2015년 6월 3일 수요일

Storia degli Esseni 42

Storia degli Esseni 42


Ma gli Esseni, noi lo abbiamo veduto, riponevano in un principio
diverso la causa, l’origine del pensiero. Questo principio immateriale
è chiamato da Filone il _Noo_ e talvolta _Pneuma_ o _spirito divino_,
ed in mancanza di ragguagli più diretti della essenica nomenclatura
dobbiamo contentarci delle indicazioni di Filone, che può avere, come
dicemmo altravolta, rivestito di forme greche l’ebraico pensiero,
ma che lo mantenne, così è lecito credere, immune di sensibile
alterazione. Però non è sì che questa fedeltà _filoniana_ qualche
volta non si smentisca, e che obbedendo forse alla necessità in cui
era di far comprendere ed accettare dal mondo pagano le dottrine
dell’ebraismo, non si valga talvolta di espressioni un po’ equivoche,
testimone quando parla della natura dell’anima, quando dice le anime
umane della stessa natura essere degli angioli; anzi quando null’altra
differenza addita tra le une e gli altri, se non la discesa ed il
soggiorno nel mondo dei corpi.Per Filone può l’anima discendere
ed abitare nei corpi una sol volta, può altre fiate ripetutamente
vestire la forma carnale, può infine restare in eterno immune da ogni
coabitazione e commercio coi corpi.E in quest’ultimo caso, dice
Filone, ei sono gli angioli, anzi e’ sono i genii di cui parlano i
filosofi.Se Filone intese parlare con filosofico rigore, egli ha
torto nel senso dell’ebraismo. Il quale tanto profondamente distinse
la natura dell’angelo da quella dell’uomo, che niuna più famosa
disputazione narrano gli annali dell’ebraismo di quella che a proposito
s’impegnava della preminenza dell’una e dell’altra. Nella quale i nomi
più famigerati figurano non solo del Talmud e dei Medrascim, ma dei più
celebri posteriori Dottori eziandio, quali furono, a mo’ d’esempio,
_Rabbenu Saadia_, _Abenesra_, ed una schiera illustre di dottori
cabbalisti. Ma quanto ad un tempo fedele e felice interprete ai Pagani
non si mostra Filone delle antiche dottrine degli avi suoi, quando
parla del soggiorno delle anime!Udito avevano i Pagani i lor filosofi
insegnare, avere le anime dei trapassati per abituale loro soggiorno
l’atmosfera, o come allor si diceva l’aria intermedia; e basta leggere
il Ritter e i cenni ivi contenuti sulle scuole antisocratiche, per
vedere quanto comune fosse tra gli antichi questo pensiero sulla sede
degli spiriti. Or bene che credete che faccia _Filone_? Egli traduce
nel linguaggio del paganesimo ciò che aveva letto nella Bibbia, non
già delle anime de’ giusti ma di quelle dei riprovati, ciò che disse
_Abigaille_ accennando alle sorti eterne dei nemici di David, i quali
dic’ella: _Andranno balestrati in qua e in là, come pietra nella
balestra_, ciò che gli era giunto da Palestina qual eco della mitologia
rabbinica, che ripone nell’aria intermedia gli spiriti che vi nuotano,
dice il Talmud, in numero infinito; e per toccare di alcun che di più
serio, ciò che aveva imparato nelle dottrine essenico-cabbalistiche,
avere le anime residenza nella _sefirà_ che si chiama _Jesod_, e che
per colmo di maraviglia, reca in quelle dottrine il nome di _Rakia_,
di atmosfera, alla quale, dicono essi, alluse Mosè quando parlò _degli
uccelli che volano per l’aria_ pei quali intesero le anime che hanno
sede e radice nell’atmosfera divina cioè nel _Jesod_, come Dante
chiamò l’angelo, nella Commedia, _divino uccello_. E siccome tutte
queste cose aveva udito e imparato Filone, così quando scrivendo per
i Pagani volle dire del seggio delle anime, dir volle in guisa che la
terminologia convenzionale restasse intatta, che udito avea dai maestri
di religione, in guisa che rispondesse alle idee che d’abantico avevano
i Pagani addottato forse per un’equivocata interpretazione dell’antica
simbologia patriarcale, e disse, come udito avete poco anzi, aver le
anime seggio nell’atmosfera. Ma se i dotti intendevano per _rakia_,
atmosfera, tutt’altro che l’aria che ne circonda, se intendevano
la _matrice_, il _repositorio_ delle anime umane, anzi l’_anima
universale_, il _Paramatma_ degli Indiani, la _Psiche_ di Platone, non
è sì che il popolo non intendesse della vera e propria aria che ne
circonda, non è sì che gli stessi cabbalisti segnatamente l’_Aari_
non dicesse di vedere le ascensioni e le discese degli spiriti umani
nell’aere circostante, non è in somma che Filone non fosse interprete
fedele, ancorchè alla lettera interpretato, delle credenze almeno
popolari degli avi nostri.Però eran tra i due popoli, tralle due
mitologie una differenza essenziale. Pei Pagani era l’aere seggio delle
anime indistintamente, fossero esse buone o ree uscite da questa vita.
Pei nostri, per l’_Aari_, per i cabbalisti, egli è seggio soltanto
di quegli spiriti che la sorte balestra errabondi e incerti negli
spazzi infiniti, indegni del cielo per che non l’han meritato, indegni
ancora dell’inferno e de’ demonj che vi soggiornano per che _troppa
onoranza avrian d’elli_. Io vorrei che tutto comprendeste il poetico
magistero dei teologi nostri ed insieme la profondità filosofica che
vi si acchiude: prova, se pur altra ne occorresse, che la poesia non è
che una filosofia potenziale e implicata, come la vera filosofia non è
che poesia esplicita ed attuale, ed altra differenza non correndo tra
esse se non quella che corre fra il pensiero intuitivo e il pensiero
riflesso.Chi non vedesse di questi pensieri e teorie cabbalistiche
che la corteccia, chi non risalisse ai principj che dominano tutta la
scienza, altro non si vedrebbe che vaghe sì e piacevoli finzioni in cui
il cielo, l’aria e l’inferno sono designati qual triplice seggio delle
anime beate, sospese, e di quelle penanti: ma per poco che si risalga
ai principj, qual metamorfosi! Fra i quali, principio capitalissimo
per l’ordine morale cosmologico, provvidenziale, egli è quello che
ogni cosa terrena dice _copia_, _ombra_, _riflesso_ di una idea che
vive eterna e sta nella mente divina, principio che ammette anteriore
e superiore a questo mondo dei corpi, in Dio, cioè nell’assoluto,
nell’infinito, un mondo ideale che è la parola interna di Dio, il
_Logos endiatetos_ di Filone, il piano architettonico, il prototipo
celeste, il disegno infinito anzi la verace realità, l’essere verace di
cui le esistenze corporee non sono che ombre che si proiettano dalla
mente di Dio, che figure che passano come le ombre degli astri che si
proiettano nell’ecclisse come le vesti di cui parla il Salmista, che i
rami estremi del grand’albero della creazione il quale ha le sue radici
nell’intelletto divino nell’eterno esemplare, vero _Olam abbà_, vero
_paradiso_, vera _beatitudine_. Ora, se rispetto al nostro pianeta,
tre si distinguono principalissime regioni; se vi ha la regione
celeste dimora degli astri; se vi ha l’aria intermedia, l’atmosfera
che tramezza tra il cielo e la terra; se vi ha, come è provato in
_Geologia_, un fuoco centrale, un centro incandescente che è il centro
terreno perpetuamente in fusione, e se, ricordatelo bene, il mondo
fisico è esemplato sul modello divino; se tutto ciò ch’esiste quaggiù
ed ogni forma e relazione delle esistenze tra loro, ed ogni stato
terreno risponde a uno stato celestiale supremo che lo ha generato,
come l’originale crea la copia; se è vero che non è che il pensiero di
Dio estrinsecato, come il pensiero di Dio non è che la creazione stessa
mentalizzata; se è vero che la internità del Cosmo è l’idea di Dio,
come la esternità dell’idea è il Cosmo, è la creazione; chi non vede la
efficacia, la verità del simbolo, quando tolsero a significare lo stato
dei Beati, il cielo o la regione suprema, lo stato dei sospesi, l’aria
intermedia, e quello dei riprovati l’inferno, o come suona il vocabolo
stesso, le regioni _infere_ ultime, fisicamente incandescenti, del
nostro pianeta? Egli è questo uno dei simboli che dovrebbe piuttosto,
secondo Gioberti, nomarsi _Tecmirio_, dappoichè fra il simbolo e
la cosa simboleggiata non corre solo una relazione e similitudine
arbitraria e puramente fantastica, ma una relazione intima, logica,
soprasensibile, appunto come la relazione ch’esiste fra l’originale e
il ritratto.
 
Noi abbiamo gran parte esaurito di ciò che concerne la psicologia
degli Esseni, le credenze intorno l’anima umana, i suoi rapporti con
Dio, quelli che ha col corpo che veste quaggiù, la sua essenza, la
divisione delle sue forze, e infine il suo soggiorno. Io vorrei potere
porre compimento a questa parte della Dogmatica degli Esseni, se non
che l’ora breve mi fa protrarre ad altro giorno lo studio di altri due
punti non meno interessanti, la _metempsicosi_ e la _resurrezione_,
secondo gli Esseni. I nuovi studj non faranno che confermare l’antico
nostro sistema d’identità _essenico-cabbalistica_. Noi udiremo, come
abbiamo udito sinora, l’eco lontana delle dottrine cabbalistiche
ripercuotersi a traverso dei secoli, e giungere sino a noi che eravamo
sinora assuefatti al silenzio di quelle dottrine nei primi secoli
dell’E. V. Quel sistema che pareva non esistere in quell’antichità,
si mostrerà per organo degli Esseni non solo esistente, ma vivente e
parlante, e tanto più andremo persuasi col _Frank_, con il _Munk_, col
_Ritter_, coi dotti veramente nella questione imparziali, quanto antico
sia quel sistema teologico nel nostro popolo.
 
 
 
 
LEZIONE VENTESIMASESTA.
 
 
Prendendo noi a trattare della Dogmatica Essenica, e di questa avendo
anzitratto discorso di quella parte che si attiene alla Psicologia
ossia alle dottrine sull’anima, noi abbiamo, se ben vi ricorda, due
punti riservati alla odierna trattazione, e sono la _metempsicosi_,
vale a dire la trasmigrazione delle anime, e la _risurrezione dei
corpi_, quali furono intese e credute dalla società degli Esseni.
Io oso dire che se altro punto di contatto non fosse tra Cabbalisti
ed Esseni che la credenza alla metempsicosi, se questo solo ci
rimanesse documento dell’illustre sodalizio, egli sarebbe già un
gran passo compiuto in questa via d’identità essenico-cabbalistica,
in cui ci siamo impegnati. E pure nulla di più provato per ciò che
riguarda gli Esseni. I quali ossequiarono, al dir di Filone, al dogma
anzidetto quando discorrendo della sorte divina che incogliere può
agli spiriti immortali, parte dissero, lasciare la vita terrena per
mai più ritornarvi, parte iteratamente vestire queste carni mortali,
secondo una legge providenziale diversamente dispone. Io farei opera
interminabile se qui dovessi il solo novero ricordare dei popoli
illustri antichi e moderni, di sistemi filosofici, di teorie eziandio
socialistiche che al dogma inchinarono della metempsicosi, e comecchè
opera non vana, ma utilissima e profonda sarebbe questa, ciononostante
rimarrommene per brevità, sì perchè mestieri è pure che entro i limiti
di una storica esposizione mi circoscriva, sì perchè è tale questo
delicatissimo argomento, intorno a cui ogni ragione ne comanda riserva.
Ma io non posso da due cenni astenermi che troppo degni mi sembrano
invero di ricordanza. È il primo quella bella conferma che dalla
descrizione di Filone emerge, pel concetto che degli Esseni offriva
ai suoi lettori _Flavio Giuseppe_ quando li diceva simili, affini ai
_Pitagorici_. Giuseppe, che io mi sappia, non dice esplicito ciò che
disse _Filone_; non assevera formalmente la metempsicosi presso gli
Esseni, ma dice solo essere costoro i _Pitagorici_ dell’ebraismo, come
i Farisei ne dice gli _Stoici_, e come i Sadducei seguaci egli dice
di _Epicuro_. Ma quanto è il suo dire eloquente! Poichè il nome solo
dei Pitagorici fa fede, se io non erro, a bastanza della presenza
della _metempsicosi_ in seno agli Esseni, non essendo dogma a parer
mio per cui siano andati più distinti e famosi i Pitagorici, di
quello appunto della trasmigrazione delle anime. E se alcuno di ciò
dubitasse, ogni dubbio svanirebbe, ne son certo, dopo la lettura del
_Ritter_. Il quale è il solo, se io non sbaglio, fra gli storici della
filosofia che più proceda meticoloso, e secondo me, spesso ingiusto
per troppa esigenza nella critica dei testi, nella scelta dei fonti,
quasi interamente esautorando di ogni critico valore gli scrittori
tutti che per poco furono posteriori agli immediati successori di
Socrate; i quali pure sono, come ognun sa, le più ricche e preziose
miniere di storici ragguagli intorno le più antiche scuole eziandio
antisocratiche, qual fu per esempio quella appunto italo-greca che
si disse dei Pitagorici. E pure al _Ritter_ non bastò l’animo negare
l’esistenza del dogma della metempsicosi fra i Pitagorici; tanto
sembrava a lui stesso caratteristico della scuola, e tanto altresì
a _fortiori_ sembrar doveva al nostro Giuseppe che questo special
distintivo della scuola aveva, senza meno, presente quando diceva ai
suoi lettori pagani essere i nostri _Esseni_, i nostri _Cabbalisti_
i _Pitagorici_ dell’ebraismo. L’altro punto che voglio toccare di
volo, riguarda più davvicino il dogma in se stesso, ed a cose ed a
uomini si riferisce a noi coetanei. Io non uscirò riguardo al dogma
dalla riserva che mi sono imposto: ma chi potrebbe al tutto trattenere
le parole quando il più imponente e vasto pensiero che capir possa
nella mente dell’uomo si vede ad una critica soggiacere frivola,
superficiale e buona appena per una finzione da romanzo? Ciò che non
posso tacere è lo strano spettacolo che mi si offerse non ha guari nel
_Journal des Débats_. In Parigi, nel secolo decimonono, nel grande
trambusto e commovimento di religioni, di filosofia, di sistemi d’ogni
maniera, si udì una voce che sorse a rivendicare l’antico dogma della
metempsicosi, e questa voce fu del _Martin_, nell’opera che chiamava
_Cielo e Terra_. Ma il _Martin_ doveva subire pena condegna al grave
fallo. Nella terza pagina del _Débats_ ove si fanno le _apoteosi_ e gli
_autodafè_ delle opere nuove, un filosofo, uno dei guerrieri riservati
per le grandi occasioni, doveva fare del _Martin_ e della opera sua
adeguata vendetta. Io vorrei potervi qui proporre le obiezioni colle
quali si pretese schiacciare l’opera del Martin, e giacchè le mille
voci del giornalismo recarono dovunque l’eco ripetuto della disputa
insorta, io non so chi ci tenga di mescere a quelle infinite voci
anco la nostra. Ma io nol farò, solo per non protrarne all’infinito
l’opera assunta. Questo solo dirò, che ciò che tornavami a vedere
più doloroso si è il nome che sottostava a quel lavoro di critica
filosofica. Io ebbi parecchie volte occasione di nominare il _Franck_,
e con quale stima e venerazione per me si facesse, ditelo voi che ne foste le mille volte i testimoni.

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