Anna_
per lo infante _Samuele_; siccome i genitori, auspice l’angiolo,
fecer pel famoso Sansone; e siccome infine, ne convengono autori
gravissimi, tra gli altri il Pastoret il quale a dirittura asseriva:
_i Nazirei senza dubbio diedero l’idea dei Recabiti_. Ma qui oltre
al Nazirato altre cose vedete e di non manco rilievo. Qui la vita
solitaria e campestre che menavano costantemente i Recabiti, anzichè
le cause da loro stessi accennate, le invasioni nemiche non fossero
venute a strapparli alla loro solitudine per riparare ai tempi di
Geremia entro le mura di Gerusalemme; qui il voto di _povertà_, o per
dir meglio il voto _di nulla possedere_ in proprio, ma tutto avere
in comune fra loro, che chiaro in quella frase breve ma esplicita,
_velò hiè lahem_ ti apparisce; qui l’impronta di virtù, di santità,
che loro appone il profeta per bocca di Dio, e la sanzione che loro
reca in premio dal Cielo, del loro istituto, di loro vita, tali frasi
usando sul conto loro che altro senso tollerar non potrebbero, siccome
avvertiva il _De Jurieu_, se non quello di apertissima commendazione;
qui un carattere che fu particolare agli Esseni e per cui furono ad
una voce celebrati da Giuseppe, da Filone e da quanti degli Esseni
presero a trattare, io vo’ dire la riverenza ai maggiori, il culto
che professavano verso i loro antenati, del quale veggiamo il primo
esempio e forse il primo tipo in quella venerazione onde son laudati,
per Ionadab, figlio di Rehab, pei suoi dettati, per le sue leggi;
e quando partitamente discorreremo delle qualità delle virtù degli
Esseni noi vedremo Giuseppe e Filone tenere un linguaggio che per poco
differisce da quello di Geremia, l’uno e l’altro levando a cielo, come
diceva, il loro rispetto ai maggiori: e qui infine la promessa di
Dio. E qual promessa! La quale sarebbe andata fallita, se poco stante
dai tempi in discorso quella società allora così illustre non avesse
di sè lasciato vestigio alcuno, se riprodotta non si fosse sotto il
nome di _Hasidim_, se quindi l’altro non avesse assunto di _Esseni e
Terapeuti_, e se infine la scuola, la società degli Esseni non si fosse
perpetuata in tutti i secoli, e se al presente non durasse tuttavia,
se la esistenza augurata da Geremia non si verificasse sempre, dopo
mille trasformazioni nella esistenza dei Farisei. Io dissi esistenza,
ma questa è la parte men grande del vaticinio, doveva dire anco il
modo, anco lo stato che Geremia gli promette. Qual’è il modo, qual’è
lo stato? Voi l’udiste. Che parole! che officio, che grandezza! Io
ardisco dire che se l’idioma ebraico non lascia di essere ebraico, se
un concorso innumerevole imponente di esempi non dice il falso, se
le analogie più parlanti non c’inducono in errore, se v’è criterio
in una lingua per discernere acconciamente il preciso significato di
una frase, io oso dire che male non mi apposi nel traslatarlo quando
parlai di _offici, di ministerio, di sacerdozio_, giacchè tutte
queste tre cose, ma queste tre cose soltanto, accenna la locuzione in
discorso. E se vaghezza vi prendesse di fare con me escursione pei
campi della scrittura, oh quanti non avreste a raccorne luminosissimi
esempi! Volete sacerdozio? E qui avete per la tribù di Levi, pel suo
officio sacro sacerdotale la frase stessa, le stesse parole, siccome
pei Recabiti leggete: _Laamod lifnè adonai lesciaredò_ ec. O meglio
vi talenta l’idea di intercessori? Ed allora ve l’offrirà Ezechiele
quando dice: _se pure Mosé e Samuele intercedessero appo me non più
accetterei questo popolo_, come appunto pei Recabiti leggete: _im
iaamod Moscè usmuel lefanai_; ec.; o vi piace meglio un’altra volta
udire del sacerdozio? E ve l’offriranno i _Giudici_ quando parlando
del pontefice, di Pinehas: E _Pinehas_, dicono, _figlio di Elazar omed
baiamim aem_ come per l’appunto dei Recabiti si legge _omed lefanai_.
Volete profezia, volete udire come qualifica la scrittura l’officio
del profeta? ve lo dirà Elia nel celebre suo giuro quando esce fuora
inaspettato dicendo: _Viva il Signore innanzi a cui ministrai; non
vi sarà per questi anni nè rugiada nè pioggia che io nol voglia_;
in quella guisa che udiste per Recabiti.[43] E la profezia si è
adempiuta alla lettera. Sacerdozio, profetismo, tutto fu riposto, fu
concentrato nei successori e poi nei continuatori dei Recabiti, prima
nei _Hasidim_, primo nome che assunsero dopo quello di Recabiti,
quindi negli Esseni, parte eletta, parte dotta e santa e ieratica del
Farisato, quindi negli eredi degli Esseni, nei professori delle loro
dottrine, nella scuola speculativa ascetica superlativa dei Farisei,
nei Ben Iohai, nel Rabbeno Aj Gaon, nel Nacmanide, nel Cordovero, nel
Loria ed in quanti altri le orme calcarono di quei Santi, di quei Dottori.

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