2015년 6월 3일 수요일

Storia degli Esseni 33

Storia degli Esseni 33


Ma nè queste nè altre simili inattese conferme da un obbligo ci
dispensano imperiosissimo; dallo spiegare in qual modo il celibato,
almeno parziale, si concilia colla identità dei due Istituti. E
qui mestieri è di buon grado il concediate. Se ci volessimo di una
semplice analogia accontentare, egli è gran tempo che sarìa stata
da noi indicata; se ci bastasse il dimostrare che i Farisei se non
ebbero il celibato, n’ebbero almanco lo spirito, n’ebbero almeno le
lunghissime astinenze, n’ebbero almeno l’applicazione temporanea ai
grandi stati, ai grandi momenti della vita religiosa; gli esempj altra
volta da noi ricordati sorgerebbero all’uopo opportuni, ed il Farisato
di nuovo ricondurrebbero tra le braccia dell’Essenato; sorgerebbero
gl’Israeliti separati da lunga mano dalle loro donne nell’aspettazione
di Dio rivelato; sorgerebbe Mosè sacratosi secondo i dottori a perpetuo
celibato perchè la voce udì che gl’intimava _Rimanti con me_, e di
cui bello indizio comecchè indiretto ci fornirà il gran fatto, che
dopo i due figli avuti pria della sua vocazione, niuna altra prole di
lui rammemorino le istorie. Sorgerebbe David, il quale al sacerdote
di Nob ripugnante di ammetterlo alla mensa d’Iddio protesta _esso ed
i suoi da parecchi giorni da ogni venere astinenti_. Sorgerebbe, lo
che è più, una schiera di Dottori Talmudici dei quali si narrano le
lunghe separazioni dalle donne loro, sino ai dodici, sino ai venti e
più anni, per vivere della vita studiosa appo qualche famoso dottore
lontano; nè tra questi sarìa da pretermettere Rabbi Achibà che un
carattere particolare ci offre notabilissimo nello appartenere a quei
quattro privilegiati che si dicono ammessi al _Pardès_; ch’è quanto
dire iniziati alle più alte speculazioni di una recondita Teologia.
E questo, ne converrete, sarìa già molto, e molto del còmpito nostro
noi avremmo fornito. Ma se il sistema nostro è vero, se resiste a
tutte le prove, dobbiamo volere di più: dobbiamo chieder una precisa
e formale dispensa dal matrimonio, dobbiamo chiedere una precisa e
formale sanzione del celibato: Non basta; dobbiamo chiedere, perchè
sia congenere e quindi identificabile perfettamente coll’Essenico
celibato, dobbiamo chiederla quale virtù ascetica, trascendentale, qual
mezzo di superlativa perfezione religiosa, quale sacrifizio di ogni
affetto carnale ad un affetto morale sopramondano. Parvi egli che io
proceda meco stesso più che non s’addica indulgente? Parvi egli che
più potrebbe esigere il più severo Aristarco? Parvi egli che se questo
trovato avremo, avremo tutto trovato? Ebbene, noi lo abbiamo trovato;
abbiamo il Talmud, e dopo di esso un lungo ordine di Trattatisti, i
quali tutti, dopo avere tra i precetti di Dio annoverato il matrimonio,
pure stabiliscono una eccezione, e questa eccezione è pegli _Asceti_,
è pegli uomini che pongono ogni loro amore nella _Contemplazione_, per
quelli, dice il Talmud, che lo esempio vogliono seguire di _Ben Azai_.
Che nome è questo, e qual nuovo raggio di luce diffonde sull’argomento?
Chi era Ben Azai? Il credereste! Era anch’esso uno dei quattro che
sopra gli altari si dicono nel Talmud ausati a’ più eccelsi voli della
speculazione teologica; era pur esso uno dei quattro che entrarono
nel _Pardès_, ed esso, oh meraviglia! è Ben Azai, è il modello del
celibato in bocca ai Dottori, ed egli stesso fu celibe, come celibe o
quasi celibe fu Rabbi Achibà, come celibe fu Ben Zomà, se non erro,
tutti componenti il gran consesso del Pardès. È egli a caso cotesto?
È a caso che non solamente si trova il celibato autorizzato praticato
nel Talmud, ma lo che è di gran lunga più importante, si trova appunto,
si trova esclusivo in quel consesso, in quei Dottori che se antenati
ebbero i Cabbalisti negli antichi tempi, sono dessi di certo? È egli a
caso che lo stesso argomento che prova la presenza del celibato trai
Farisei, prova egualmente la particolare affinità degli Esseni con
quella parte di Farisei che furono precursori, progenitori della grande
scuola di Cabbalisti, tanto che si può dire che lo argomento che a noi
saria bastato, sorge di nuova luce rivestito che ne prova la verità e
meglio e più urgentemente conclude di quello che chiedevamo? Io credo
che uno dei migliori criterj di verità, per giudicare di un sistema sia
appunto cotesto, quando cioè affaticandoti a solvere una repugnanza
apparente, non solo il filo trovi che ti trae d’impaccio, ma quasi per
mano ti riconduce a rivedere, a riconoscere, a ricostatare tutte le
altre parti del visitato edifizio provando al tempo istesso il tutto
colla parte e la parte col tutto, e intimamente armonizzando non solo
colla idea in controversia, ma con tutti gli altri caratteri del tuo
sistema.
 
Abbiamo veduto lo stato economico degli Esseni, la comunanza di beni,
il loro stato, in parte coniugale in parte celibatario. Adesso dobbiamo
più davvicino osservare la vita privata, le costumanze, le abitudini.
E prima di ciò che riguarda il loro esteriore, la loro persona. Quali
erano i loro abiti? Noi abbiamo di questo argomento toccato laddove
della origine discorrevamo del nostro Istituto. Voi lo ricordate.
Questi abiti non erano per tutti uniformi, e forse cercando di questa
diversità la origine, la troverete per avventura in quel doppio ordine
di Esseni che abbiamo veduto comporre il grande istituto _Pratici e
Contemplativi_. Vestivano altri di ruvide pelli, secondo ne ammonisce
Giuseppe nell’_Autobiografia_, altri poi procedevano ammantati di
bianchissimi lini. Noi chiedevamo, voi lo rammentate, all’antichità
ebraica, alla storia, al culto ebraico di questo duplice costume i
precedenti. Vedevamo l’origine del primo nell’uso generalmente adottato
dai profeti, e che n’era siccome pare il principal distintivo. Vedevamo
l’origine, il modello dei _candidi lini_, in parecchi e venerande
istituzioni in Israel; il vedevamo tra i sacerdoti che di bianco lino
vestivano nell’interno del Tempio; il vedevamo tra i Leviti, tra i
Nazirei, presso i quali un verso preziosissimo delle Lamentazioni
ci attestava egual costumanza; il vedevamo nelle rappresentazioni
degli esseri angelici quando i profeti ce li dipingono biancovestiti,
quando in Daniel _l’antico dei giorni_ ci è presentato cuoperto di
veste bianca qual neve; il vedevamo tra i Dottori, specialmente in
uno tra essi celebratissimo R. _Iehudà Bar Ilhai_, del quale si narra
che approssimandosi il sabbato indossava candida veste onde _non
dissimile_, dice il Talmud, _appariva dagli Angeli_. Che sarà pure se
lo epiteto intenderete, col quale questo santo Dottore vien designato?
Certo non negherete che niuno più parlante modello da paragonarsi agli
Esseni. L’epiteto di cui si parla egli è quello col quale, a senso
nostro, si designava dai Dottori lo Istituto degli Esseni, l’epiteto
di _Hassid_. E _Hassid_ è detto nel Talmud questo stesso Ribbi _Ieudà
Ben Ilaì_ di cui vediamo la singolare conformità esteriore col costume
degli Esseni. Fatto di gran rilievo ove specialmente si consideri che a
detta del Talmud, ogni qual volta il nome, l’epiteto ricorre presso gli
antichi, di _Hasid_, egli è di questo stesso Dottore di cui si è voluto
parlare. Ma non è egli il solo di cui si narri il _bianco vestire_. I
Dottori di Babilonia si distinguevano pei _candidi manti_; onde erano
detti, perciò appunto _Malahè asciaret_, secondo avverte il Talmud in
_Chiduscim_ ed in _Nedarim_. Ed oh quanto non torna all’uopo nostro
significante la voce _Hassid_! Voi lo vedeste le mille volte come l’uso
storico speciale che di questo vocabolo fecero gli antichi consuoni
sempre coll’istituto degli Esseni, tanto che, ciò che i Dottori
dissero, narrarono dei _Hassidim_, è vero alla lettera, dei grandi
solitari. Ma non è perfino il nome stesso di Hassid che non acchiuda
in seno una squisita convenienza coll’uso, col costume in discorso. Il
senso suo cotanto vago, cotanto generale, pure talvolta si determina,
si fissa, si circoscrive e l’idea ci offre bene chiara, bene specchiata
di _candore_ e _bianchezza_. Ce l’offre quando è adoperato in senso
di _onta_ siccome quella che in ebraico si dipinge col pallore e la
_bianchezza del volto_; _Malbin_. Ce l’offre poi nel nome _Hassidà_ che
il traduttore Arameo traslata a dirittura la _bianca_; _Havarità_ per
il bianco colore delle sue penne.
 
Sono queste alcune linee di quel grande sistema d’identità che abbiamo
cercato di dimostrare del continuo in queste Lezioni; ma la precipua
sua forza sta nell’insieme, nell’armonia delle sue parti; in quel
vicendevole connettersi, spiegarsi, completarsi, che fanno tutti i
suoi elementi, ed in cui l’animo non può fare a meno di ammirare o uno
strano capriccio del caso, o un titolo ed un carattere innegabile di
evidenza.
 
 
 
 
LEZIONE VENTESIMA.
 
 
Dopo avere nella passata lezione descritto l’esteriore costume degli
Esseni, le loro vesti ora candide quai sacerdoti, ora aspre e pelose
quai solitari e profeti, diremo adesso degli usi loro, della pratica
della vita privata. Grande era il conto che gli Esseni facevano della
mensa comune, delle comuni imbandigioni. E nel farlo fedeli erano
alle patrie idee, alle patrie tradizioni, e fedeli eziandio a’ più
cospicui, a’ più religiosi istituti della pagana antichità. Delle prime
faccia fede la Bibbia che ove avvenga chi di solenne banchetto faccia
menzione, sempre un gran nome, un nome santo, gli conferisce, quello
di sacrifizio,[82] faccian fede i dottori che a dirittura asseriscono,
la mensa ove presiede la fede tenere degnamente le veci dello altare
di Dio, e le imbandigioni il luogo tenere di sacrifizio espiatorio. Le
quali idee comecchè leggansi nelle più autorevoli opere de’ prischi
dottori, pure e forse per ciò stesso, consuonano a maraviglia colle
teorie cabbalistiche; prova ad un tempo che tralle prime e le seconde
anziché divario, come altri presume, grandi invece ci corrono e
sensibili affinità, e che gli Esseni anche per questo verso esprimono
con mirabile fedeltà il genio non solo della scuola de’ Farisei, ma più
specialmente di quelli che la età moderna distinse sotto il nome di
Cabbalisti.
 
Dissi però di costumi, eziandio, di idee pagane da queste non dissimili
de’ nostri Esseni. E qui potrei, le greche e le barbariche istorie
invocando, far mostra di facile erudizione. Potrei citare e Persia e
Atene e Sparta e le Repubbliche pressochè tutte di Grecia antica, ove
i pranzi comuni, ora al grado si elevarono di pubblica, di sociale
istituzione, ora, lo che è più, di religioso cerimoniale. Ma su queste
e altre simili ricordanze trapasseremo per brevità. Solo dirò con
Plutarco che la _mensa_ dice _rappresentazione e figura della Terra;
l’una e l’altra di forma sferica concepite_. Ma Plutarco dice di più:
egli aggiunge che perciò stesso, _Vesta_ da taluno _si appellava la
mensa_, e Vesta era simbolo di _fuoco centrale_, dell’altare, della
torre di fortezza, come altra volta vedemmo appellato esso fuoco
centrale; e quindi al nome mirabilmente corrispondente di _Mizbeak_
che reca ne’ nostri libri la mensa, ed ambedue e _mensa_ ed _altare_
come tra i pagani così tra noi indicanti un unico principio. Tra i
primi Vesta, il fuoco centrale, la vita del mondo, e tra noi l’Ente
Metafisico che i Dottori chiamano _Malhut_, e che tutti i caratteri
offre appunto or ora discorsi. Sono questi arbitrari accozzamenti o
armonie spontaneamente prorompenti dal cuor del subbietto? Per ora
ci basti il fatto enunciato, il concetto uniforme che della tavola
formaronsi, e la Bibbia e i migliori tra i pagani, e gli Esseni, e
i più eruditi scrittori del paganesimo quale Plutarco. Nè Plutarco
è il solo. Cicerone prende a posta sua la parola, ed arguto quale
egli esser suole in fatto di etimologia, accenna la superiorità del
latino che _convivio_ chiama il banchetto quasi vivere insieme, sul
greco che lo qualifica _simposio_ quasi bevere insieme. Ma che avrebbe
Cicerone pensato se del nome ebraico avesse avuto contezza? Egli
avrebbe certo trovato lo equivalente di simposio nell’ebraico nome di
_mistè_, e quindi inferiore anch’esso al _convivio_ latino. Ma quanto
più splendida qualificazione avrebbe egli ravvisato nel nobilissimo
_Zebach_? Che se il primo ogni volgare accenna ed anche licenzioso
banchetto, il secondo ai grandi, a’ solenni allude e religiosi convivj.

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