2015년 6월 1일 월요일

Storia degli Esseni 7

Storia degli Esseni 7


Aveva io ragione quando diceva, il concetto che suggerì l’appellazione
di Esseni, profonde, vaste gettare le radici nei Profeti e nei
Rabbini, nella Bibbia e nella tradizione? Io credo, e non è troppo
presumere, che queste prove da sè basterebbero. E pure non sono le
sole; vi sono analogie, vi sono concetti, vi sono appellazioni non
dissimili nell’istesso paganesimo. Che dire della Biblioteca Egiziana?
Domandatene ad Orapollo e poi a Bossuet, che la narrazione ne riferiva.
Essi attestano concordi, come le Biblioteche si chiamassero in Egitto
con nome che in quella lingua suonava medicina dell’anima. Domandatene
Diodoro Siciliano. Egli parlando del sepolcro di Osimandia, vi dirà
che tra gli appartamenti di quel palazzo era una sacra Biblioteca alla
quale queste parole soprastavano incise: _Medicina dell’anima_. E per
ultimo, le buone ragioni si guadagnarono i buoni autori;la buona causa
trovò buoni avvocati che la difendessero. S. Epifanio, che conobbe il
vero, e amore del nuovo trasse fuori del cammin dritto; il sig. Munk,
che nella _Palestina_ alla interpretazione nostra fa ossequio; il
_Salvador_, che esplicitamente vi assente nella grandiosa sua opera
_J. C. et sa doctrine_, ed altri molti che sarebbe lungo annoverare;
tutti intesero egualmente nel vocabolo di _Esseni_ quel concetto di
sublime, di superlativa _Terapeutica_, che noi v’intendemmo; tutti
vi prestarono ferma e ragionevol credenza: _a guisa del ver primo
che l’uom crede_. Ella è, infine, una deposizione il cui valore non
sarebbe possibile dissimularsi. Non è da ora che non possiamo insistere
sulla identità originaria degli Esseni coi Cabalisti. Sull’autorità
di scrittori gravissimi, ci permettiamo aggiungere quanto verrà più a
lungo trattato nel corso di questa istoria, ponendone i titoli in una
luce che non si potrebbe più sfolgorante. Intanto non è fra gli ultimi
indizii che a questa identità ci conducono, il fatto per più d’un verso
eloquentissimo, che nel Zoar il nome di _Assia_ vien conferito a un
dottore Cabbalista; e ciò che è più, nel senso che qui si accenna,
di medico spirituale, di Risanatore delle anime. E tanto si legge in
quell’opera a proposito di R. Samlai (_Zohar, vol. III, 75, 2._)
 
 
 
 
LEZIONE QUINTA.
 
 
L’origine degli Esseni doveva essere, voi lo sapete, subbietto delle
nostre ricerche, quando il nome fosse stato da noi rintracciato
che il nostro istituto contraddistinse. Questo nome, o Signori, la
derivazione di questo nome fu da noi recata a quella evidenza che si
poteva maggiore. Qual’è ora il compito nostro? Io già vel diceva.
Ella è la origine, la origine storica dell’Essenato, l’epoca della
sua formazione, le cause che precedettero al suo nascimento, il luogo
d’onde prima trasse i natali. Era la prima disquisizione, più ch’altro,
gramaticale. È la presente, ricerca storica, e ricerca gravissima.
 
Noi abbiamo di fronte, non amici da abbracciare, ma nemici da
combattere. Noi avremo il paradosso, il pregiudizio, la mala fede da
superare, pria di poter penetrare nei vestiboli di verità. Quali sono
questi pregiudizj? Eglino sono così svariati di forme, come sono eguali
in bruttura. Egli è, in primo luogo, il pregiudizio _Pagano_; che è
quanto dire l’origine pagana gratificata allo istituto più ebraico che
abbia mai esistito. Chi lo avrebbe pensato? Chi avrebbe detto che di
origine _pagana_ dovesse supporsi lo _Essenato_? E pure nulla di più
vero, di più dimostrato. Egli è il _Buhl_, il celebre storico della
Filosofia, che ne fa fede. Grazie al cielo, non è il Buhl che noi
dobbiamo combattere. Non è egli l’autore di paradosso siffatto; ma
egli lo ha registrato, gli ha dato luogo nella sua istoria; e se la
memoria non erra, non l’ha, come pure avrebbe dovuto, sotto il peso
schiacciato della sua autorità. Quale è la causa di tale aberrazione?
Su quai fondamenti, su quai pretesti riposa la pagana derivazione? Io
credo che non sia difficile indovinarlo. Voi vedrete quando del culto
ragioneremo, e delle adorazioni degli Esseni, come fuggito non abbiano
costoro ai morsi della più svergognata calunnia. Voi li vedrete, sopra
basi inconsistenti accusati, processati e per peccato condannati
d’_Idolatria_; li vedrete posti al bando del Giudaismo, e le note
contender loro e le prerogative di Monoteisti e di Ebrei. Li vedrete,
in una parola, accusati di prestare idolatrico omaggio al _Sole
nascente_. Noi vedremo allora di che sappia l’accusa inconsiderata;
noi rivendicheremo la bontà, la purità della loro credenza. Ma che
cosa si esigeva di più per porre gli intemerati Esseni in mala voce,
per additarli al mondo quali idolatri, e la fama accreditare tra i
contemporanei, tra i posteri, di una origine viziosa, di una origine
pagana? Voi vedete le basi vacillanti dell’accusa. Avrò io mestieri
di spendere parole soverchie a giustificarli? Dovrò io ricordare le
atroci calunnie onde furon bersaglio le israelitiche credenze, siccome
allora vi accennai, che del culto Samaritano tenevamo parola? Dovrò
dirvi dell’adorazione del firmamento che non pochi tra i Poeti Latini
favoleggiarono dei nostri proavi; del teschio che, al dire di essi,
nel recesso si adorava del Tempio di Dio, del famoso Asino che il gran
Tacito non dubitava di erigere a sommo obbietto del nostro culto?
 
Or, che miracolo se gli Esseni pur essi del grande onore parteciparono
di subire le accuse pagane, e se nell’accusa furono involti pur essi
del popolo nostro, essi che del popol nostro la più eletta parte
formavano e la più santa?
 
Ma un altro, credo, e non lieve pretesto, potè l’adito schiudere
alla imputazione mostruosa; voglio dire, o miei giovani, di un passo
di Flavio concernente gli Esseni, che tratto a peggior sentenza
ch’egli non dice, commentato dall’ignoranza e dalla malizia, potè
per un istante autorizzare la insensata imputazione. E quale è il
passo di Flavio? Egli è quello ove, parlando della essenica scuola,
e precisamente nel lib. XII delle Antichità, quella definisce come
una setta di _Giudei Pitagorici_. Il nome di Pitagorici non fu invano
pronunziato. Egli avrà sedotte le menti superficiali, egli avrà fatto
vedere ciò che Giuseppe non vi ha posto giammai, ch’è quanto dire
l’origine pagana. E pure, quant’era facile comprendere Giuseppe senza
costituirlo reo di tanta enormità! Che voleva dire Giuseppe? Egli
voleva far comprendere ai suoi lettori, ch’è quanto dire al mondo
pagano, ai Romani, ai Greci, a tutti quelli che degli Ebrei nulla
sapevano che non fosse dalla passione travisato, che cosa fosse quel
bellissimo istituto di cui egli, il grande istorico, si professava il
ferventissimo ammiratore. Egli lo dice un Istituto Pitagorico foggiato
all’ebraica. Egli lo dice un Pitagorismo israelitico, un Pitagorismo
ortodosso, siccome Filone fu detto _Platone filonizzante_, siccome
Porfirio chiamò lo stesso Platone un _Moisè atticizzante_.
 
Aveva egli ragione così giudicandolo, è ella esatta la sentenza
di Flavio? Noi in seguito lo vedremo. Ma quanto non dobbiamo noi
l’ignoranza ammirare, ammirare la mala fede di chi le parole di
Giuseppe innocentissime torse a così rea sentenza?
 
Noi non saremo i detrattori degli Esseni. Non saremo nemmeno i
loro adulatori. Non diremo neppure come da taluno fu detto, che
Pitagora essendosi recato, come ognun sa, in Oriente, colà cogli
Esseni s’incontrasse, che ne adottasse i principj, che l’Italico
sodalizio erigesse poi sul modello di quel di Solima. Questo fu
detto, e caldamente propugnato dai Frati Carmelitani, i quali vedendo
nell’Essenato l’origine del loro ordine, vollero fare altresì di
Pitagora un copista dei loro supposti antenati, e Carmelitano pur esso
coi _tria vota substantialia: obbedienza, povertà e castità_.[19]
Novelle son queste da muovere a riso, nè più seria meritano veramente
nè più lunga disamina.
 
Potremo dire lo stesso di altra origine che l’ingegno moderno pegli
Esseni fantasticava? Io credo che più profonda cotesta si esiga e
più protratta disquisizione. Il nome, il tempo, la fama dell’autore
vogliono che noi alcune parole ci spendiamo d’intorno. Qual’è il nome?
Il nome non potrebbe essere nè più famoso nè più interessante, e
(aggiungo volentieri) nè più specchiato nè più caro al popol nostro.
Egli è il _Salvador_, che primo tra gli Israeliti francesi dei tempi
nostri, salì sulla breccia, e tutto il fuoco sostenne il primo
delle falangi avversarie. Il tempo fu quello dei grandi religiosi
dibattimenti della Francia moderna. L’opera è quella che più fama destò
di sè in Europa, e soprattutto in Allemagna, ove precorse, ove augurò
la terribilissima scrittura dello Strauss.
 
Or bene, nella _Vita di Gesù e la sua Dottrina_, il nostro _Salvador_
dal proprio têma? condotto, scende a parlar degli Esseni. Egli chiede
a sè stesso degli Esseni l’origine; e qual ne segue risposta? Certo
non tale quale per noi si vorrebbe. Egli chiede del tempo, ed il tempo
egli lo vede, durante la invasione Siriaca, quando i successori di
Alessandro osteggiarono aspramente il popolo nostro, e sotto Antioco in
ispecie. «_Son origine la plus probable_, dice il Salvador, _remonte
à l’époque de l’invasion des Syriens._» Quali le cause che allora lo
istituto creavano? Non sono cause propriamente, dice il Salvador, ma
piuttosto _fortuito concorso di circostanze_. «_È una turba_, sono sue
parole, _è una turba di famiglie che rovinate dalla guerra, desolate
dalla continua violazione dei luoghi sacri, e degli atti alla credenza
loro oltraggiosi, ai quali venivano costretti; vanno in cerca di un
asilo nelle regioni alpestri della Giudea._» Quale è l’origine del loro
culto? Eccolo qual ei ce lo narra. «_È l’impossibilità di compiere
in quelle solitudini, riti e sacrifizj, o, come dire si voglia, il
culto esterno, ella è cosifatta impossibilità che l’animo rivolse
ad un’altra specie di culto, ad un culto più interno, alla continua
elevazione dello spirito, mercè la pratica della giustizia e gli
offici di carità._»D’onde poi, secondo il Salvador, quella singolare
comunanza di beni, che fu peculiare distintivo dell’Essenato? Quali le
cause che la produssero? Furono, ad udirlo, «_l’incertezza della vita,
minacciata mai sempre dalla spada nemica, fu la necessità di provvedere
di sostentare tanti vecchi, tante donne, tanti fanciulli_.»Ecco le
cause, conclude trionfalmente il Salvador, che ispirarono loro la
comunanza dei beni, che la stabilirono allora e poi in seno agli
Esseni, e ch’egli dice nel suo idioma «_ne tarda pas à devenir une
règle principale de leur institut_.»Noi abbiamo parlato del Salvador,
come d’uomo si conviene della sua tempra, del suo ingegno. Noi gli
abbiamo tributato elogi non ipocriti, non servili e non avari. Ma noi
abbiamo perciò stesso la libertà pienamente acquistata di sindacare
la bontà, la ragionevolezza delle sue dottrine. Mi duole il dirlo, il
Salvador ha soggiaciuto al genio predominante del suo paese, del suo
tempo, e più assai al genio dei suoi vicini Tedeschi. Egli sente, come
essi, alto profondo orrore di tutto quello che per poco trascende le
età più moderne della istoria; egli è uno di quelli che i tempi, gli
uomini, gli istituti più antichi modernizzarono; egli è uno dei grandi
atleti che stringendo a così dire tra poderose ritorte le statue, i
monumenti, che sorsero all’aurora dei secoli, si sforzano e sudano e si
affaticano a tirarli a tempi a noi più vicini; egli è uno di quelli che
fanno vedovi i primi secoli dei fatti più illustri, degli uomini più
venerandi; che fanno, nell’ordine della cronologia, ciò che le moderne
nazioni civili fanno in ordine allo spazio, togliendo obelischi,
sfingi, sarcofagi e d’ogni maniera anticaglie, a quei paesi ove l’arte
li generava, e decoro illustre ne fanno di musei, di biblioteche, di
capitali. Egli è di quelli che fanno il vuoto nelle origini, e gli uomini e i fatti condensano, accalcano in angustissimo spazio di tempo, con quanta sapienza e ragione, non so.

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