2015년 6월 3일 수요일

Storia degli Esseni 43

Storia degli Esseni 43



Io credo e crederò sempre l’opera
del Frank sulla _Kabbale_ ottimo servigio reso alla scienza e alle
credenze ebraiche, e Dio volesse che l’illustre Luzzatto e consorti,
anziché occuparsi a denigrarla, mirassero a compirla, a perfezionarla.
Ma se gli antichi dissero _sed magis amica veritas_, io non posso
questa volta trovare nè bello nè serio l’officio dal signor Frank
adempito. Non bello, perchè male s’addice allo storico e apologista
dei Cabbalisti, al discendente degli Esseni, stendere l’atto d’accusa
della metempsicosi; non serio, perocchè non è difficile trionfalmente
replicare alle obiezioni ivi stesso suscitate dal Sig. Frank. Le
quali, parte consistono nelle antiche e più comuni confutazioni del
dogma, parte nuove ma tutt’altro che inoppugnabili. Ma questo ed altro
simile abbiamo detto trapassare in silenzio, ed al proposito nostro ci
atterremo. Solo piacemi ora toccare del secondo dogma in questione: è
il dogma della _Risurrezione_. Per non avere trovato esplicitamente
insegnata l’esistenza di questo dogma presso gli Esseni, alcuni moderni
critici specialmente imbevuti del genio ipercritico dell’Allemagna
lasciarono libero il freno al loro congetturare a _priori_, e dalle
idee che formavansi gli Esseni dei rapporti primigeni dell’anima col
corpo, crederono poter dedurre la negazione del dogma resurrezionale
in seno agli Esseni. Vi ha in Parigi un giornale letterario che si è
tolto l’assunto d’informare la Francia dotta, religiosa, letteraria dei
grandi lavori che giornalmente s’imprendono, si compiono nella vicina
Germania, che per ciò appunto si noma _Rivista Germanica_ e che per ciò
appunto dovrebbe ricercarsi e possedersi dovunque, che per mancanza di
rapporti più immediati, non è concesso attingere direttamente alle vive
e abbondanti fonti della scienza ed erudizione germanica. Or bene; nel
nono numero di quest’anno istesso 1858, trovai inserito un articolo
di sommo interesse per le nostre ricerche, e che all’autore Michel
Nicolas, professore di Teologia in Montauban, piacque d’intitolare _Gli
antecedenti del Cristianesimo_. In un articolo che si chiama _degli
antecedenti del Cristianesimo_, il nome degli Esseni non poteva non
figurare in luogo eminentissimo, come difatto vi figura; e molte delle
questioni da noi lambite, vi sono profondamente e maestrevolmente
trattate. Ma sia vaghezza di fare meno che è possibile tributario il
Cristianesimo della società degli Esseni; sia non avere compreso le
strettissime affinità tra gli Esseni ed i Farisei; sia la mania di
argomentare per vie insolite e non battute trasandando i raziocinii
più ovvii e più alla mano, fatto sta che secondo Michel Nicolas gli
Esseni non conobbero o negarono il dogma risurrezionale. E perché così
giudica il Nicolas? Perchè egli crede incompatibile il principio della
unione forzata col corpo, col ritorno dell’anime a vivificare i corpi
una volta abbandonati, perchè egli crede il distacco da tutte le cose
corporee essere stato il perpetuo conato, e la perfezione ideale che
l’Essenato si proponeva senza pensare che le tendenze anticorporee
dell’anima a sè stessa lasciata, non montano nulla nè agli ordini
universali della Provvidenza di Dio, la quale può volere la seconda
e ultima volta come volle la prima, quell’unione che non si compiva
nè compirassi che a malgrado dell’anima; senza pensare che il dogma
risurrezionale implica per sè stesso la rigenerazione, e per dirla
tecnicamente la _Palingenesi_ dell’Universo, e quindi il ritorno alla
purità primigenia di quella carne che non è, secondo l’Ebraismo, rea
per sè stessa ma che tal divenne per un principio a lei esteriore;
e quindi per ultimo corollario che l’antipatia o antagonismo fra
lo spirito e la materia potrà e dovrà cessare allora, quando la
primigenia armonia sarà ridonata, della quale furono preludii e quasi
presentimenti Mosè sul monte e soprattutto Elia, Elia che s’incielò
vestendo tuttavia carne mortale, per lo cui insigne privilegio io credo
che presegga alla culla dell’uomo come angiolo della creazione, ed alla
sua tomba come angiolo della resurrezione, quasi perpetuo iniziatore
e ierofante della vita mortale, identico al greco Mercurio, all’Erme
egiziano, al Sireo o Cane Celeste, guida e conduttore delle anime. E,
mirabile a dirsi, i Cabbalisti dierono il _cane_ per simbolo ad Elia
e nel nome suo trovarono aritmeticamente il nome _Cheleb_, ambedue
sommando egualmente _cinquantadue_, e prima di essi i Talmudisti
muovendo evidentemente dagli stessi principj dissero le grida gioiose
e gli scherzi dei cani annunziare Elia che entra in città. Ma io mi
sento trascinare senz’addarmene punto, da digressioni certo nè inutili
nè volgari, ma che troppo il libero corso arresterebbero dei nostri
studj. Noi dicevamo come a torto negasse agli Esseni il Nicolas il
dogma di risurrezione. E fortunatamente non siam soli a così opinare.
Il Nicolas stesso s’incarica d’informarcelo. _Telle n’est pas_,
egli dice, _l’opinion de M. Hegenfield, qui dans un ouvrage récent_
(e che si chiama l’_Apocalittica ebraica_) _attribue aux Esséniens
la composition des Apocalypses Juives, ou du moins les range parmi
les Juifs qui s’occupèrent le plus des idées apocalyptiques_. Ora
le apocalissi, le idee apocalittiche importando per lor natura il
supposto di un ciclo apocalittico, di un cielo palingenesiaco, ossia di
rigenerazione cosmica, universale, egli è chiaro come gli autori delle
apocalissi non potevano disconoscere un dogma che tanto davvicino si
attiene alle loro teorie, anzi che n’è parte inseparabile, che vediamo
immancabilmente figurare in tutte le superstiti apocalissi, vuoi spurie
o legittime, quali sono, a mo’ di esempio, il libro di Daniel e
l’apocalissi o rivelazione di Giovanni. Ma contro l’opinione ricordata,
e ch’è la nostra, potrebbe alcuno argomentare; potrebbe dirsi: Filone
e Giuseppe sono i soli o almeno i principali storici dell’Essenato.
Ora Giuseppe e Filone quando favellano degli Esseni non parlano della
Risurrezione, non l’annoverano tra le loro credenze, non ne fanno parte
del sistema lor teologico, con qual diritto attribuirgliele, e come la
lacuna colmare di nostro arbitrio? Ma quanto labile quest’obiezione! Se
io volessi, per sovrabbondanza di prova, far tesoro di argomenti, di
repliche vittoriose, sareste voi piuttosto stanchi d’udire, che non io
di favellare. Potrei citare l’autorità del medesimo Nicolas quando, in
altro punto del suo lavoro mi porge egli stesso le armi onde al nulla
ridurre la forza della sua negazione, quando misurando il grado di
contezza che dell’illustre istituto possedevano Giuseppe e Filone, dice
del primo: «_Joseph, qui avait passé un an dans la société, n’avait
pas franchi le premier degré de Noviciat, et ne connaissait pas par
conséquent le fond de ses doctrines_;» e del secondo aggiunge non men
categorico: «_et Filon, comme Neander le fait remarquer, les présente
non tels qu’ils étaient en réalité, mais tels qu’il lui convenait
qu’elles fussent pour que les Grecs éclairés vissent dans les Esséniens
des modèles de sagesse pratique_.» Il Nicolas dice assai, dice anche
troppo secondo me, nè io accetterei in tutta la sua estensione il suo
asserto se non colle più delicate restrizioni e riserve. Ma finalmente
che valore dopo queste parole può avere il silenzio di Giuseppe, di
Filone quando tacciono della Risurrezione, perchè veramente di silenzio
si tratta anziché di esplicita e formal negazione? E quante cause non
possono avere questo silenzio cagionato, anche allora che gli Esseni
avessero ossequiato, come hanno a parer mio veramente ossequiato, al
principio di Risurrezione. Può esserci stata ignoranza in Giuseppe
e Filone, come il Nicolas istesso ci autorizza a supporlo, comecchè
poco invero io inclinerei ad ammetterla trattandosi specialmente di
dogma popolare ed esoterico anziché di insegnamento acroamatico.Può
essere stato studio, desio sincero di non urtare violentemente i
pregiudizj pagani ai quali nulla più tornava assurdo e mostruoso ad
udirsi che il risorgimento dei morti a vita eterna, testimone il riso,
lo scandalo che suscitarono nel mondo pagano le prime predicazioni
del Cristianesimo, quando annunziarono Cristo risorto dai morti, e
primogenito, come gli Apostoli dissero, del Regno futuro, e se non
temessi di riuscire troppo diffuso, non mi sarebbe difficile recare
in mezzo prove ed esempj di silenzii discreti, di opportune varianti,
di calcolate infedeltà, concesse, ammesse, usate in grazia appunto
dell’opinion dominante di cui, per non dire di altri, fu cospicuo e
manifesto esempio, ed è tuttavia, la traduzione dei Settanta.Ma le
cose anzidette, che molto han pur di probabile, del verosimile, debbono
cedere il luogo al provato ed al vero, alla ragione che io credo solo
storica, solo reale, che può essere stata coadiuvata sì dalle altre
citate, ma che sarebbe egualmente vera, decisiva, perentoria, quando
pure fosse sola. Ed è questa che Giuseppe principalmente ed anche
Filone, quando parlano degli Esseni, quando dei Sadducei, Farisei ed
altre sètte dell’Ebraismo, solo quelle cose ricordano che distinguono
la setta in discorso, dal comune dell’Ebraismo, solo quella parte
pongono in luce della sua fisonomia, che discorda dalle generali
fattezze dell’Ebraismo; quello in somma che hanno di speciale, di
esclusivo. E poi, chi volesse con un sol fatto spogliare di ogni
valore il silenzio di Giuseppe e Filone, chi volesse sin dalle barbe
sradicare la negata resurrezione degli Esseni, basterebbe citare
i Farisei, ai quali non è nessuno che negar possa il dogma della
risurrezione, tanto vanno colmi i loro libri di espliciti insegnamenti
di questo dogma. E pure, guardate Giuseppe. Egli parla a lungo dei
Farisei, come parla degli Esseni, dei Sadducei; ne narra i costumi,
le credenze, le somiglianze colle scuole analoghe del Paganesimo, ma
nè un sol cenno nè un sol motto avviene che dalla penna gli sfugge
intorno il dogma in discorso. Per certo questo silenzio non è a caso,
sia che tacere abbia voluto ai Pagani un dogma che destato avrebbe il
riso e lo scherno dei loro filosofi, sia, come dissi poc’anzi, che di
quelle cose soltanto abbia preso a favellare che eran subbietto di
controversia, tacendo delle altre generalmente consentite; sia infine
ambedue le ragioni anzidette, fatto è che il silenzio di Giuseppe
nulla prova riguardo ai Farisei, e nulla egualmente conclude rapporto
agli Esseni, i quali come tutti gli Ebrei, e forse più di tutti gli
Ebrei, diedero, come fecero i _Cabbalisti_, luogo eminente al dogma
resurrezionale. Che se a tutte le ragioni finora discorse aggiungete
il silenzio del Talmud, che nel mentre narra le dispute dai Dottori
sostenute contro i settarj d’ogni maniera in favore di questo dogma,
non è mai che tra essi faccia menzione dei nostri Esseni; se aggiungete
il dogma della metempsicosi che, per chi bene lo intende, suppone qual
ultimo suo corollario la immanente ultima e definitiva unione delle due
nature; se pensate a certi fatti e credenze generali dell’Ebraismo che
gli Esseni non potevano ricusare sendo esse il fondo e il patrimonio
comune dell’Ebraismo, e che menano difilati, per poco che vogliamo
essere logici, al dogma in discorso; se pensate, a mo’ di esempio, ad
Adamo, creato in principio immortale, a Henoh di cui si tace, anzi si
nega fino a un certo segno la morte, ad Elia rapito in corpo ed anima,
nella vita celeste, ai singoli fatti dalla Bibbia narrati, di uomini
da morte a vita risuscitati, a Mosè che disse: _Ani amit va-ahaié_,
ad Anna che cantò: _Morid sceol vaiaal_, che cala nel sepolcro e ne
riscuote i caduti, a Isaia che poetò: _Ihiù meteha_ ec. a Ezechiele che
profetò: _Inneni poteah et Kibrotehem_, per non dire di Daniel, che
una critica troppo ardita potrebbe dire sconosciuto o non ammesso dai
nostri Esseni, e che è il profeta della risurrezione per eccellenza. Se
pensate a tutti i fatti e alle credenze narrate, chiaro vedrete come
troppo precipitosa sentenza abbia proferito il Nicolas, quando volle
la Risurrezione ignota, negata dall’Essenato e come per esso e per chi
opina con lui potrebbe dirsi con Petrarca:
 
Ben fa chiunque impara sino al fine.
 
 
 
 
LEZIONE VENTESIMASETTIMA.
 
 
Se degli Esseni abbiamo studiato sinora ciò ch’insegnarono, rapporto
all’anima, alla sua natura, ai suoi destini, parmi questo luogo
conveniente di studiare altresì ciò che insegnarono delle straordinarie
manifestazioni delle facoltà psicologiche nelle predizioni, nelle
profezie di cui andarono gli Esseni celebri per il mondo. Giacchè narra
la storia parecchi e famosissimi casi, in cui gli Esseni annunziarono
da lungi un avvenire, che non mancò giammai, dice Giuseppe, di
avverarsi.Si avverò, dice Flavio nel decimoterzo delle _Antichità_,
quando _Giuda_, Essena di nazione, per esprimermi com’esso s’esprime,
predisse la morte d’Ircano nella torre di Stratone; e tanto superlativo
si formava concetto del medesimo _Giuda_, che non teme Flavio di
aggiungere, per valermi della traduzione francese di Arnauld d’Andelby:
_que ses prédictions ne manquaient jamais de se trouver véritables_.Si
avverò, oltre altri casi moltissimi narrati da Flavio, in quello
veramente memorabile d’Erode il Grande, quando un Essena per nome
_Menahem_ che menava, dice Flavio, una vita sì virtuosa che lodato era
da ognuno e che aveva da Dio ricevuto il dono di profezia, vedendo
Erode ancor fanciullo studiare insieme coi bambini dell’età sua, gli
disse che avrebbe un giorno regnato sopra gli Ebrei. Quando Erode
inalzato al trono si vide al colmo della prosperità, ricordossi di
Menachem e delle sue predizioni, e chiamatolo presso di sè, trattò da
quind’innanzi con segnalato favore tutti gli Esseni. Sono queste parole
pressochè testuali di Flavio Giuseppe, nelle quali misi uno studio
particolare di fedeltà onde le conseguenze storiche dottrinali che ne
dedurremo, sieno sopra basi fondate, solide, incrollabili.Questi fatti
provano, non è dubbio, come gli Esseni s’occupassero di predizioni;
e qual credito insigne godessero tra i lor coetanei eziandio più
illustri, di veridici vaticinatori delle cose avvenire. Ma l’ultimo
dei fatti narrati, l’episodio dello inalzamento di Erode al trono di
Giuda, prova inoltre due cose; prova quanto ingiustamente sia stato
sinora creduto tacersi affatto gli antichi Dottori della società
degli Esseni, dacchè, singolare a dirsi, al fatto or’ora discorso
si allude manifestamente nel Talmud, come fra poco vedremo. E prova
poi altra cosa. Prova quella identità che non ho cessato un istante di proclamare tra gli Esseni ed il Farisato, non altro essendo i primi, a parer mio, che la parte eletta ed i teologi della scuola.

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