2015년 6월 2일 화요일

Storia degli Esseni 20

Storia degli Esseni 20


E infine è il terzo se
non erro nel _Rabba_, e non temo di aggiungere il più interessante, il
più prezioso di tutti. Io vorrei, o miei Giovani, che sapeste che vuol
dire _Aggadà_, vorrei potervi esporre a parte a parte tutti i dati che
mi hanno da lungo tempo persuaso non altro essere in bocca ai Dottori
che la veste, la forma popolare, esoterica, parabolica, dirò anche
iperbolica delle dottrine loro più riservate, la _Mitologia_ nel cui
seno vive rinchiusa la _Teologia_,[51] vorrei sapeste da ora, come gli
Esseni, e specialmente quelli tra essi che si dicevan contemplativi,
andassero sopra ogni altro famosi per lo studio, per la cultura, di una
gelosa e segreta Teologia come più tardi intenderete. Or bene! Che cosa
dice il Medras? Dice non solo come disse il Talmud che al mezzogiorno
di Palestina una scuola intera vivesse di Dottori illustri; ma dice
di più, dice cioè che loro speciale, loro precipua occupazione era
la coltura dell’_Agadà_, e dice infine che i più eruditi Rabbini non
isdegnavano ad essi ricorrere per la interpretazione dei Testi; e in
queste parole lo narra: _Disse Rabbi Ieosciuah ben Levi: di queste
verso richiesi tutti i maestri dell’Agadà che vivono in mezzogiorno,
e niuno me ne porse risposta adeguata._ Che più? Non è persino il
Zoar istesso, che altra non cen fornisca e solenne conferma, il Zoar
l’Emporio delle idee Cabbalistiche, il Repositorio delle più recondite
tradizioni, il Zoar che in più luoghi appella ad una scuola di Teologi
Mistici che abitavano il Sud e che chiama apertamente, _i compagni
nostri, i soci nostri, che abitano il mezzogiorno_. Compagni, soci!
Che gran parola! Non vi dice punto alla mente la bella frase? Non vi
accenna ad una consorteria, ad un corpo, ad una società, a cui tutti
appartenevano egualmente? di cui tutti si dicevano indistintamente i
compagni, i soci, i fratelli? Io avrò luogo più tardi di ritornare su
questa frase preziosa, e la Misna e il Talmud e il Zoar ne proveranno
ad esuberanza, se già non l’hanno provato, il significato che per noi
gli è concesso, e che suona sì favorevole come vedete alla identità
Essenico-Cabbalistica da noi propugnata.
 
Noi dicevamo in principio di volerci occupare del luogo, del teatro
ove ebbe stanza principale la società degli Esseni. Noi sappiamo già
qualche cosa della loro dimora; sappiamo da Filone che per quanto un
centro di convergenza avessero, pure i loro raggi si estendevano, voi
lo udiste, _tra Barbari e Greci_; sappiamo da Giuseppe che questo
centro era in Palestina e nella parte meridionale di Palestina;
sappiamo in ultimo che queste due indicazioni, ve l’ho provato, si
attagliano a meraviglia ai Farisei, alla parte speculativa filosofica
mistica dei Farisei.[52] Ma se la parte abitavano gli Esseni di
mezzogiorno, quale presero ad abitare a preferenza, le città o i campi?
qual vita menarono a preferenza, solitaria od urbana? cittadinesca o
anacoretica? Solitaria, vi risponde Giuseppe nel secondo delle Guerre
Giudaiche, ove dice _amare costoro a preferenza la solitudine, i campi
ove avevano eziandio domicilio_; solitaria, vi risponde Filone (_De
vita contemplativa_) quando dice dei Terapeuti che per la massima
parte vivevano fuori di Alessandria presso ad un lago; solitaria, vi
dice Plinio quando li pone ad abitare poco lungi dal lago Asfaltide;
e solitari pure ragion vuole che fossero i grandi contemplativi; che
non a caso scelsero gli Esseni per loro stanza la quiete, la pace, il
silenzio dei campi. È là, è nella solitudine, è nel libero e forte
ripiegamento dell’animo sovra sè stesso, è nella concentrazione di
tutte le nostre morali facoltà, tanto lungi dallo sperperamento
cotidiano della vita cittadinesca, è là che l’anima si tempra a forte,
a maschio sentire, che lo spirito si eleva nei grandi pensieri, che
l’immaginazione spicca libero e naturale il suo volo, ed è là che
si educavano, che si dovettero educare gli Esseni contemplativi.
Credete che siano ubbie coteste mie, che faccia a guisa dei poeti il
panegirico della solitudine, e come i poeti, ponga i piedi sul vano,
sull’aereo, sull’imaginario? Io ne voglio a giudice, a testimone l’uomo
più competente, la scienza più positiva e per ciò stesso più decisiva;
voglio che lo udiate per me da un medico, e da un medico filosofo, e
chi è questo? È il Descuret in quell’aureo trattatello della _Medicina
delle passioni_. Sentite come si esprime il Descuret. _Lo scrittore_,
ei dice, _può acquistare in società facilità e stile brillante,
eleganza e gentilezza di frasi, ma giustezza di vedute, profondità
e concatenazione di pensieri, fuoco e vita nel discorso, trovano
origine per consueto nel ritiro, nella meditazione. I più grandi
scrittori hanno creati i loro immortali capolavori nella pace della
solitudine, tanto atta ai concepimenti del genio._ Che cosa si contiene
in questo squarcio, che io non abbia detto, e che cosa che a capello
non si acconci al nostro Istituto? Il quale non solo nel preferire e
rive e campi, obbediva al proprio genio, ma sì ancora si conformava
fedelmente al genio ebraico, alle tradizioni ebraiche, ed agli esempi
ebraici. Io dico cosa che forse parravvi strana, e appunto per questo
non la direi, se non avessi argomenti di avanzo, e se tanti non ne
avessi da dovere perciò stesso affrettare anco più il mio passo. Dissi
il genio ebraico, la fede ebraica, amare i campi; e come no? Abramo
prega e sacrifica all’aria aperta sopra un monte; nel silenzio, nella
solitudine pianta boschetti, e là sacrifica e là adora il Signore, nel
che è imitato di poi dal suo figlio Isacco: Isacco per pregare lascia
l’abitato e trae su per i campi orando dice il Testo, orando conferma
la tradizione e orando, conferman pure essi i Samaritani per quanto
non ligi al certo alle nostre tradizioni. Giacobbe ha visioni, prega,
fa voti in una solitudine nelle vicinanze di Luz o Bet El. Agar ha
visioni promesse e prodigii nel deserto di Beer Scebah; Mosè pascola,
medita per quarant’anni, e poi ha visioni, rivelazioni portentose
nelle solitudini dell’Oreb; se Mosè vuol orare al Signore, egli trae
fuori dall’abitato e colà alza all’eterno le palme; se ha in Egitto
rivelazioni, le ha nei campi lungi dalla città. La legge, la legge
di Dio non è data nè in Egitto nè in Palestina, ma nel deserto, per
accennare, dicono i Dottori, alla copia che gratuitamente fa di sè
ad ognuno; per non far nascere, dicono altri, tralle tribù gelosia,
rivalità. Eliseo fonda la sua scuola profetica nelle prossimità del
Giordano, e quivi vedeste in altra lezione adunarsi la bella scuola di
quel Signore dell’altissimo canto, i Recabiti di Geremia, progenitori a
senso nostro degli Esseni, Ezechiele, che fuori di Terra Santa patisce
difficoltà a profetare, trae fuori pei campi e profetizza. Che diremo
poi se dai Bibblici trascorreremo agli uomini e ai tempi rabbinici?
Qui gli esempi si accumulano, si affollano e in guisa tale che appena
è tempo di accennarli; qui nel _Ieruscialmi_ (Scebihit 6.) parecchi
esempi come di Ieuda Js Cozi, che si ritira in una spelonca e dice
addio al mondo per viversene a Dio soltanto;qui nel 2º di Sciabbat
il fatto più cospicuo, il fatto modello, il tipo degli anacoreti,
il grande Essena _Rabbi Simone ben Iohai_ che per tredici anni vive
solitario in una grotta, ove si fa così perfetto nella legge di Dio,
che al rivedere il suocero dopo tanti anni, tutto che estenuato si
fosse nella persona, non potè a meno di esclamare: Beato me che
malconcio mi rivedi, poichè ricco cotanto esco dal mio romitorio; ed
ove infine secondo i Cabbalisti meditò gran parte delle cose contenute
nel Zoar. Qui il Zoar istesso, e questo è grave assai, poichè attesta
sempre più quella conformità di genio che è base all’identità da
me sostenuta, qui il Zoar, ove si può dire senza tema di errore,
non è colloquio, non è incontro, non è polemica, non esposizione
che non avvenga o all’ombra di un palmizio, o presso i recessi di
una spelonca, o in un campo seduti, o sul ciglio di un fiume, o in
una rustica abitazione. Non basta; qui il Zoar che non solo vi dice
essere tutte queste cose avvenute laddove avvennero, ma che il fatto
vi offre altresì preziosissimo di stanza, di soggiorno, di domicilio
che in quelle solitudini avevano i soci, i fratelli come tra essi si
chiamavano, della società cabbalistica. Egli è questo un fatto, un
gran fatto a cui non si potrebbe prestare abbastanza attenzione, nè
io dubito che un dotto di buona fede non ne trarrebbe argomento a
gravissime reflessioni. Aprite il Zoar, apritelo nel vol. 2º a pagina
13, dove non solo vedrete come i Cabbalisti dimorassero nella pace dei
campi, ma le vestigia vi troverete eziandio luminosissime di ben altre
sorprendenti analogie che vorrei tutte analizzare, ma che per ora non
mi è dato. Troverete consorteria, organizzazione sociale, e sopratutto
vi troverete libri acroamatici ove i misteri si contenevano della
Religione; i quali libri non si mostravano che di volo e ai meglio
provati, appunto come accadeva in seno al nostro Essenato;apritelo
nello stesso volume 2º, a pag. 183. Che cosa vi vedrete? Vedrete Rabbi
Simone, Rabbi Eleazar suo figlio, Rabbi Abba, Rabbi Iose che procedono
per via. Chi è questo che gli si fa incontro? È un vecchio ed ha per
mano un fanciullo: al solo vederlo dice Rabbi Simon a Rabbi Abba:
_Cose nuove apprenderemo da questo vecchio. Chi sei tu_, gli chiede
quando è vicino, _e d’onde sei? Ebreo io sono_, risponde l’altro, E
LA MIA DIMORA è TRA I FARISEI DEL DESERTO OVE DO OPERA ALLO STUDIO
DELLA LEGGE. _Gioì Rabbi Simone e disse: Sediamo; conciossia che Dio
a noi t’abbia inviato, deh! non ti spiaccia farci udire delle parole
nuove, ma antiche_ (Che bell’antitesi novità e antichità ad un tempo!)
_che piantaste laggiù nel deserto intorno a questo settimo mese_.
Allora sorge il vecchio e colle parole esordisce di Mosè ove agli
Israeliti ricorda l’assistenza divina per lo deserto, e in mezzo alla
sua sposizione esce fuori con questa aperta allusione ai suoi, alla
setta di cui era parte: _E noi egualmente ci separammo dall’abitato
per vivere nei deserti onde meditarvi la legge_, CONCIOSSIACHÈ NON
SI COMPRENDANO DAVVERO LE PAROLE DI DIO SE NON NEL DESERTO; quindi
riprende il santo vecchio il divisato argomento, e tante e sì belle
cose va dimostrando sui giorni e sui riti pasquali che l’anima elevano
ed il pensiero al solo fraintenderle; tanto vanno improntati di una
sublime e trascendentale metafisica. Che sarà poi quando udirete il
termine con cui il Zoar conchiude la narrazione? _Intanto_, dice il
Zoar, _piangeva Rabbi Simone; ed era pianto di gioia: levarono tutti
gli occhi e videro cinque di quei Farisei che dietro al vecchio
procedevano per raggiungerlo; alzaronsi tutti. Disse Rabbi Simon: Dinne
il nome tuoRispose lo straniero: Neorai il vecchio, conciossiachè
altro più giovane Neorai sia fra noi.Disse Rabbi Simone ai nuovi
venuti: Qual’è il vostro cammino?Noi seguiamo, risposero, il santo
veglio le cui acque noi beviamo del continuo per lo deserto. Allora gli
si appressò Rabbi Simone e baciollo,[53] e disse: Luce tu ti appelli,
e luce è con te_: nè guari andò che accommiatitosi da quei solitari
ripresero i tre Dottori il loro cammino. Questi sono i due fatti che
volli citarvi appunto perchè sendo registrati nel libro più illustre
dei Teosofi nostri o cabbalisti, tolgono sempre più a confermare quella
identità che fu ed è mio officio il dimostrarvi fra l’antica scuola dei
nostri Teologi e l’Istituto degli Esseni.
 
Egli è forse per questo che gli altri rabbinici monumenti ci porgano
meno significanti gli esempi di questa predilezione dell’amore del
ritiro, della quiete dei campi e del sommo suo confacimento agli studi
ed agli atti di Religione? Tutt’altro. Vi dissi, non è molto, come
esempi non pochi vi fossero d’insigni Dottori in ambedue i Talmud che
chiesero al silenzio, al ritiro, l’acquisizione dei misteri e delle
religiose dottrine,[54] e solo perchè meglio gli individui riguardavano
le istituzioni, gli usi e i generali costumi, ne feci separata e
preventiva menzione. Ma quanto più non tornan all’uopo efficaci gli
esempi generali, gli usi, le istituzioni, le leggi stesse da questo
spirito informate! Le leggi, quando sentenziano che ove tra i coniugi
sorgessero contestazioni sulla scelta del domicilio, a quella parte
si debbe piuttosto attendere che preferisce alla città i villaggi,
_conciossiachè_, dice il Talmud, _il soggiorno delle grandi città torni
non poco alla morale periglioso, pei costumi pel solito più molli e
più rilassati_. Le idee più intime dei nostri Dottori quando ponendo in bocca alla Chiesa Israelitica quelle parole di Salomone: 

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