2015년 8월 7일 금요일

Il passaggio 2

Il passaggio 2


Perchè la mia infanzia non conobbe il terrore non ho mai accolto
quest'idea d'un insidioso male originario? La notte era per me fin
d'allora una immensa pupilla bruna, era la vita che si addensava perchè
i figli e le figlie della terra la fissassero senza paura, infinite
costellazioni di occhi. E se la malvagità non è nelle tenebre, non
può essere neppure nei cuori degli uomini. La bimba ch'io era vedeva
talvolta intorno a sè soffrire, vedeva le cause semplici o strane di
tali sofferenze, col respiro sospeso scrutava le inesplicabili, ma
nulla attribuiva mai ad una volontà cattiva, ad una cosciente volontà.
Rina, piccola che ti chiamavi Rina, non bisogna dimenticare ch'eri
sana, ch'eri bella, che fiorivi senza stento nel tuo piccolo giardino,
arboscello diritto e svelto. Ma dunque in un pantano o nello spacco
d'una dura roccia la mia anima sarebbe cresciuta diversa? Queste
certezze che io ho creduto di afferrare via via che la mia esistenza si
svolgeva, rivelazioni della divinità, potevano restarmi ignote per un
piccolo scarto? C'è un destino individuale anche per le idee, anche per
la fecondazione della verità? Ed io valgo in quanto sono il prodotto di
questo destino, per l'insieme delle mie persuasioni, o per ciò ch'ero
prima ancora che incominciassi a pensare, per le virtù con cui sono
nata, d'intelligenza, d'ardore, di sincerità, di coraggio, di tenacia?
 
Mio padre mi parlava. S'egli fosse stato un altro, se anch'egli fosse
diversamente cresciuto? Poteva possedere quella stessa forma di mente
e non riuscire ad impormela se non avesse ragionato con quella sua
gagliarda passione, se non ci fosse stata tanta fresca spontaneità
in tutte le sue impressioni, e, nel suo carattere, quell'ardimento
sorridente in fondo al quale intuivo qualcosa che posso ora chiamare
stoico. Io ammiravo la sua tempra, come ammiravo la sua alta statura.
Avrebbe potuto, così qual era, significarmi tutto un opposto mondo di
teorie, esaltarmi Iddio o il mistero invece che la volontà o la potenza
dell'uomo, ed io l'avrei ascoltato ugualmente tesa tutta per capire,
per penetrarmi della sua facoltà di fede, e convinta già al timbro e
all'accento della voce, come allo stormir d'un grande albero, come allo
scorrere d'una pura acqua.
 
Ma s'io non avessi mai conosciuto mio padre?
 
O se lo spavento m'avesse agguantata, una sera di quella mia puerizia,
per sempre alterandomi nelle chiare orbite le pupille stellanti?
 
 
Vedere il mondo con altro sguardo....
 
Vederlo con gli occhi di quegli a cui da fanciullo precipitò allato il
fulmine. Grandi occhi verdi come l'Arno che gli ha dato il nome: e s'io
gli dicevo anche solo d'un volo di rondini sul suo fiume a primavera,
egli li stravolgeva tremando come ad un richiamo disperato.
 
E quegli che da bimbo patì tanto freddo, che da bimbo non giocò mai....
L'ho incontrato che aveva già il volto ombrato di fini rughe, e più non
sperava un bene per sè sulla terra. Durante anni l'ho sentito felice.
Posava la notte la sua mano sul mio cuore. Una volta che in sogno gli
parve che quel cuore più non battesse, si destò urlando: «Non è giusto,
non è giusto!».
 
Oh, m'intenda se la mia voce gli giunge! Intenda ch'io sono la piccola
Rina che guarda lui ragazzo, che son le nostre anime fanciulle a
mirarsi stupite, venute da tanto lontano l'una dall'altra.... Si son
strette, con tanto tremore, ma non potevano mutare. E anche adesso,
anche in questo attimo, s'io gli dico che non mai soffrendo per il
suo dolore, l'ho incolpato d'essermi diverso e se penso che non così
è stato di lui, se penso ch'egli ha potuto provar pietà di sè soltanto
invece che d'ambedue, io chino il capo, chino il capo.
 
 
Ugualmente lontana dalla vita e dalla morte?
 
Ho in bocca sapore di terra.
 
Non conto più le sere, guardo la legna che arde, i guizzi fanno
biancheggiare le pieghe della mia veste e muovere l'ombra, sulla
parete, d'un ramo, fiorito dove è già primavera, ramo comprato quasi
con livore, come l'uomo compra un'ora d'ebbrezza, portato quassù tra
le braccia arrossendo, oh fragranza dolce, petali lievi che non voglio
baciare! Ho in bocca sapore di terra.
 
Su l'altra parete so che oscilla il mio profilo. Così lo vide, forse
così soltanto mi ricorda, chi mi disse una notte che quell'immagine
ombrata resterebbe pur sempre la più incantevole mirata dai suoi occhi
nella sua folle vita.
 
Cosa di grazia inserta, cosa riflessa, oscuro contorno, murata anima.
Così mi amava.
 
Lui a cui avevo susurrato: «gioia dagli occhi ridi» quando la prima
volta gli piacqui nella deserta luce.
 
Fuggente il suo riso e pur come questi guizzi aveva vigore d'elemento,
sembianza d'eternità.
 
Come il raso delle acque se il sole tramonta fra nubi mai eguali.
 
 
Soffoco. Simili a nere onde compatte che si gonfiano e ricadono e
risalgono, le visioni della mia mente attorniandomi mi fanno spasimare
di vertigine. Che cos'è questo rullìo, questo rombante respiro d'un
cuore che non è il mio cuore, questo mostruoso ed invisibile stantuffo
che fa andare la nave mentr'io imploro che s'arresti?
 
Sazietà di questa distesa tempestosa, di queste infinite creste di
schiuma uniformi, bavose, abissali!
 
 
Quante altre volte mi rigirai così, come in una gabbia, fra quattro
pareti?
 
Nel mondo, e dove sole e dove nebbia. Nessuna casa è la mia, sebbene
ogni stanza dov'io passi s'impregni per sempre di me.
 
E le fermate di notte sotto le tettoie di ferro, nomi diversi, nord o
sud, uno stesso lontanar di fumi rossastri, uno stesso sgancìo netto di
catene.
 
Le prode dei campi quant'altri inverni? Umide, sotto uno svariar di
nuvole, con querce gialle su un filo d'orizzonte o presso ombrie folte
d'agrumeti. La terra è dappertutto nera, di novembre.
 
 
Accosto i miei polsi alle mie tempie.
 
Mia ragione, sei qui ancora? Sì, domini ancora ogni battito e ogni
rombo, meravigliosa!
 
Questo gesto ch'io fo ogni tanto, d'accostarmi i polsi alle tempie
per assicurarmi che non sono pazza, verrà mai il tempo in cui lo
dimenticherò? Il giorno in cui lo sfacelo avvenisse dietro la mia
fronte io non avrei più questi vorticosi istanti di dubbio. Ma forse
ripeterei ancora senza più saperne il senso questo segno che fin
dall'adolescenza m'appartiene, fin da quando ho veduto la follia
distruggere mia madre.
 
Di là, di là dalla mia ragione, di questa pertinace mia ragione,
mi aspetta forse il mio fantasma. Su una spiaggia abbagliante starà
forse un giorno una che ricorderà agli altri quella ch'io fui, e non
saprà più il suo nome, sognerà e non si sentirà mai sola, sognerà
la testina bionda di suo figlio sotto la sua carezza, sognerà bionde
luci innamorate e bionde ombre di boschi, e forse sorriderà dolce, e
le palme delle mani e le dita si moveranno sopra il suo capo come ali
d'oro.
 
 
Se è vero che quella spiaggia m'attende in fondo al mio destino, potrò
avvertire il momento che vi verrò sbalzata?
 
Sono ancora, ecco, la bambina che restava la sera tante volte sveglia
tardi nell'ombra, per voler accorgersi dell'istante in cui sarebbe
entrata nel sonno....
 
 
 
 
_LA LETTERA._
 
 
C'è una strada, fra tante che ho percorse, aperte al mio coraggio,
ch'io non ho cercate, che ho visto d'improvviso, una strada fra tutte
tracciata perch'io imparassi che cosa vuol dire camminare. Camminare,
andare innanzi avendo lasciato tutto dietro a sè, quanto di più
amaro ma anche quanto di più caro e nessuno vi attende e nessuno
vi difende. La strada sale, ha svolte, intorno è deserto ondulato, in
basso una città grande appare e scompare. Io avevo venticinque anni.
Staccata da tutta la mia esistenza anteriore, il destino nuovo m'era
ignoto. Il mondo stava forse sciogliendosi da polverulente tele di
ragno, ricreato intero perch'io l'intendessi. Primavera intorno. E il
senso inesprimibile che tutto quanto era stato realtà si trasmutava,
oh lentissimamente, in ricordo, mentre le mie vene pulsavan veloci e
veloce e leggero era il mio passo. Il senso che anche il ricordo si
sarebbe un giorno fatto lieve, sommesso. Come se tutto fosse stato
soltanto incubo, cupa fantasia. Ed io l'avrei, con la stessa fatale
volontà del vento che feconda il fiore, riassunto in un libro, appunto
come una fremente imaginazione, avrei compiuto il tremendo sforzo
d'interpretare a guisa di sogno il lungo male e il lungo pianto....
 
Oh figlio, ma da quel sogno oscuro tu eri pur uscito, viva cosa di
carne, figlio, passione profonda del mio sangue....
 
Perchè ti hanno tolto a me?
 
Eri mio, eri insieme con l'anima mia la sola cosa viva di quella mia
tetra giovinezza; t'avevo cresciuto come crescevo me stessa, non per
quei giorni, ma per altri che dovevan venire.... Figlio, e ho potuto
portare in salvo fuor dell'incubo l'anima mia e non te, non te! Non
hanno voluto, per quanto ti chiedessi urlando.... Sei rimasto lontano.
Lontano. Rimasto per sempre il bimbo che aveva già quasi sette anni.
Ho provato, creatura, ho provato a sentirti diverso, a pensare come
potevano essere i tuoi occhi quando avevi otto anni, quando avevi dieci
e dodici anni.... Cercavo d'imaginare la tua statura mese per mese,
e il tuo sorriso e i tuoi capelli.... Ma la tua voce, figlio, non la
potevo sapere. Venivi nel mio sonno, sogno d'un sogno. E nient'altro,
mai più.
 
 
Un secondo destino.
 
 
Strada in salita percorsa infinite volte quella primavera, bianca nel
sole, senza una voce sotto le stelle, ed io camminavo sola, scendevo
alla città, risalivo alla casa presso alla pineta, e con me stessa parlavo per tutta la lunga ora.

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