2015년 6월 2일 화요일

Storia degli Esseni 19

Storia degli Esseni 19


poteva Filone se gli Esseni fossero diversa scuola, diverso Istituto
da quel Farisaico? Poteva dire per essi che eran diffusi tra Barbari
e Greci; poteva dirlo di fronte al silenzio generale, al silenzio
specialmente di Plinio, e di fronte infine all’esempio degli altri
settari i quali, vuoi pel numero scarso, vuoi per poca virtù espansiva,
se ne vissero sempre ristretti, rannicchiati tra i patrii confini?
Ma quanto bene poteva dirlo se gli Esseni non sono altro che il più
bel fiore che il patriziato dei Farisei! Quanto appropriate per essi
le parole _tra i Barbari e Greci_! Essi col grand’Illel in Babilonia
anzichè in Palestina non emigrasse, e essi in Damasco con Rabbi Iose
il Damasceno; essi in Egitto con Filone stesso, coi Terapeuti e coi
Dottori Egiziani che figurano nella Misna come Anael l’Egiziano, e
con quelli che ivi stesso si narrano pellegrinanti in Egitto; essi in
Nisibi in Persia con R. Ieuda ben Betera che è il discendente di quegli
Eroici Betera che allo straniero Illel cessero la posseduta dignità
di Nasi, solo perché più d’essi erasi mostrato nelle patrie leggi
erudito; essi in Media con Nahum il Medo; essi in Arabia, in Grecia
e in Italia con Ribbi Akibà che queste regioni visitò e che lascio
ricordate; ed essi nell’Asia minore in Laodicea, in Antiochia, in
Assia dove traevano, come altra volta vi dissi, a sedere in concilio,
e dove morì il grande Rabbi Meir, come più tardi vedremo; essi nelle
Gallie non solo col rammentato Rabbi Akibà che ne ricorda i paesi, i
costumi, la lingua, ma anche con Dottori, dalle _Gallie_ denominati
_demin gallià_; ed essi infine in Roma. In Roma non solo colla sinagoga
già lungo tempo stabilitavi, non solo coi più celebri nostri Dottori
che la visitarono e preziosissime indicazioni ne lasciarono scritte,
ma principalmente per due tra essi, per due grandi Farisei che da Roma
s’intitolarono e in Roma ebbero stanza durevole e cattedra e maestrato.
L’uno è _Todos_ o _Teodozio_ che il Talmud chiama _Todos Is Romi_,
Teodozio il Romano, quel desso di cui si narra nel Talmud di Pesahim,
come a ricordare forse il sacrifizio pasquale, istituito avesse tra i
fratelli di Roma l’uso di cibarsi d’agnello arrostito nei vespri di
Pasqua; quel desso a cui s’intimava, pena la scomunica, di cessare
da quell’uso; quel desso che per animare i Fedeli al martirio soleva
citar loro l’esempio dei Zefardehim Rane o Coccodrilli, che al cenno di
Dio, comecchè irragionevoli fossero, si gettano nei forni ardenti del
popolo Egiziano. L’altro poi è Rabbi _Mattia ben Haras_ ch’ebbe seggio
e cattedra in Roma e fu per lunghi anni Pastore e Dottore di quella
chiesa con tanta celebrità, che quando volle il Talmud offrire l’idea
di una cattedra e di un pastore modelli disse fra gli altri: _Zedek
Zedek tirdof; ahar_ R. _Mattià ben haras leromì_.
 
Se qui, o miei giovani, fosse il luogo, vorrei mostrarvi come il
soggiorno di Roma, il suo consorzio, la sua civiltà inspirassero
talvolta il linguaggio di R. Mattia, siccome il registra il Talmud;
vi mostrerei le nozioni mediche che vi raccolse e che bellamente
applicava all’osservanza dei riti, lo specifico contro la idrofobia
che egli addita nel _fegato del cane idrofobo_, la gravità somma ch’ei
concedeva alle infiammazioni della trachea onde voleva il sabato per
quelle impunemente violato, la indicazione del salasso nelle tracheiti
istantanee da eseguirsi anche di sabato; e sopratutto mostrarvi come
cogliesse nell’esperienza degli uomini e delle cose romane, nelle
repentine cadute e nelle repentine elevazioni dei Cesari, quella
sentenza che voi recitate al tornare di ogni primavera e che suona;
_fatti coda ai leoni e non capo alle volpi_; e come infine dallo stesso
soggiorno di Roma gli fosse quel detto suggerito troppo necessario a
praticarsi nella città delle continue rivoluzioni: _Sii il primo a
salutare ogni uomo_. E dove non recarono le loro idee, la loro presenza
i Dottori antichissimi? Persino qui nella nostra Toscana, e come a
me fu dato, ch’io mi sappia il primo, notare in _Pitiliano_ quando
muovendo inverso Roma ne traversavano le vie _d’onde_, dice il Medrase,
_udendo il frastuono, il trambusto lontano della città lasciva,
sclamarono: se questa è la grandezza, o Dio! dei riprovati, qual è
quella che tu tieni in serbo pei tuoi eletti?_[45]
 
Che se gli Esseni erano universalmente diffusi, se questa diffusione ad
altri non può convenire che ai più illustri membri del Farisato, se la
identità ne rimane perciò stesso sempre più confermata, vogliam dire
per questo che un centro non vi fosse dal quale raggiassero per ogni
dove i grandi lumi dell’Essenato, e dove vivessero secondo le norme
del loro Istituto? Ciò non si vuol dire, che anzi la storia attesta il
contrario, attesta cioè come vedemmo, che patria del nobile sodalizio
fosse la patria Palestinese; non basta: attesta ancora che dell’istessa
Palestina una parte sola fosse quella ove la società a preferenza
abitava, e dove le sue scuole e dove fossero tutti i suoi centri, i
suoi romitaggi. E qual’è questa parte? È la parte meridionale, è tutto
quel tratto di paese che lasciando al nord Gerusalemme, è circoscritto
a levante dal Lago Asfaltide, in ripa al quale, o poco stante, si
ergeva anticamente Gerico la città dei palmizi dove abbiamo veduto
abitare i Cheniti e dove infine più al sud è notata sulla carta Arad
dove prese succesivamente ad abitare la discendenza di Jetro. Colà,
dice Plinio nel quarto libro, si vedevano gli Essenici abituri. Non
basta: egli accenna per nome alcune città ove a preferenza avevano
stanza _Masada_ p. e. _Engaddi_ l’antica, detta pur essa così pei
palmizi che vi abbondavano; d’onde poi quella celebre frase con cui
Plinio caratterizza gli Esseni, _gente_ dicendoli _delle Palme amica_.
_Gens socia Palmarum._ Io dissi che in quei dintorni preso avevano
eziandio antichissimamente ad abitare i progenitori degli Esseni, i
vetusti Cheniti. Doveva dire di più; doveva dire che su quelle rive
vissero, fiorirono le più distinte scuole dei profeti, siccome abbiamo
dai Re, che su quelle piagge sorgeva prima della conquista di Giosuè,
una città che il nome reca caratteristico di Kiriat Sefer _la città dei
libri_, il quale poi in quello fu tramutato di Debir non meno del primo
significante, perciocchè suona il _seggio della parola, dell’oracolo_;
siccome egualmente appellavasi il _Santo dei santi_ il seggio
dell’oracol di Dio, l’_oracolario_, appunto perchè di là emanavano i
venerati responsi. Gioberti lo notava scrivendo: _Fra le città cananee
vinte da Giosuè vi è Chiriat Sefer detta poscia Debir; questo nome può
farci subodorare un antica cultura. Forse era l’Archivio dello Stato_
(Protologia 371).[46] Doveva dire che tutta quella regione andò celebre
per l’ingegno, pel sapere dei suoi abitanti; che là sorgeva Patria di
quella donna che i profeti dicono _savia_, forse una Terapeutide, la
quale col dolce parlare placò il paterno risentimento di Davide, quella
stessa città di _Tekoa_ che per l’olio che produce squisito fu creduta
perciò stesso dai Dottori educare la più colta e svegliata popolazione.
E qual meraviglia se nello stato medesimo una regione si distingueva
per ingegno ferace, se Cicerone diceva l’aria di Atene sottile e quindi
più degli altri popoli greci gli Ateniesi vivaci e briosi, se diceva
l’aria di Tebe pesante, quindi ottusi e rozzi i Tebani? Se Platone ogni
giorno ringraziava gli dei per averlo fatto Ateniese e non Tebano,
comecchè Tebe ed Atene città fossero, come sapete, ambedue di una
stessa provincia?
 
Che se il mezzogiorno di Palestina fu soggiorno gradito, ordinario
della società degli Esseni, del dottissimo Istituto, che l’antica fama
d’ingegno accrebbe a quelle regioni, ci sarà egli dato rintracciare
come nella Bibbia le antiche, così nei Dottori le moderne vestigia del
loro passaggio? Io ardisco dire che lo potremo. Voi udiste come per
noi fu altra volta falso addimostrato il parere di coloro che dicono
tacersi affatto i Rabbini della società degli Esseni. Voi udirete in
avvenire citazioni, se è possibile, anco più concludenti. Quelle però
che adesso vi espongo ne sono un preludio, un apparecchio di cui non
potreste disconoscere la gravità. _Vuoi tu veramente far acquisto
di scienza?_ dice il Talmud: _volgiti a mezzogiorno._ Che vuol dire
_volgiti a mezzogiorno_? Vuol dire forse tenere la persona nell’orare
rivolta da quella parte? Così certo la intesero alcuni, ignari come io
credo, del vero senso. Ma quanto meglio i più antichi! Quanto meglio,
p. e., l’autore del _Aruch_ Rabbi Natan figlio di Iehiel tesoriere di
papa Bonifazio! Quanto meglio, dico, R. Natan non coglieva nel segno
quando diceva interpretando il passo Talmudico: _Vuoi tu fare di
sapere tesoro? Va’ presso i Dottori che hanno stanza a mezzogiorno di
Palestina e impara da essi la scienza._ Udite ora Simeone il Giusto,
Simone che per tanti anni gloriosamente ministrò nel sommo pontificato.
_Giammai_, egli diceva, _io volli le labbra accostare al sacrifizio dei
Nazirei, tranne una volta quando vidi al tempio presentarsi un Nazireno
dal mezzogiorno_ (e voi sapete quali rapporti stringano, secondo me,
gli Esseni al Nazirato) _il quale_, continua Simone narrando per
filo e per segno tutto lo accaduto, _mi disse come simile a Narciso,
specchiatosi un giorno in una fonte s’innamorasse del suo bel volto;
come indi vergognandosi del vano sentire, facesse voto di Nazirato,
e come infine venisse adesso a bruciare l’antico oggetto del suo
orgoglio, la bellissima chioma, nelle braci ardenti del sacrifizio_. Ma
poco è questo. Voi udiste poc’anzi l’autore del Lessico Aruh parlare
dei Dottori più insigni che vivevano nel _Darom_, a mezzogiorno di
Palestina. Or bene uditene adesso menzione dalle labbra istesse dei
Talmudisti; e dove, o miei giovani? Nell’ultimo capitolo di _Tamid_.
Là si narra di un famoso abboccamento intravvenuto tra Alessandro il
Macedone e alcuni tra i più illustri dottori in Israel: e come si
chiamano questi Dottori? Si chiamano i _savi del mezzogiorno_. E su che
cosa si aggira il loro favellare? Sopra parecchi e gravi argomenti in
cui Alessandro la celebrata sapienza loro pone al cimento, e che troppo
attestano l’indole, il genio speciale dei gravi studi dell’Essenato.
Chiede Alessandro le relative distanze dal Sole alla Terra; chiede
quale creato prima, se il Cielo o la Terra; chiede quale dei due abbia
preceduto, la luce o le tenebre; e se a tutte le precedenti inchieste
ottenne risposta, a quest’ultima però si udì intonare un modestissimo
_Nescio_. Perchè non risposero gli Esseni mentre il testo mosaico sì
chiaro favella? E qui permettete una piccola digressione che pure
ha la sua importanza. Perchè io ridomando non risposero al testo
conforme? Il Talmud tanto posteriore all’avvenimento, ne chiede, ne
indaga il perchè, ma mestieri è pur confessarlo, troppo mostra nella
risposta l’incertezza, l’imbarazzo nelle idee, troppo nella risposta
si scorge la distanza dei luoghi e dei tempi.[47] Perchè veramente non
risposero? Il perchè ce lo dirà Aristotile, il maestro di Alessandro,
l’interrogante. Ci dirà Aristotile, per parlare col linguaggio del
Ritter, _que les anciens Théologiens étaient en général persuadés que
le meilleur sort du pire, l’ordre du désordre, puisqu’ils faisaient
naitre toute chose de la nuit et du chaos_. Avete inteso? Dalla notte
e dal caos, ch’è quanto dire ch’erigendo in persone reali questi Enti
fantastici, ne crearono altrettanti primi principii, altrettante
Divinità cosmogoniche, e Notte e Caos adorarono quai numi. Poteva darsi
silenzio più opportuno? Potevano essi i Dottori _del mezzogiorno_,
che sono a parer mio gli Esseni, risolvere secondo Mosè la quistione,
concedere cioè alle Tenebre il primato di creazione senza concedere
perciò stesso il principio d’onde la Teogonia greca prendeva le mosse,
senza pericolo, senza conferma d’Idolatria?[48]
 
Io vorrei, o miei giovani, più a dilungo soffermarmi a studiare con
voi altre cose e bellissime che contiene il precitato frammento del
Talmud.[49] Mel contende il bisogno di procedere ordinato e spedito
alla mèta proposta, mel contendono gli altri non meno gravi, i
parlanti attestati che degli Esseni del Sud ci porge il Talmud. E
dove? È il primo a pagina] 70 di Pesahim, dove si narra di un Ieuda
ben Dostai che, sendo venuto a contesa intorno alla convenienza
del sacrifizio in giorno di sabato, si separò, dice il Talmud, dal
centro Gerosolimitano, ritirossi egli e il figlio suo nella Palestina
Meridionale dove assieme ai Farisei _ivi stanziati_, notate la frase,
protestò contro la decisione dei Colleghi e più assai contro _Semaja e
Abtalion_ due antichissimi Dottori anteriori di assai all’E. V; lo che
prova quanto antico fosse _Ieuda ben Dostai_ e quanto la raccontata sua
separazione. È il secondo a pag. 23 di Zebahim dove e’ s’introducono
ad esprimere una opinione circa la materia delle impurità di cui sapete omai i nostri Esseni tanto gelosi.

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