2015년 6월 3일 수요일

Storia degli Esseni 31

Storia degli Esseni 31



Io non oserei questo vocabolo adoperare se non avessi sempre letto
in autori gravissimi, qual fatto costante dimostrato, _il silenzio
dei Dottori intorno gli Esseni_; se le ricerche eziandio più moderne
non si fossero arrestate innanzi questo fatto strano incomprensibile,
se infine il luogo da me citato del _Jeruscialmi_ a quei pochi
ma rari e preziosi luoghi non appartenesse, che nella rabbinica
enciclopedia alludono, a parer mio, manifestamente alla società degli
Esseni. Giudicatene voi stessi. Vuole il Talmud accennare quei libri,
quegli esemplari da cui si può impunemente togliere criterio per la
trascrizione dei libri sacri, accennarli insomma quai libri modelli.
_Rab Kannà amar lemedin misefer mugghé._ E quali sono, credereste,
quei libri modelli? Sono quelli, aggiunge il Talmud, _quei libri che
libri s’intitolano da un Esseno o Esseo_ come più precisamente legge
il Talmud. «_Chegon illen deamrin sifroi de Assè._» Strano a dirsi!
Quando i chiosatori tolsero a darci di questa frase l’intelligenza,
che cos’avvenne? Essi ignoravano o in quel punto obliarono che nei
secoli misnici, talmudici, eravi una scuola famosissima che si diceva
degli Esseni, che come gli stessi farisei avevano libri; che come essi
scrupolosamente ne praticavan la custodia, che la gelosa conservazione
eragli imposta per giuramento e tutte queste cose obliando, girono in
cerca di meschine, di assurde interpetrazioni. Si disse: eravi allora
celebratissimo scriba che il nome portava di _assè_, i cui libri si
prendevano per modello delle copie trascritte, e di quest’uomo intese
favellare il Talmud quando disse _Sifroi de Assè_. Ma dov’è questo
_Assè_ nella storia? Dove sono i luoghi in cui di esso si ragioni nel
Talmud? Come il singolare parlante nome reca egli appunto di Assè, e
come infine il solito inseparabile aggiuntivo non si legge di Maestro
o di Rab? Ma quanto meglio nel nostro sistema! quanto più naturale,
storica, espressiva, piena di vita e di verità la frase talmudica ove
degli Esseni s’intenda, ove si ammetta niun più acconcio esempio aver
potuto citare il Talmud di esattezza e religione bibliografica, che
lo esempio pubblico famosissimo della bibliografia degli Esseni! Il
qual esempio vediamo citato in verità nella frase summenzionata, che
mentre conferma la fama di periti e probi bibliografi che vantavano
gli Esseni, e che è l’oggetto specifico di questa lezione, ci offre
al tempo stesso uno dei più pellegrini luoghi che la storia degli
Esseni vanti nelle pagine Rabbiniche, siccome quella che prova contro
l’opinione generalmente accettata, la cognizione degli Esseni presso i
Dottori.
 
Ma gli Esseni promettevano nel loro giuramento altra cosa non meno
preziosa conservare, e voi lo udiste, _il nome degli angioli_. Chi
è che questo giuramento ci ha trasmesso e quindi anco la frase
presente? Egli è Giuseppe Flavio che grecamente dettava le opere sue,
e grecamente in pari modo narrava dell’essenico giuramento. Come
suona nell’originale la frase di Flavio? Suona ella così chiara, così
formale che nè incertezza nè contradizioni abbia tra gli interpreti
ingenerato? Io vel debbo confessare. Le parole di Giuseppe furono
diversamente comprese dai suoi traduttori. Ove Basnage, ove Munk,
ove altri moltissimi leggono, come udiste, _il nome degli angioli_,
l’antico traduttore francese _Arnauld d’Andilly_, e forse altri che
io non conosco, intesero e tradussero, _il nome di coloro dai quali
furono i libri ricevuti_, che è quanto dire il nome dei loro antichi
autori. A quale delle due diverse lezioni dobbiamo attenerci? Io
non vi obbligherò a sì lungo e duro processo; piuttosto più breve e
spedito cammino preferiremo, e prendendo in esame or l’una or l’altra
lezione, dimostreremo come qualunque versione ci piaccia anteporre,
sempre naturale e luminosa sorgerà tra gli Esseni e i Farisei nuova e
concludentissima attinenza. Piacevi la versione _d’Arnauld d’Andilly_?
Volete che si tratti degli scrittori, degli autori antichissimi della
scuola il cui nome si volle scrupolosamente conservato? Ed allora
potrei io tacere quei luoghi autorevolissimi, ove di questa regola
e costume si costituisce obbligo, dovere impreteribile? Non sono i
Dottori che insegnarono che chi degli antichi autori i nomi ricorderà,
è fattore di Redenzione? Non sono essi che ammaestrarono desiare
ardentissimamente le anime dei trapassati udirsi ricordate in quanto
insegnarono in questo mondo? Non imposero essi ad ognuno immaginare
presente nell’atto d’insegnare l’autore dell’antico dettato. _Leolam
jekaven adam baal scemuà lefanav._ Non posero eglino stessi il precetto
in pratica risalendo per lo usato nella recitata tradizione, di autore
in autore, tutti per nome distinguendo sin dove la superstite memoria
lo permetteva? Io vorrei potere farvi qui apprezzare il doppio oggetto
che, sì facendo, si proponevano i Farisei; l’ossequio che in tal modo
amavano prestare agli antichi maestri, lo spediente che per tal guisa
usavano efficacissimo a serbare inalterate le religiose tradizioni
perpetuando le vetuste trasmissioni, e quasi i titoli e diplomi di
legittimità invariabilmente accompagnando alle loro dottrine. Ma questo
troppo più oltre ci menerebbe che il tempo ed il tema non lo consentano.
 
Voi lo udiste; udiste come non sia la sola versione che si ammise in
Flavio. Si volle e per moltissimi e forse pei più autorevoli, che
la frase di Flavio suoni diversamente cioè _nome degli angioli_. Io
vorrei che poteste quanto è d’uopo misurare tutta la importanza di
questa frase, che ricordaste come la esistenza, nei tempi di cui
parliamo, di una scuola che professasse il culto di una recondita
teologia, fu subbietto ed è tuttavia di lunghe, ostinate e dottissime
controversie, e come in ultimo questa frase gettata nella bilancia
non può non farla, a creder mio, inclinare dalla parte del vero, del
diritto. Ma queste preziosissime circostanze basti lo avervi accennato.
Noi dobbiamo solo domandare: Saremo noi così felici nel rinvenire di
questo giuramento il riscontro nei Farisei, come non infelici fummo,
se io non erro, nelle cose discorse? Troveremo noi l’obbligo tra i
Farisei di conservare dottrine arcane e certi nomi di Dio venerati?
Io non rifinerei giammai se qui dovessi tutto quello esporvi che ci
porge di analogia il Talmud; e benchè di significato fecondissimo
e di momento stragrande meglio che altri non crede, nonostante non
riguardando da presso l’argomento presente, e potendo con un singolo
esempio tutto ad un tempo provare, ogni altra talmudica citazione
preteriremo.[80] E qual è questo esempio di cui favello? Egli è tratto
da quel libro che nell’officio comparativo che abbiamo intrapreso non
potremmo desiderarsi più concludente. Egli è il Zoar al volume 3º
sul fine, ove oltre moltissime attinenze che è facile notare colla
società degli Esseni, oltre il narrarvi di un libro di un Asseo per
nome _Cattinà_, oltre il citarne le parole che a guisa di commento pare
avesse dettato sull’ultimo canto di Moisè, oltre il riferirvi tutto
quanto in quell’opera si prescriveva sui doveri del medico, oltre il
rivendicarvi la legittimità dell’arte salutare contro i sofismi che in
nome di una religione fatalistica ne proscriveva l’esercizio, oltre lo
accoppiarvi nella stessa persona, mirabile a dirsi! la cura del corpo e
la cura dell’anima, carattere precipuo distintivo della società degli
Esseni, oltre il parlarvi di un medico o Assià celebratissimo che più
si diceva operare guarigioni colla preghiera che non colle arti sue,
qualità se altra fu mai convenientissima agli Esseni, oltre a tutto
questo, ed è già molto e rilevante, si aggiunge: quel libro esser stato
veduto, esaminato prima da un Nomade, da un Solitario. _Tajaha_ il
quale redatolo dall’avo suo, dice tutte le dottrine mediche contenute
fondarsi sui misteri della legge, prescriversi certi mezzi curativi che
non sono precisamente nè umani nè scientifici; e poi lo stesso libro
veduto, esaminato per ben dodici mesi da uno dei più celebri dottori
Zoaristici, da R. Eleazar, che da quella lettura riportò, siccome egli
narra, un senso di venerazione e terrore. Ma ciò che più davvicino
riguarda l’argomento presente, la gelosa conservazione dei nomi degli
angioli è il fatto, di cui depone il Zoar istesso.Il contenervisi
in quel libro registrato il nome degli angioli, l’aggiungersi da
R. Eleazar, vero e scrupoloso Essena, che quei nomi non parevangli
esattamente ordinati, cose tutte che rispondono pienamente a quello che
vedemmo praticato presso gli Esseni.
 
Noi abbiamo esaurito il tema del Giuramento, abbiamo parte per parte
esaminato questa specie di programma che ogni Essena dovea soscrivere
e giurare al suo nascere all’Essenato, e lo esame intrapreso tornò,
come dovea, a sempre maggior conferma di quella identità tra il
Farisato Cabbalistico e gli Esseni, che fu costante argomento delle
nostre dimostrazioni. Adesso un nuovo lavoro ci chiama, un nuovo
esame; l’esame delle istituzioni organiche, fondamento del nostro
istituto. _La comunicazione dei beni, il celibato, gli usi e la vita
pratica del chiostro._ Ecco gli argomenti che ci occuperanno nelle
successive lezioni.Prove maggiori ci attendono, a me di studio, di
indagini serie, a voi di cortesia sempre crescente. A chi valica un mar
tempestoso nulla più vale a ispirargli coraggio che una voce amica, che
un volto, un’espressione che gli auguri dalla riva propizie le aure.
 
 
 
 
LEZIONE DECIMOTTAVA.
 
 
Il sistema che abbiamo seguito nella esposizione della storia degli
Esseni ha almeno il pregio, se io non erro, di essere naturale. Noi
abbiamo quell’ordine esterno seguito che l’Essena seguiva nel passaggio
che dalla vita faceva del mondo alla vita ascetica e contemplativa
del chiostro. Passava dal mondo all’Essenato con un tirocinio di tre
anni, e questo tirocinio studiato abbiamo sotto il nome di noviziato.
Varcato così le soglie dell’istituto, un atto secondo e più intimo
celebrava soscrivendo agli obblighi che lo attendevano nella vita
claustrale, e questi obblighi e questo impegno abbiamo considerato
sotto il nome di _giuramento_. Entrato così nel novero dei soci e tutti
i doveri adempiendo, e che cosa dovrà formarne delle nostre ricerche
subbietto? Certo, i doveri appunto che adempiva, le istituzioni a cui
s’uniformava, le leggi che ne regolavano la vita. Ma in questa stessa
disquisizione un qualch’ordine dobbiamo pure serbare. Dobbiamo da
quelle istituzioni esordire, che prendevano lo iniziato al suo entrare;
dobbiamo poi a quelle volgere la mente che lo iniziato accompagnavano,
e che gli atti tutti informavano della sua vita sociale.
 
Una istituzione, singolare istituzione, attendeva lo Essena alla
porta. Al suo giungere non solo i vizj, non solo l’errore doveva
deporre, ma una mano invisibile lo spogliava di tutti i beni eziandio,
e questi ora alla comunità appartenevano, all’erario sociale, ora in
favore ai congiunti quasi per morte si rinunciavano: così Giuseppe
nelle _Guerre giudaiche_. Ma lo Essena se di ogni presidio terreno
si spogliava, ci trovava nella società una madre la quale per mezzo
di socj a questi uffici preposti, e che la storia rammenta sotto il
nome di _Economi_, provvedeva incessante agli abiti, al vitto, ai
bisogni dei figli. E questa istituzione si dice _Comunanza di beni_.
Furono in questo senza predecessori gli Esseni? Non ebbero modelli,
esemplari tra il fiore dei Pagani, nelle patrie ricordanze e nei
Dottori contemporanei? Vediamo gli uni e gli altri. I Pagani! Chi
potrebbe dimenticarlo?Chi potrebbe porre in oblio a questo proposito
i _Pitagorici_? I quali oltre le altre moltissime analogie, in parte
vedute e che in parte vedremo ancora colla società degli Esseni, questo
pure parlantissimo riscontro porgevano col nostro istituto nella
_Comunanza di beni_. Il Ritter, I, 299, crede che la comunità dei beni
sia piuttosto dei moderni Pitagorici che degli antichi; ad ogni modo
non nega l’istituzione. Ed ai Pitagorici somigliavagli pure il nostro
grande correligionario Flavio Giuseppe quando ai suoi lettori pagani
voleva porgere un termine di comparazione coi suoi cari solitarj.Che
Flavio Giuseppe non a torto, così sentenziando, si apponesse, abbiamo
veduto altre volte e vediamo oggi non meno; ma forse altro meno atteso
resultamento racchiudesi nel citato ravvicinamento, se gli Esseni
sono ragionevolmente posti a fianco dei Pitagorici, se il carattere e
le istituzioni hanno comuni indivisi. Se i Pitagorici, a confessione
di valentissimi autori, hanno comuni le fattezze coi cabbalisti, chi
non vede per nuova via accostarsi, abbracciarsi, confondersi in uno
_Cabbalisti ed Esseni_? Se è vero in matematica che due quantità uguali
a una terza sono uguali fra loro, chi non vede la verità di questo
altro ragionamento? Esseni e Cabbalisti sono eguali a Pitagoricidunque
Esseni e Cabbalisti sono eguali fra lorosono sopra un tipo stesso,
un’idea sola improntati?
 
Il Paganesimo, noi lo abbiamo veduto, ci ha dato i Pitagorici quale
ordine, quale istituzione affine alla società degli Esseni. Che cosa
ci darà l’Ebraismo, la storia dell’Ebraismo? Voi lo sapete; parliamo
qui di una linea sola della fisonomia degli Esseni, della comunanza
dei beni, del voto di povertà. E dove meglio potrìaquesta istituzione
ravvisarsi che trai Leviti ed i Sacerdoti? Sacerdoti e Leviti secondo
le leggi mosaiche nulla possedevano.Sola fra tutte, la tribù di
Levi fu di ogni retaggio in terra santa destituita, sola fra tutte
vivea del Tempio e dei proventi del Tempio, sola fra tutte avea per
ogni _avere sortito l’Eterno, la sua Dottrina, il suo Culto_. E
questa è visibilissima attinenza tra Esseni e Leviti. Ma non è sola,
voi lo ricordate. Quando parlavamo dell’astinenza dal vino, quando
degli abiti, dei candidi pannilini, quando degli studj e della vita
contemplativa, ei furono sempre i Leviti che tutti questi caratteri
ci offrirono comuni agli Esseni. A questi caratteri un nuovo dobbiamo
aggiungere, e questo è il voto di povertà, la comunanza dei beni. I
Leviti appartengono alla biblica antichità e quindi recano i caratteri
ed il genio essenico nelle epoche più vetuste di nostra esistenza. Sono
soli i Leviti in quel periodo di nostra storia a offrire cogli Esseni
questa nuova similitudine? Sarebbe errore il crederlo, riflettendo ai
Recabiti dei quali parecchie cose udiste per lo passato. Certo spero
non avrete dimenticato come nelle espressioni di Geremia io vi facessi
osservare una frase la quale altro senso non può avere che il voto di
povertà, che la comunanza di beni. Così prima Leviti e Sacerdoti e poi
i Recabiti di Geremia preludono, come in altri infiniti anco in questo carattere, alla società degli Esseni.

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