2015년 6월 3일 수요일

Storia degli Esseni 41

Storia degli Esseni 41



Ad onta dell’opinione di R. Simone che disse prevarichi e
non muoja_, ch’è quanto dire, per parlare col linguaggio di Epifanio,
ad onta del riformatore degli Esseni _Elhai_ che insegnò fra l’altre
cose ai seguaci dissimulazione nella _Idolatria_.
 
Noi abbiamo compiuta gran parte del nostro assunto; abbiamo trovato
l’origine delle voci accusatrici che corsero nell’antichità contro
l’idolatria degli Esseni; abbiamo trovato l’_Edipo_ della pretesa loro
astrolatria; e della loro antropolatria eziandio, ossia dell’adorazione
degli esseri umani. I quali furono ad un tempo virtù divine e storici
personaggi, ma l’uno e l’altro furono senza mischianza idolatrica,
senza incarnazione alla foggia del Cristianesimo e del Buddismo, ma
in virtù di quel rapporto che insegnarono i Cabbalisti esistere fra
un grand’uomo e una grande idea, fra l’ideale divino e il sensibile
umano, fra le idee eterne che risiedono in Dio e la loro esplicazione
e sviluppo mondiale per opera or di questa or di quella espressione
e veste finita di una idea infinita.E tutte queste cose vedemmo e
vediamo sempre più ridondare al trionfo di quella identità che stimammo
guida sicura e fedele in queste nostre ricerche. Ma Epifanio con una
frase compie il ritratto di _R. S. B. J._ quando dice che _Elhai_
lasciò un libro ai seguaci delle sue profezie, e questo libro, se il
giudizio non erra, non è certo il Zoar tal quale ora si trova, in cui
tanti diversi e posteriori vestigi tu riconosci al grande Teosofo, ma è
certo la prima idea, il primo saggio, il primo nucleo, il primo germe
di essa opera, e sopratutto i pensieri, le dottrine e la distribuzione
fra i discepoli dei vari offici di redazione; è quell’opera per cui
disse il gran maestro nell’ultima grand’assemblea: _Rabbi Abbà scriva,
ed Eleazario mio figlio mediti o detti_; è l’opera da cui potrebbe
uscire ed uscirà la restaurazione e il rinnovellamento dell’Ebraismo.
 
 
 
 
LEZIONE VENTESIMAQUINTA.
 
 
Escluse, spiegate le credenze ingiustamente attribuite agli Esseni,
trovata l’origine degli errori che gli si apposero, noi dobbiamo
procedere all’esame delle loro dottrine, di quelle intorno a cui niun
dubbio sorse a impedirci l’ammissione.Noi cominceremo da quella parte
che riguarda l’uomo, la sua natura, il suo destino, i dogmi tutti
che si attengono all’uomo, ai suoi rapporti con Dio e col Mondo;
da quella parte insomma delle scienze filosofiche che si chiama
Antropologia. La quale formò sempre parte di tutte le religioni,
quando si studiarono sopratutto di conciliare la libertà dell’uomo
e la potenza di Dio, l’arbitrio e la grazia, l’azione di Dio e la
responsabilità dell’uomo.Il quale problema essendo stato subbietto di
una triplice soluzione, così dà origine a tre scuole, a tre sistemi,
a tre modi di concepire i rapporti morali, etici di Dio coll’uomo.
Fu per gli uni la libertà immolata all’azione di Dio; fu dagli altri
ogni influenza negata al divino volere; fu pei terzi l’azione di Dio
e quella dell’uomo in guisa contemperate che la responsabilità intera
rimanesse all’uomo, senza ledere la universalità e pienezza dell’azione
divina. Ora queste tre soluzioni che si verificano in ogni età, in ogni
religione, che ebbero rappresentanti in seno al Cristianesimo, nei
cattolici, nei giansenisti e calvinisti, e nei pelagiani, si verificò,
dice Giuseppe, nel giro delle credenze ebraiche, e furono dalle tre
scuole rappresentate che più illustri sorsero nell’Ebraismo.Proclamava
il Farisato _destino_ ed _arbitrio__grazia_ e _libertà_. Volere di Dio
e volere dell’uomo, quali forze insieme cooperanti all’atto dell’uomo.
Pretesero i Sadducei, autonomo assoluto il libero arbitrio.Vollero per
ultimo gli Esseni, aggiunge Filone, che ogni atto dovesse referirsi al
destino.Qui vediamo cosa che sembra a prima vista osteggiare il nostro
sistema d’identità essenico-cabbalistica. Vediamo gli Esseni procedere
distinti dai Farisei: non basta, li vediamo discordi in una delle
quistioni più capitali che siensi divise le coscienze negli antichi
e odierni tempi, e se dovessimo stare alla scorza delle espressioni
flaviane, ne dovremo concludere non solo la distinzione delle due
scuole, ma la loro ostilità eziandio. Ma quanto ingiustamente! Egli è
certo che bene s’appone Giuseppe quando i Farisei disse conciliatori
e partigiani della grazia e dell’arbitrio. Basta volgere uno sguardo
alle pagine talmudiche per vedervi alternativamente costatata l’azione
reciproca combinata dell’_arbitrio_ e del _volere di Dio_ nelle
azioni dell’uomo, e che parrebbemi opera soverchia in questo lungo
rammemorare. Ma non meno, a veder bene, s’appone Giuseppe quando
gli Esseni dice, tutte le umane azioni riferire al destino.Ma qual
destino? Io non so che cosa abbia inteso così dicendo Giuseppe.Forse
concepì il _destino_ degli Esseni, nel senso volgare, dello stoicismo
contemporaneo e del paganesimo, forse a significare cosa ben diversa
di una cieca fatalità, si valse di un _vocabolo_ che forse il più
acconcio, benchè inadeguato, suonava allora a significare l’essenico
concetto. Checchè ne sia, la formula essenica non potrebbe meglio
consuonare colle dottrine dei Cabbalisti, i quali soli proclamarono
in seno dell’Ebraismo un principio che vano sarebbe cercare nel
Talmud, cercare nei Medrascim, ed in qualunque altro libro estraneo
alla scienza dei Mistici; forse perchè solo armonizzando colle
rimanenti loro dottrine può deporre quel senso immorale e fatalistico
che altrimenti avrebbe immancabilmente. Quando il Zoar, referendosi
a libri e dottrine ad esso anteriori, insegnava: _Tutto dipendere
dal Mazalfosse ancora la Legge di Dio deposta nell’Arca_annunciava
quel principio che meglio consuona col dogma essenico asserito da
Flavio, e tanto più intimi ne svela i rapporti quanto più speciale e
peculiarissimo ai Cabbalisti appartiene.
 
Se questo ne fosse il luogo, non malagevole tornerebbe il mostrare
quanto il Cabbalistico _Mazal_ si dilunghi da quello che comunemente
s’appella _Destino_. E forse non andrebbe errato chi volesse trovare
nell’antico _Fato_ dei Greci alcun che di consimile al _Mazal_
cabbalistico, non essendo, a quel che pare dalle antiche teogonie,
destituito il greco di ogni intelligenza e volontà, e solo in tanto
distinguendosi dalla folla degli Dei, che a differenza di essi siedeva
il Fato in regioni ove le passioni e le lotte umane non giungevano a
disturbarne gli impassibili e sovrani decreti. Quello ch’è certo si
è, che il senso, la etimologia della parola Mazal bene dà a divedere
a chi la intende quanto intimamente si connetta colla Dottrina
dell’Emanazioni, null’altro a mirar bene significando che _influsso_,
_emanazione_, o come dire vogliamo _discorrimento_.
 
Ma noi dobbiamo procedere oltre nell’esame degli essenici dogmi, e
poichè dell’anima umana abbiamo preso in prima a discorrere, dopo avere
stabilito quei rapporti che a Dio la congiungono, al dire degli Esseni,
mestieri è pure che di quei rapporti pur noi si favelli che, secondo
gli Esseni, al suo corpo istesso la congiungevano. E intorno a questo,
Giuseppe e Filone son categorici. Per essi, o per dir meglio per gli
Esseni di cui ci riferiscono le credenze, se l’anima al corpo si unisce
egli è a suo malgrado, egli è, dicono essi, per una certa _invariabile
attrattiva_ che la spinge a subire tutte le vicende della vita terrena
insieme al corpo. Ora chi potrebbe negarlo? Chi potrebbe dire che
non siano queste le idee, e i più ovvj insegnamenti dei Farisei?
Non solo la Misnà, e la più popolare della intera compilazione, ne
intima la verità del principio _al corhah attà nozar_, ma i Rabbini
posteriori prendendo a svilupparne i dettati, siccome è loro stile, e
drammatizzando la troppo austera semplicità del placito minico, dicono
di un Angiolo che invita le anime a rinserrarsi nel femminil chiostro,
nell’atto della concezione; dicono delle repulse, delle resistenze
che l’anima gli oppone, siccome quella ch’è rifuggente dalle turpezze
e infermità della carne; e dicono infine che agli inviti ed alle
esortazioni succede la forza, un vero _compelle intrare_, ma intimato
questa volta dal Dator della vita. E qui sarebbe il luogo, dopo le
mostrate analogie col farisato, di far scendere in campo Platone e
la sua scuola, da cui appunto s’intitola principalmente la discorsa
teoria della unione forzata col corpo; e tra i Dottori e gli Esseni da
una parte e Platone dall’altra, quei rapporti additarne che corrono
forse speciosi e parventi meglio che profondi e reali. Ma di rammentare
Platone un dotto rabbino olandese mi dispensa, l’antico Menascè ben
Israel. Il quale nella dotta e pia sua opera, _Nismat Haïm_, non mancò
di notare, versato qual egli era nelle filosofiche discipline, come
la _Misnà_, come il _Medrass_, quello stesso insegnavano che aveva
insegnato Platone quando dicevano che gli spiriti scendevano riluttanti
a rinserrarsi nel corpo. Il _Menascè ben Israel_ avrebbe potuto
aggiungere anche i Pitagorici, i quali, come avvertiva il Ritter nel
primo volume della _Storia della filosofia_, precorsero a Platone in
questo modo di concepire l’unione dell’anima col corpo. Se non che,
come io dissi non ha guari, l’analogia tra Platone e gli Esseni e
i Farisei è più apparente che reale; e se questo fosse il luogo di
rilevare la distinzione profonda che divide le due Teorie, tanto più
volentieri lo farei quanto più la Teoria platonica ci offre della vita
terrena un concetto punitivo e sinistro, che non entrò giammai nei
pensamenti dei Farisei e tanto meno dei Cabbalisti. Ma di queste cose
ci basti qui lambire soltanto la superficie, dovendoci pel compito
nostro interdire ogni benchè seducente digressione che troppo lungi ci
meni dal subbietto in discorso.
 
Che se questi sono dell’anima i rapporti con Dio e quelli col corpo,
in qual guisa ne compresero gli Esseni la natura e l’essenza?
Distinsero, se bene m’appongo, la sua parte materiale da quella che
dissero il _Noo_, ovvero intelletto. E la parte materiale dissero
essere il sangue.A queste parole chi non ricorda Mosè? Aveva pur egli
stabilito, in termini che più non si potriano formali, l’_anima essere
il sangue_. E non solo Mosè, che della immaterialità delle anime umane
o si tace, o di oscuri accenni si accontenta; ma i Rabbini pur essi,
che questa immaterialità riconobbero, dissero come Mosè l’_anima_,
l’_anima del corpo_, il _principio vitale_, il _pneuma_, come oggi si
direbbe, essere nel sangue; prova se altra fu mai concludente come a
torto si vorrebbe intendere l’espressione mosaica com’escludente la
immaterialità delle anime, dappoichè i Rabbini che a questa formalmente
ossequiarono, non si astennero dall’usare la stessa espressione che
Mosè aveva usato prima di loro. E non solo la riproduzione della frase
mosaica n’esclude la interpretazione materialistica, ma quel senso ce
ne offre più adeguato che i Dottori intesero nell’adoprarlo. Il quale
si connette colla triplice divisione che fecero dell’anima i Dottori,
i Cabbalisti; distinguendone tre gradi o tre parti, la prima che
dissero _vegetativa_, l’altra _sensitiva_, la terza _intellettiva_. E
la prima forse è quella che dissero parte materiale, e posero il suo
seggio nel sangue. Ma non solo sentenziarono del principio di vita
e del suo seggio, ma di questo seggio istesso, ma del sangue ancora
dierono la teoria fisiologica. Il sangue pegli Esseni era composto di
due elementi, di aria e di fuoco. Il quale principio non solo meglio si
comprende al paragone dei sistemi medici agli Esseni contemporanei, ma
se io troppo non oso, un senso tuttavia potrebbe avere anco nei sistemi
dei giorni nostri. La storia della antica medicina, specialmente quella
dottissima di _Giusto Hecker_ professore berlinese, ricorda sistemi
pressochè agli Esseni contemporanei, che ammettevano nelle arterie
circolante una specie di pneuma o spirito vitale, rispondendo con
singolar disinvoltura a coloro che obbiettavano l’esperienza la quale
mostra l’arteria ferita mandare sangue. Chi volesse poi in linguaggio
moderno tradurre l’essenica dottrina, la combinazione di aria e di
fuoco, potrebbe pensare alla _combustione_ ed all’_ematosi_, ambidue
effetto della respirazione, la prima palesantesi nella emissione del
_carbonio_, la seconda consistente nella ossigenazione, ch’è quanto
dire nell’introduzione dell’ossigeno nella massa sanguigna.

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