2015년 6월 1일 월요일

Storia degli Esseni 18

Storia degli Esseni 18


Ma noi siam lungi ancora da questi modernissimi tempi; ed a quelli
convienci restituire che a Geremia seguitarono. Geremia visse non poco
dopo la distruzione del primo Tempio; però la riedificazione del Tempio
non vide. Da Geremia alla prima apparizione degli Esseni sotto tal
nome, poniamo che ci corra un dugent’anni, quali sono gli anelli che
questi due estremi congiungono della catena? Quali gl’intermedi che
possan dare alla storia che costruimmo, quella continuità che, diciamo
il vero, non le mancò sino all’istante presente? Egli è doloroso ma
pur necessario il confessarlo: è questa l’epoca che più povera resulta
di documenti per la storia degli Esseni: è quasi una lacuna nel loro
passato, tanto più deplorabile quanto i cenni che immediatamente
avrebbero preceduto la loro apparizione nell’Essenato, avrieno
mirabilmente giovato a cogliere il punto di passaggio dall’antica alla
forma novella; e porto avrebbero ultima e solenne conferma a tutte le
cose precedentemente discorse. Però è necessario fare tre specie di
avvertenze che immensamente diminuiranno la vostra sorpresa; e se non
colmeranno interamente il vuoto, almeno lo spiegheranno e tutto ciò
gli torranno che può avere di ostile, di negativo alla tesi da noi
sostenuta, alla genealogia degli Esseni. La prima è che mentre sino ad
ora avevamo documenti contemporanei, adesso mancano assolutamente, nè
la Bibbia nè la Tradizione contengono alcun volume che a quell’epoca
appartenga, attalchè non so vedere veramente in qual guisa degli Esseni
o dei loro predecessori si poteva fare menzione. Nulla dunque di più
naturale, di più necessario della mancanza di questa menzione. La
seconda avvertenza si è, che per quanto io abbia detto assolutamente
che di questi tempi non esiste memoria, pure non si vuol intendere la
mia sentenza in guisa che qualche lembo non si sollevi, che un barlume
non ti apparisca dell’Essenato nell’epoca in discorso. Io chiamo un
barlume il fatto di Daniel che per 23 lunghissimi anni stando a Rasci,
di pane eletto non si ciba, non mangia carne, non beve vino, nè usa
nessun unguento dal quale rifuggivano, come udiste, gli Esseni. E
questo faceva Daniele per carità della patria infelice, e per chiedere
fine alle sue desolazioni, in guisa che in questo senso soltanto può
essere vera l’ipotesi del Salvador che le patrie desolazioni abbiano
dato l’origine all’Essenato. Un barlume poi io credo che abbiamo nei
Paralipomeni. I Paralipomeni sono opera di Esra posteriore a Daniele,
ed è probabile sentenza quella in cui oggi conviensi, e di cui è
qualche cenno nel Talmud, che dopo Esra i più antichi della magna
congregazione recato abbiano a compimento il libro delle cronache.
Or bene, in guisa si esprimono le cronache intorno ai Recabiti, che
pare veramente come a quei tempi tuttavia sussistessero. Vuol far
capir l’autore quali fossero le tre famiglie _Tirhatim_, _Simahtim_,
_Succatim_ che presero stanza presso _Iahbez_, e lo vuol far capire con
allusione più moderna. Che dice per questo? Dice che sono identici ai
_Chinnim_: ma i Chenim stessi possono essere ignorati, quindi necessità
di riferirli a nome anche più moderno, a nome contemporaneo. E qual è
questo nome? È quello di _Recabiti_. _Abbaim mehamat abi_ BET REHAB.
 
Però queste cose andavamo tra noi meditando pria che ci si partisse
dinanzi nell’atto stesso di dettare la presente lezione, una breve ma
significante indicazione rabbinica, poi un frammento preziosissimo
di un autore il cui nome non suonerà io spero sconosciuto ai vostri
orecchi. Qual’è in primo luogo l’indicazione? Ella è quella contenuta
nella sezione 98 del Berescit Rabba, opera anteriore al Talmud, e dove
chiaro apparisce che tra i primi Tanaiti eranvi alcuni che, come si
credeva generalmente, discendevano da Jonadab Ben Rehab.Dunque io
dico: i Recabiti non cessarono di esistere anco in tempi posteriori
agli Esseni, e nulla pertanto si oppone che questi da quelli sieno
derivati. Ma v’è di più: voi ricordate come io avessi luogo parlandovi
dei Samaritani di rammentarvi Beniamino di Tudela, i suoi viaggi, il
gran conto che si fa generalmente dai dotti delle sue relazioni. Or
bene, egli è un passo nel _Pellegrinaggi_ di Beniamino dove prende a
narrare di ciò che vide, di ciò che osservò nel _Iemen_, nell’Arabia
Felice. Lo credereste? Egli parla dei Recabiti, egli li vide, egli ne
osservò, ed egli ne narra altresì i costumi. Le sue parole sono troppo
preziose perchè io non ve le citi. _Di là movemmo_ ei dice _verso
la Terra del Iemen a settentrione, e dopo un viaggio di 21 giorno
pei deserti, pervenuto essendo in quella regione, vi trovai i Giudei
che si chiamano_ RECABITI _e in Ieman hanno imperio. Aron il Nasi vi
risiede ed è grande città._ Narra poi Beniamino i loro commerci, le
loro scorrerie, e quindi aggiunge: _E danno poi la decima di tutto
quanto posseggono ai Dottori della legge che stanno del continuo nei
pubblici studi, ai poveri d’Israele ed ai loro Farisei che fanno lutto
per Sionne e Gerusalemme, che non mangiano carne, non beono vino,
e vestono logori abiti; ed abitano in spelonche, e tutti i giorni
digiunano, tranne i Sabati e le Feste._ Ecco le parole e l’attestato
di Beniamino. Quando viveva il famoso spagnuolo? Certo nel mille o
a quel torno; che è quanto dire in tempi infinitamente posteriori a
Geremia ed alla società degli Esseni; in tempi che provano come lungi
dall’essersi precedentemente estinta la famiglia e l’istituto dei
Recabiti, perdurasse invece non solo dopo il profeta che li descrisse,
non solo in epoca immediatamente anteriore e contemporanea ai nostri
Esseni, ma per secoli eziandio parecchi dopo di essi; cioè prova in
una parola come la filiazione da noi voluta degli Esseni dai Recabiti
riceva quella conferma che noi credevamo invano desiderare, ma che pure
la Provvidenza ci porse, quando meno l’attendevamo.[44]
 
La terza ed ultima avvertenza è quest’una. È lo stato in cui lasciammo
i Recabiti ai tempi di Geremia, stato se altri fu mai rigoglioso,
florido, vivacissimo; stato che a tutt’altro accenna che a deperimento
e rovina; stato che ove pure ad una declinazione accennasse,
questa declinazione si sarebbe naturalmente protratta tant’oltre
da ricongiungere l’estinguentesi Recabismo col nuovo, col nascente
Essenato. E queste sono le tre avvertenze che vi promisi.
 
Giunto a questo punto, e quasi meco stesso meravigliato del gran
compito che ho fornito, che altro mi resta a fare per condurre a fine
l’impresa? Null’altro a parer mio che citar le autorità che militano a
favor mio, che per diretto o per indiretto fanno risalire l’Essenato
agli antichi Cheniti, ai discendenti di Jetro. Primo tra le autorità io
annovera Plinio; Plinio nella _Storia Naturale_ in quelle parole ove
agli Esseni attribuisce un’esistenza di secoli, Plinio che in tal guisa
alla origine apre le porte da me sostenuta sinora. Io pongo poi per
secondo il _Serrario_ il quale, è giusto il convenirne, diede il primo
il segno di questo sistema e forse con buoni argomenti il convalidava
comecchè condannato io fossi a rifare il lavoro, non potendo dell’opere
sue giovarmi, che non posseggo. Io pongo infine per ultimo un inatteso
alleato, la _Mehilta_. Voi udiste finora da me, voi avrete certo udito
da ognuno e gli autori tutti vi avrebbero a gara ripetuto, come i
libri Rabbinici tacciano assolutamente dell’Essenato, e grave problema
riuscisse a risolvere ognora, questo silenzio. Or bene voi potete
dire adesso ad ognuno che vi dimandasse, che questa menzione esiste
veramente, che gli Esseni non sono ignorati dai nostri Dottori; non
basta; potete dire che il cielo ci riserbava due scoperte ad un tempo,
che gli Esseni presso i nostri Dottori non solo eran conosciuti; ma,
lo che più monta pel fatto nostro, erano come legittimi e diretti
successori considerati degli antichi _Recabiti_. Potete dire che queste
cose si trovano certo per vie non troppo comuni e battute, ma non
per questo men belle e men importanti; potete dire che se ai grandi
intelletti è dato scoprire nei cieli immensi un astro novello, al mio
umilissimo quest’onore solo fu conceduto di scuoprire nel cielo Ebraico
la società degli Esseni. Io dissi la Mehilta. Ma che cosa è la Mehilta?
È un opera più antica del Talmud, opera di un _Tanna_ antichissimo, di
R. Ismael, opera di cui solo una parte è giunta sino a noi sul libro
dell’_Esodo_. Aprite la Mehilta alla sezione di _Jetro_ e vi troverete,
come dice Vico, un _luogo d’oro_ che suona così. _Avvenne una volta che
uno_ DI COLORO CHE BEONO ACQUA _avendo fatto nel tempio un sacrifizio
si udì una voce dal santissimo che diceva così, colui che accettò i
loro sacrifizi nel deserto accetterà anche questo in quest’ora_.
 
E notatelo bene, giovani miei, queste parole non sono isolate; il passo
che avete udito non è senza precedenti e conseguenti. Lo precedono
immediatamente tutte le indicazioni da voi udite sui Cheniti che
abitavano pei _deserti_, che tolsero poi a dimorare presso _Iahbez_ nel
deserto di Giuda, e lo seguono immediatamente le parole di Geremia sui
Recabiti, sul loro avvenire. Il fatto che udiste narrato è un fatto ai
Dottori contemporaneo, è una allusione agli Esseni allora esistenti,
è una identificazione di questi Esseni coi Cheniti, coi Recabiti; è
insomma tutto quello di che noi bisogniamo. Questo breve frammento
è un prezioso e grande trovato; ma non è il solo. Quando meglio ci
addentreremo nella società degli Esseni, uno o due altri ne rinverremo
ove non più colla perifrasi testè udita _i bevitori di acqua_ si
additano gli Esseni, ma colla vera e propria loro denominazione.
Questi pochi e sparsi frammenti sono il più bel gioiello delle nostre
conferenze; e se io ne ho potuto adornare le mie lezioni, a voi si
deve in gran parte che a queste indagini rivolgeste l’animo mio; e
sopratutto a quel padre dei lumi senza di cui niuna cosa che valga
si può fare in niuna disciplina, e molto meno nel culto delle lettere
sacre, ove prima condizione è il culto e la stima del suo grandissimo
obbietto, e nelle quali meglio che in niuna altra cosa si può dire con
Petrarca:
 
Non si fa ben per uom quel che il ciel nega.
 
 
 
 
LEZIONE DECIMAPRIMA.
 
 
Io vengo a proseguire l’opera incominciata. Noi abbiamo degli Esseni
studiato già e il nome e quello che più c’interessava, l’origine loro.
Noi abbiamo, a parer mio, trovato in mezzo a tante etimologie la vera
etimologia, e tralle tante congetturate origini la vera origine. Per
svolgere ordinatamente il nostro assunto conviene che io vi riduca a
memoria il piano, l’ordine, la seguenza che imponemmo al nostro dire.
Io vi promisi sin dalla prima lezione che dopo il nome, dopo l’origine
degli Esseni noi avremmo preso ad esame la loro costituzione, le loro
leggi, le lor sociali discipline; e le loro costituzioni, leggi e
discipline formeranno oggi il soggetto che io prenderò a trattare. Egli
è naturale che dopo avere conosciuta per nome la cosa che vogliamo
studiare, se ne cerchino le leggi costitutive, le leggi che presiedono,
che regolano la sua esistenza. L’Essenato è persona, persona sociale,
collettiva, morale, certamente, ma pur persona. Noi sappiamo come si
chiama, sappiamo d’onde tratto si abbia il nascimento; che ci resta
ora a sapere? Le leggi della sua esistenza, i principii regolatori
della sua associazione. Però, vi ha uno studio che deve per sua natura
andare innanzi alle cose accennate, ed è lo studio, ed è l’esame del
teatro in cui sorse, in cui ebbe stanza il grande Essenato, in cui
scelse, in cui fermò la sua residenza. In questa guisa, procedendo noi
dalle cose, dalle circostanze più generali a quelle più proprie, più
intime, più speciali al grande istituto; andremo sempre più intorno
ad esso stringendo il cerchio delle indagini nostre: in questa guisa
potremo dire che nulla di quello ci può sfuggire che può per diretto o
indiretto riguardare l’Essenica associazione.
 
Qual è dunque il teatro in cui nacque, in cui crebbe, in cui ebbe vita
il grande Istituto? Notate, o miei giovani, che io non chiedo la loro
patria. La loro patria è conosciuta, e questa è la Palestina. Chiedo la
loro residenza, il loro soggiorno che dal concetto di patria molto come
sapete è diverso. Lo chieggo in primo luogo a Filone siccome quello
che tanto studio pose nella storia dei suoi cari, dei suoi ammirati
Esseni. E che cosa mi risponde Filone? Mi risponde con un passo
dell’opera sua, che se non coglie precisamente nel segno, pure non
lascia di avere il suo valore e grande valore nella presente quistione.
Egli addita gli Esseni ai suoi lettori Pagani, e _se riscontrare_, ei
dice, _volete la fedeltà della mia dipintura, mirateli ovunque sono
diffusi pel grande, per l’immenso vostro impero; mirateli tra i Greci
e tra i barbari, ove vivono dispersi_. E così dicendo Filone, voi
di leggeri comprenderete come venga a stabilire senza meno la loro
universale diffusione non solo nell’Impero Romano ma eziandio al di là
dei suoi confini, fra quei popoli che i Romani seguendo l’esempio dei
Greci qualificavan col nome di Barbari: (cioè secondo la genuina sua
significazione _forestieri_ forse da vocabolo Arameo, siccome io da
molti anni congetturai che suona uomo di fuori, gente straniera.) Gran
parole son coteste di Filone e che compiono il concetto vero, storico
degli Esseni qual ce lo aveva Plinio accennato nella sua storia. Plinio
e Filone sono i due Restitutori del vero carattere della società degli
Esseni. Plinio dove pone in sodo la loro antichità, dove, come udiste
altra volta, gli assegna un’_antichità_ di secoli e secoli, Filone in
questo luogo dove sancisce, autentica la loro _universalità_, Plinio
restaura l’Essenato nel tempo gli rende la sua _antichità_, Filone lo
restaura nello spazio, cioè gli rende la sua _universalità_. Ma in
qual guisa cotesta universalità, cotesta diffusione si acconcia al
nostro Istituto? come a quelle idee che pure da parecchi storici si
avvalora d’isolamento, di concentrazione, di _particolarismo_? Come
a quel concetto sinora predominante che volle gli Esseni limitati,
circoscritti ai confini Palestinesi? Come? intendendo pegli Esseni
ciò che noi intendiamo, ciò che essi son veramente, ciò che sarà
continuamente dimostrato dal corso di questi studi. Intendendo cioè
per Esseni la parte più alta, più nobile, più dotta, più spirituale
del Farisato pel quale veramente e pel quale soltanto è vera alla
lettera la sentenza Filoniana; pei quali, e pei quali soltanto, si
poteva dire che sparsi, che diffusi, vivevano tra Barbari e Greci. 

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