2015년 6월 3일 수요일

Storia degli Esseni 35

Storia degli Esseni 35


Che se questo fatto ed altri di simil tempra non provassero
l’identità, che cosa proverebbero e quale più rimarrebbe spiegazione
escogitabile? Certo che altra sola rimarrebbe possibile, ma tale che
per la sua assurdità niuno vorria menar buona. Bisognerebbe supporre
che in seno ad una stessa nazione, _gli Ebrei_; sotto gli influssi
di una medesima religione, l’Ebraismo, in breve sotto l’azione di un
concorso di cause identicissime, due istituti siensi generati, che
tutto o pressochè tutto vantano comune, _dottrine_, _genio_, _pratica
giornaliera_, _usi_, _costumi_ e nonostante non si tocchino, non si
combacino, non s’identifichino fra di loro, e nonostante sieno due
riproduzioni _fac simili_ di uno stesso tipo, due manifestazioni
successive di uno stesso principio, di uno stesso genere. Io credo
questa ipotesi inammissibile. Io credo che nella stessa guisa che nella
vita di un popolo, di una fede, di una scienza, ogni principio, ogni
germe nasce una sola volta, vive di una sola vita, e morto ed esaurito
mai più comparisce in quella guisa medesima che la Grecia ebbe un sol
Platonismo, una sola _Stoa_, un sol _Peripato_; l’età moderna un sol
_Cartesio_, un sol _Leibnizio_, un sol _Spinoza_, un sol _Kant_, nè
saria stato possibile che due ve ne fosse perchè nulla d’insulso, di
inutile si produce in natura, così io credo che l’Ebraismo non ebbe nè
poteva avere che un sol Essenato, come non ebbe che un sol Farisato,
un solo Sadduceismo, un sol Caraismo; e che questo Essenato cangiò sì
di nome col cangiare de’ secoli, senza cangiare però di natura, e le
fattezze antiche serbando tutt’ora riconoscibili.
 
 
 
 
LEZIONE VENTESIMAPRIMA
 
 
Le istituzioni degli Esseni ci hanno sinora occupati. Celibato,
comunanza di beni, abiti, refettorio furono da noi nel novero posti
delle loro istituzioni; e come tali studiati. Potremo noi obliare il
lavoro l’esseniche occupazioni? Potremo noi il carattere e l’esame
disdirgli di organica istituzione quando le regole dell’istituto come
tale lo consideravano, come tale ai socî lo imponevano? Io credo che
nol possiamo. Troppo era per essi essenziale il lavoro perchè possa
da noi pretermettersi. Il lavoro, dice il _Salvador_, era una delle
tre basi su cui la società si fondava, e queste basi erano _Lavoro_,
_Carità_, _Contemplazione_. Le quali basi attentamente osservando, mi
venne fatto dimandar a me stesso: sarebbe egli possibile che di questa
triplice caratteristica si faccia parola nelle antichissime sentenze
di _Abot_? Sarebbe possibile che un equivoco, sino adesso perpetuato,
ci abbia conteso la vera e genuina intelligenza della parola _Abodà_,
e che non ad altro se non alla essenica organizzazione allude il testo
antichissimo, quando tre dice essere le basi su cui poggia il mondo,
il sociale edifizio, _Carità_, _Lavoro_, _Contemplazione_? Io non
ardirei asserire che così sia veramente, che a questo e non ad altro
abbia alluso la _Misna_ e che la parola _Abodà_ sin ora intesa come il
culto esprimente e il servigio di Dio, stia piuttosto a significare
lavoro, come pure il potrebbe. Tanto io non ardisco, ma ciò che si può
a dirittura affermare, egli è che la congetturata interpretazione può
stare a fronte di altre mille che la critica moderna partorisce ogni
giorno; egli è sopratutto il conto grandissimo in cui il lavoro si
tenne presso gli Esseni.
 
Ma qual lavoro? certo non il commercio per cui gli antichi professarono
dispregio anziché altro; per cui parve condegno agli Egizj, agli
Indiani, antichissimi popoli, rilegarne i professanti sino alle ultime
classi sociali. Per cui i Greci stessi non ebbero che parole di
biasimo e di sdegno, che lo dissero proprio peculiare officio della
classe servile, e non solo in pratica l’ebbero a vile, ma vile ancora
l’ebbero in teoria i filosofi, i publicisti, come a bastanza apparisce
nel 7º libro della _Politica_ di Aristotile, e come dal nostro stesso
Flavio Giuseppe apertamente risulta, il quale più obbediente ai
paganici pregiudizj che alla storica verità, disse che gli stranieri
soltanto praticarono appo noi il commercio ai tempi di Salomone; troppo
disdicendo a popolo nobilissimo inchinare la mente ai pensieri, agli
officï della mercatura. Queste frasi provano almeno una cosa, provano
il concetto che del commercio prevaleva, ai tempi dello Essenato, il
quale, siccome quello che aspirava a sovrumana perfezione, non poteva
a quegli offici ossequiare che dallo universale e dal volgo medesimo
erano dispetti.
 
Che se il commercio non era la occupazione prediletta dei rigidi
solitarj, potremo dire lo stesso dell’agricoltura? Egli è certo che
Filone attesta il contrario. Ricorda _Filone_ come gli Esseni si
compiacessero attendere eglino stessi ai rusticani lavori, e le terre
eglino stessi coltivare alla società pertinenti. Nè certo consuonavano,
in questo, i lor costumi con quelli dei più famigerati popoli del mondo
antico. I quali non meno che il commercio ebbero a vile l’agricoltura,
e l’uno e l’altra affidarono a mercenarj, a schiavi. Testimoni gli
Indiani che solo all’infime classi sociali concessero il lavoro dei
campi; testimone l’Egitto, la Grecia, e Sparta segnatamente; e se una
eccezione dovesse farsi fra i popoli antichi, ei sarebbe senza meno
pei Cinesi e pei Romani. Ma dove oblio il popolo nostro? Che agricola
per eccellenza, non alle conquiste, non alle arti, non alle scienze,
poco ai commerci rivolse la mente, ma tutte si ebbe le sue cure la
coltivazione della terra: e le terre feconde e le mèssi e i frutti
abbondanti, si udì per secoli e secoli riprometter qual premio della
sua fedeltà, e per contro suonar terribile, continua minaccia al
peccato, la sterilità e la terra ingrata ai prodigati sudori.
 
Nè l’agricoltura fu meno in reverenza appo i Dottori. I quali non
solo la consigliarono qual onesta, utile occupazione; non solo eglino
stessi talvolta la praticarono (nella più corrotta epoca dello Impero
romano rinnovando le virtù dei Cincinnati), ma preludendo alle grandi e
famose quistioni, sorte ai nostri giorni tra i più celebri Economisti,
in due campi, in due scuole si divisero; l’una il primato concedendo
all’agricoltura, l’altra a questa anteponendo i commerci e le
industrie; l’una _vaticinando_ il definitivo trionfo dell’agricoltura,
l’altra all’aspetto florido dei campi anteponendo il fervore,
l’attività dei commerci e dell’officine. (V. Talmud Mezihà.)
 
Ma gli Esseni, e voi l’udiste, l’agricoltura onoravano ed esercitavano
come esercitata ed onorata fu in progresso di tempo da illustri
e famosi sodalizi che sul tipo dell’antico essenico istituto si
modellarono nella Chiesa cristiana, a ritiro, a solitudine, a
contemplazione. E non solo ricorda la storia onorata, e praticata
da essi l’agricoltura, ma ricorda altresì lo studio che gli Esseni
facevan solerte delle virtù e proprietà dei semplici, dei vegetabili
specialmente in quanto potevano offrire di terapeutico, di curativo,
dediti, come veduti li abbiamo, non meno a risanare gli spiriti
che a restaurare nei corpi la perduta salute, siccome la doppia
significazione ce lo avvertiva da bel principio del loro nome di
_Esseni o Essei_, palesemente originato da quel di _Assia_ medico e
terapeuta. Nel quale studio ebbero non so dire se a imitatori o modelli
la setta dei Pitagorici, che non solo della origine si occupò e della
cura dei morbi, ma che lo studio e l’applicazione predilesse dei
semplici e della musica, della prima specialmente, per la epilessia o
morbo sacro, e per i morsi dello scorpione.
 
E che diremo dei Dottori? Se di questi volessi distintamente favellare,
e se troppo la materia non soverchiasse, questo sarebbe il luogo
di riandare quei molti e preziosi esempj che per entro si colgono
alle pagine del Talmud, ove i semplici, i rimedj tratti dal regno
vegetabile, si veggono studiati, celebrati e costantemente messi in
opera dai più antichi Dottori; sarebbe il luogo di fare nell’ordine
botanico ciò che il dottore _Rabbino Levinson_ fece, non ha guari,
rispetto alla zoologia, e dettare una _Botanica talmudica_ siccome
egli scriveva una _Zoologia talmudica_, che ebbe l’onore di essere
letta e pubblicamente laudata dal principe dei naturalisti moderni, dal
venerabile _Alessandro di Humboldt_.
 
Ma coteste sono opere meglio che lezioni, meglio che digressioni,
e noi dobbiamo stimarci felici di costeggiare le rive anziché ai
pericoli avventurarci di lunghe navigazioni.Ci basti che il Talmud,
che i Medrascim ci porgono di questo studio e di queste terapeutiche
applicazioni l’esempio, e sopratutto ci basti che l’uno e l’altra
ci sieno porti dal _Zoar_. Il quale siccome quello che rappresenta
il Cabbalismo e i suoi Dottori, meglio torna all’uopo opportuno per
quella identità dimostrare, che è costante e prediletto argomento
delle nostre lezioni. E che il _Zoar_ ce lo porga, ne son testimoni
quelle frequenti allusioni alla natura, alla proprietà delle piante,
degli alberi in ispecie, e del palmizio segnatamente, del quale si
descrivono le maravigliose proprietà sessuali così esattamente dai
moderni chiarite, e presentite se io non erro, sino dall’antichissimo
_Empedocle_, filosofo greco delle scuole antisocratiche: testimone il
2º vol. a pag. 15, ove si tenta una classificazione dei vegetabili
improntata, non v’ha dubbio, di caratteri mistici, trascendentali,
ma pure senza meno un tentativo di classificazione: testimone il
fatto di cui vi feci non ha guari menzione, in cui di un medico si
favella, di un _Asia_, che un libro possedeva preziosissimo per lo
studio dei semplici, e per la cura dei morbi; e infine, testimone lo
stesso 2º vol. a pag. 20, ove si parla in termini apertissimi della
_distillazione_. Gran che! quando rilessi di recentissimo questa pag.
20, quando intesi a favellare di _distillazione_ non era molto tempo
trascorso dacchè le pagini aveva svolto di un trattato di _Fisica_
elementare, ove con termini più che non era mestieri laconici, si
attribuiva l’origine, l’onore della _distillazione_ agli Arabi,
ai Musulmani. Io dico il vero; quelle parole mi avevano tratto in
errore: aveva creduto che gli Arabi, della distillazione inventori,
fossero gli Arabi del Medio-evo, i conquistatori della Spagna e della
Sicilia, i coetanei di Averroe o di Avicenna. Epperò dissi fra me:
qual occasione, qual festa, qual trovato non sarebb’egli cotesto per
gli anticabbalisti? Come facile il provare la età modernissima del
_Zoar_ che del moderno trovato favella, della _distillazione_? Perciò,
che feci? Usai, perdonate la mia franchezza, usai un’astuzia; ma non
temete; una pia e religiosa astuzia, _pia et religiosa calliditas_,
un’astuzia innocente; scrissi all’illustre amico Professor Luzzatto,
siccome a quello che più splende tra i moderni cospicuo per la guerra
intimata al _Zoar_ e ai Zoariti; e senza favellargli del _Zoar_ e del
suo contenuto gli chiesi semplicemente se nulla poteva dirmi della
origine della distillazione; e se i libri rabbinici più antichi ne
facessero, ch’egli sapesse, menzione alcuna. Mi rispose con quella
sincerità che lo distingue: _della distillazione non ne so nulla_.
Io non aveva nulla guadagnato; e i miei dubbj perseverarono, più che
mai fastidiosi, quando una buona ventura venne a tempo a togliermi
d’imbarazzo. Le indicazioni da me pur lette nel trattato di Fisica
elementare erano incomplete. Non gli _Arabi del Medio-evo_, ma i più
antichi loro predecessori, eran quelli di cui si era voluto favellare,
e questi stessi appreso avevano l’arte del distillare dalle orde
tartariche. Ecco il Zoar tutelato, ed ecco al tempo istesso riprova
degli studj e delle cognizioni comuni tra Esseni e Cabbalisti.
 
Io dissi non ha guari come larga mèsse di cognizioni, d’idee mediche,
potria dai libri talmudici raccòrsi e dalle opere contemporanee, e
come tanta ne sia la copia, che da ogni particolar citazione mi saria
rimaso. Pure egli è un passo tra mille che sarebbe colpa tacere,
perchè più davvicino riguarda i nostri Esseni: che dico? egli è uno di
quei pochissimi in cui a parer mio i Dottori alludono manifestamente
all’Essenato ed ai suoi costumi. E dove è? È nel trattato _Sciabbat_ a
pag. 133, ove parlando di un farmaco composto di _cera_ e _resina_ e
per non so quale malore indicato, si aggiunge che questa indicazione fu
comunicata da _Rabbà_ ai suoi uditori in un pubblico sermone, ma che
(udite, significantissime parole!) a quella indiscreta propalazione,
la scuola di _Beniamino l’Asseo_ die’ segno di dolore e di sdegno
squarciandosi persino le vesti, ch’è quanto dire, come io intendo, che
uno dei farmaci che formavano parte della _Materia medica_ riservata
gelosa dell’Essenato fu propagato, vuoi a pubblico vantaggio, vuoi
per indiscreta osservanza degli Statuti sociali, da Rabba in Mahoza,
e tanto più mi confermo in questa sentenza, in quanto veggo lo stesso
_Raba_ nella stessa _Mahoza_, esporre al pubblico la misteriosa lettura
del nome di Dio, ed esserne ripreso da un _Sabà_, da un Dottore
anonimo, lo che prova e la indole di _Rabà_, e il suo sistema di
propalare i segreti della scuola, e la presenza nell’uno e nell’altro
caso, di persone, di Dottori che protestano contro la divulgazione delle dottrine sociali.

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