2015년 6월 1일 월요일

Storia degli Esseni 8

Storia degli Esseni 8


Fuori dei tempi antichi, ogni romanzo è buono a costoro. Anzi, la
storia sol perchè è antica, è romanzo, e il romanzo solo perchè è
moderno, è la istoria.Io ho detto romanzo, e lo mantengo. La teoria
del Salvador, con sua buona pace, non è che romanzo. E se vi aggrada
come me osservarlo, vedetelo immantinente. Io potrei appuntare per
primo il Salvador, non di plagio, chè la di lui probità letteraria me
lo contende, ma di aver disdetto, voglio credere involontariamente,
l’onor del trovato a chi si appartiene. Potrebbe dire una critica
meticulosa, che male non avrebbe fatto il Salvador a narrarci chi
fu il primo a porre innanzi la ipotesi menzionata; a dirci, che fu
il _Drusio_ colui che primo gliene offriva l’idea; che fu esso che
andando in cerca, siccome noi dell’origine degli Esseni, insegnava come
questa si dovesse riporre ai tempi d’_Ircano Asmoneo_, quando la parte
perseguitata si ricovrò nei deserti, e colà di buon’ora s’assuefece ad
un tenore di vita durissimo, nel quale dipoi perseverò volentieri. Il
sistema del Drusio non è quello, ben io m’avveggo, del nostro Salvador,
il quale differisce siccome udite in ordine al tempo, e risale ad
un’epoca non di poco anteriore a quella dal Drusio seguita. Ma
finalmente, che cosa non hanno di comune i due sistemi, ove si eccettui
la differenza notata? Io ardisco dire che hanno tutto in comune, e
che bene avrebbe fatto il Salvador a dividere con chi di ragione la
responsabilità del sistema. Egli però nol fece, nè io insisterò di
soverchio. È egli almeno probabile, è egli almeno accettabile il
sistema dal Salvador propugnato? Io gli chieggo del culto essenico la
origine, ed egli l’impossibilità mi addita dei sacrifizj e del culto
esteriore; al quale ei dice, un culto più elevato si sostituì _in
ispirito e verità_.Di buona fede è egli questo raziocinare per filo
e per segno? Che cosa suppone il ragionamento Salvadoriano? Suppone,
se io non erro, che nè sacrifizj nè culto esteriore appo gli Esseni
esistesse. Che se così non fosse, che cosa suonerebbe questa sognata
sostituzione? Io dico dunque che lo suppone.Ma che dice la Istoria,
alla quale ogni reverenza si dee ed ogni ossequio? Conferma ella la
ipotesi del Salvador, ed una setta negli Esseni ci raffigura quale
egli ce la dipinge, destituita di culto esteriore e di sacrifizio?
Nulla affatto. La storia parla alto, parla solenne contro la teoria
irriflessiva del Salvador, ed un amore ed uno studio ci offre presso
gli Esseni del culto esterno, da disgradarne ogni più raffinata e
squisita pietà. Ma che volete? Il Salvador pecca per troppa bontà.
Egli ama gli Esseni, egli li stima, nè confine egli pone alle lodi
che al bello Istituto profonde nel suo libro: epperò gli dà troppo
del suo, epperò di quelle vesti li abbiglia che più talentano al
suo genio filosofico, al suo gusto, al suo favorito sistema. Epperò
li va profumando con quegli unguenti razionalistici che ponno farli
accogliere, festeggiare nei dotti consessi. Rimane però a sapersi se
del presente generoso gli Esseni si chiameranno contenti.Io proseguo e
chieggo al Salvador: d’onde, secondo voi, la comunità degli averi? Che
cosa risponde il Salvador?Dalla incertezza della vita, dalla necessità
di provvedere a tanti vecchi, a tante donne, a tanti fanciulli.Eppure
il mondo non l’aveva finora capita così. Si credeva finora che nulla
vi fosse di più egoista della _necessità_, nè di più avaro della
_miseria_. Si credeva finora che l’abnegazione, la generosità, e
soprattutto il rinunciamento assoluto di ogni bene, non albergassero
precisamente colà, ove la fame manda i suoi orribili latrati, e dove la
prepotente mano del bisogno, stringe i cuori ad ogni senso di pietà, e
non occorre dire d’abnegazione. Benedetti razionalisti! Quanti miracoli
non sanno fare! Eglino ti cavano un effetto dal suo opposto con quella
disinvoltura con cui Mosè trasse dalla rupe le acque. Ma eglino, i
razionalisti, ci hanno insegnato a dubitar dei miracoli, e questo basti
perché i loro miracoli eziandio da noi si rifiutino.
 
Ma su.Io voglio menar buone al Salvador tutte le anzidette repugnanze.
Voglio dire che il culto esterno tra gli Esseni non vi fosse, e che
dalla brutta fame sia uscito fuora il più sublime prodigio di carità.
Ma il nodo gordiano non è qui. Sapete invece dov’è? È nel passaggio da
questo stato temporario, provvisorio, forzato, ad uno stato durevole,
ad uno stato definitivo, ad uno stato volontario. Mi spiegherò
ancor più. Bisogna che ci dica il Salvador in qual guisa, per quale
sconosciuta ragione, una condizione così miserevole, così eccezionale,
così a malincuore subìta dai poveri emigrati, si tramutò, ad un colpo
di magica verga, in un’associazione regolare, stabile, religiosa, dotta
e venerabile, come fu quella che veggiam negli Esseni. Se questo il
Salvador non ci narra, se egli non ci svela il transito miracoloso,
sapete che cosa io crederò? Io crederò che non appena rimossi gli
ostacoli, non appena gli impedimenti sgombrati, non appena restituita
la pace e la libertà, non appena le vie si dischiusero del ritorno
ai poveri fuoriusciti, che ognuno riedendo pacificamente a casa sua,
avrà ripreso il godimento degli antichi diritti; e l’esercizio delle
prische faccende. Ecco che cosa credo, ecco quello che suggerisce il
più comunale buon senso. Per trasformare un’orda di fuorusciti in un
istituto ammirando quale fu l’Essenato, ci vuol altro che parole!
Ci vuol ragioni! E che cosa ci dà in compenso il Salvador? In qual
guisa si districa egli dagli intricatissimi lacci?Ecco, come: Quello
stato, egli dice, era provvisorio, era precario, ve lo confesso. Udite
pellegrinità di trovato. Ma, egli aggiunge in sua favella: «_Mais ne
tarda pas a devenir une des règles principales de leur institut._»
Volete più? Se più esigete, sareste davvero indiscreti. Quel _ne tarda
pas_, ch’è l’anima del concetto, è fatto proprio per contentare anco
gli ingegni più schizzinosi. Egli è proprio un miracolo; ma un miracolo
di coreografia, non dialettico procedimento. Questo si chiama in Parigi
_glisser sur les questions_. Ma io dico piuttosto, che fa scivolare,
che fa sdrucciolare gli inesperti, e che il minor pericolo che può
incoglierci, sia quello di nulla imparare.
 
Noi abbiamo, se ben mi appongo, abbastanza crollato il sistema del
Salvador. Or bene, lo credereste? Egli è ancor più fragile di quel
che credete, e quando pure potesse avere le superiori sembianze del
colosso di Nabucco, certo che i piedi, che le basi di creta non
mancheriano. Tali le prove, tali i fatti sono che vi addurrò, che il
sistema del Salvador riporrete certo tra gli onorati defunti. Non
lo credete?Ebbene, o miei giovani, togliete in mano il libro del
Salvador, e la citazione osservate alla quale tutto egli affida il
peso del suo sistema, e ditemi che ve ne pare. Non dovrebbe essere,
non è egli vero, una colonna, una piramide, un atlante? Oibò, è
canna, e fragil canna. Qual’è la citazione del Salvador? Egli è un
passo del libro dei Maccabei, ove si narrano i primi effetti della
irruzione Siriaca in Palestina. Come suona quel passo? Dice per
l’appunto così: «_E si ridussero gli sbandati Israeliti ad abitar
nelle caverne ed in ogni luogo ove potessero un asilo trovare......
Allora parecchi tra quelli che cercavano giustizia, trassero al
deserto onde abitarvi._»Qui finisce la citazione Salvadoriana, che
dal 1º e dal 2º Capitolo fu tratta del primo libro dei Maccabei.
Ma noi non sbaglieremo dicendo che il Salvador così facendo, si
affidò più a quanto di proprio avrebbe supplito il lettore, a quanto
avrebbe la immaginazione suggerito in compimento, che a quanto sta
veramente registrato nei Maccabei. Diffatti, a questo punto arrivati
della istoria, allo spettacolo di tanta gente che fermano stanza nel
deserto, dopo le parole in ispecie del Salvador, che cosa vi suggerisce
la fantasia? La fantasia s’impadronisce di questo dato, di questa
emigrazione dalla storia narrata, e vestendola secondo il suo stile
di colori fittizj, ed allargandola ed ampliandola, e preoccupando il
campo dell’avvenire, e parlando ove la storia si tace, già dimostra
in questo pugno di fuorusciti il germe della grande istituzione; già
ve li addita stanziati definitivamente in quelle solitudini; già li
stringe in religiosa consorteria; già dal semplice soggiorno alla
convivenza trapassa, quindi dalla convivenza alla scelta di una vita
comune, da questa all’organamento sociale, al culto, alle dottrine; e
così di grado in grado salendo, ed elemento ad elemento soprapponendo,
fa sorgere quasi per incanto il grande, il bello istituto degli Esseni.
Io non so se mi vorreste più generoso; ma io tutto ammetterei, quanto
può di fantastico offrirci, di gratuito, questa ipotesi, quando almeno
la base istorica, quell’esilissimo storico addentellato, che pur or
ricordammo, rimanesse saldo, inconcusso, rimanesse in piedi. Che
sarebbe però, dilettissimi, se pur esso svanisse; che sarebbe se il
gigantesco edifizio tutto vedessimo sull’arena fondato; che sarebbe se
tutte le nostre immaginarie scoperte andassero miseramente in frantumi,
come le fantastiche supputazioni di colui che sopra pochi miseri
vetrami la fortuna sua fondava?Certo che bene avremmo di maraviglia
argomento, come un ingegno svegliato, probo, erudito come il Salvador,
si lasciasse tanto aggirare dall’orror dall’antico, tanto dagli spiriti
razionalistici, sino a disconoscere la inanità del sistema proposto.
Quale è di questo sistema la base; quel _quid_ senza di che sarebbe
a _zero_ ridotto; quel polline, quell’embrione d’onde si vuol tutto
l’Essenato prodotto? Egli è senza meno, e voi lo sapete, quel nucleo
d’Israeliti i quali dalla Macedone spada incalzati si ridussero
raminghi per lo deserto. Or bene. Mi spiace per voi, mi spiace per il
Salvador, mi spiace per quei poveri Israeliti. Il preteso embrione non
giunge alla prima fase di gestazione. Il polline muore sullo stelo per
effetto di una brinata. Senza figura, quel pugno d’Israeliti su cui
si fondava così alto e immenso edifizio, non scorsero pochi giorni
che raggiunti, circuiti, assaliti, ed infine distrutti dai Macedoni
persecutori, spariscono miseramente dalla superficie della terra.
Dove son iti i germi dell’Essenato, dove sono i primi rudimenti, dove
i portentosi sviluppi? Se ne desiate novelle, chiedete piuttosto ai
generali Siriaci, che vi mostreranno in risposta la spada tinta di
sangue. Chiedetene, se ne volete più mite responso, alla storia stessa
dei Maccabei, allo stesso 2º Capitolo citato dal Salvador, ai versi
stessi che quasi immediatamente conseguitano a quelli dal Salvador
indicati; e queste parole vi leggerete, che pur esser dovrebbero suggel
ch’ogni uomo sganni:
 
«_Coloro dunque_ (cioè i soldati Siriaci) _gli assalirono con
battaglia in giorno di sabato, sì che morirono, essi e le loro mogli, e
i lor figliuoli e i lor bestiami, fino a mille anime umane._»
 
Avete inteso?Non uno rimase vivo; non uno da cui potesse sorger per
miracolo l’Istituto degli Esseni; non uno di coloro che furono, secondo
il Salvador, semenzajo del grande Istituto. L’esito, la catastrofe
sarebbe veramente comica, sarebbe ridicola, se tetra e lagrimevole
troppo non fosse.
 
Giunti a questo punto, in presenza a questa terribile e sanguinosa
confutazione, che cosa più dovremo aggiungere? Certo che noi potremmo
dire al Salvador, che pria della origine supposta, pria che di questa
emigrazione si narri nel libro dei Maccabei, già di una valorosissima
consorteria ivi stesso è menzione, che si noma dei _Hassidim_, e
che tutti i segni reca manifestissimi dell’Essenato, onde cerchiamo
l’origine. Ma innanzi alle ricordate deposizioni dell’istoria, ogni
argomento vien meno. Egli è per questo che noi abbiamo il fine
raggiunto della nostra via? Debbo dirvi che no. L’argomento che ci
siamo proposti vuole che ancora altre origini consideriamo, altre
opinioni. Non è invano che si prende grave argomento a trattare. Dirò a voi come Dante ai suoi lettori:

댓글 없음: