2015년 8월 7일 금요일

Il passaggio 3

Il passaggio 3


Io sola a rispondermi.
 
Sola con qualcosa di saldo e di erto, ch'io però non sapevo, che
restava senza figurazione, senza alcun pensato rapporto con l'immensità
e la maestà intorno. Andavo. Ardendo di certezza, ardendo di volontà.
Talora sul volto infocato sentivo scorrere lagrime: ma non rallentavo
il passo. Talora la proda verde pareva invitarmi perchè mi gettassi
bocconi singhiozzando: e non cedevo.
 
Primavera remota e santa. La rivivo a tratti nel mio cuore con uno
stupore sempre più profondo, ma non posso prender per mano la giovane
assorta ch'io ero allora, e mostrarla nel suo miracolo.
 
Qual'era la mia nuova vera sorte? Che cosa aspettavo dalla mia
resistenza?
 
Ma non questo mi chiedevo. M'ero sottratta ad un'esistenza vile, m'ero
liberata sanguinante, dopo un combattimento durato per anni dentro di
me. Per me, sì. Per portar salva nel tempo la mia coscienza, sì. Ma già
mi pareva di andar nel mondo come un'innominata: una donna, fra tante
donne: una persona umana nel gran flutto dell'umanità. Avevo voluto
esser io, non per distinguermi ma per sentirmi degna di confondermi nel
tutto: non per credere in me ma per poter credere nella vita.
 
E quel ch'io ora voglio qui scrivere si divincola torvamente, tenta
sfuggirmi....
 
Anima, sii forte. Ci sono cime di ghiaccio lucenti nel sole che i miei
occhi potranno rivedere quando ti sarai purificata.
 
 
Dissi in quel tempo che soltanto ad un interiore comando avevo ubbidito
lasciando la casa dov'ero moglie e madre. Come si va ad un martirio. Ed
era vero. Dissi che nessuno m'incitava all'atto terribile, e che non
per amore d'un altr'uomo m'esponevo così a perdere per sempre la mia
creatura: anche ciò era vero.
 
Ma una cosa fu taciuta, allora e più tardi nel mio libro.
 
Non era per amore d'un altr'uomo ch'io mi liberavo: ma io amavo un
altr'uomo.
 
L'avevo scelto di lontano, in quell'ultimo mio anno della vita
laggiù, a testimonio di ciò che stava sorgendo in me, lucida brama di
un'esistenza libera e sincera, fremente senso di infinite possibilità
per il mio spirito e per il mio sangue, e strazio e strazio e strazio
per ciò che non avevo il coraggio di spezzare. Scelto di lontano,
per lettera, ricordandolo appena quale l'avevo intraveduto in due
o tre incontri, col sorriso costante dei timidi, una grazia un poco
feminea nell'alta figura, e chiari occhi. Poeta, nostalgico di sensi
e di ritmi. M'aveva detto la sua malinconia randagia, l'oscillazione
fra il mondo della sua cultura e quello del suo sentimento, e il già
stanco ripiegarsi dei suoi sogni di gloria. Sapevo d'esser rimasta
per lui un'imagine di gentilezza, un volto di sorella grave soave
nell'indeterminata rimembranza, e avevo vagamente l'idea che attorno
alla mia fronte egli vedesse una corona degli stellanti ed argentati
fiori della sua alpe. Qualcosa di mia madre si commoveva in me
pensandolo, di mia madre romantica e mite nella sua bellezza bianca
al tempo della giovinezza. Ma una sera mi sorpresi ad evocarlo con
un'intensità maggiore: anelante, dalla mia fosca solitudine, vidi
lui esule in riva ad un mare infiammato, esule e solo pur egli, e da
lungi, gli occhi abbacinati, gli tesi le braccia. Ah, non era mia madre
quella sera che parlava nella mia gola! Gli gridai che lo volevo, che
lo volevo mio, che lo volevo amare, lo investii con tutto il multanime
mio desiderio, violenta gridai con lo sguardo abbagliato, ebbra di
me, di quella mia voce che alfine uno avrebbe udita distesa e fonda.
Mi ascoltasse, mi guardasse! Mi toglievo dalla fronte le stelle delle
sue nevi, lo raggiungevo correndo scalza sul rosso lido, in quell'ora
del tramonto, e così volevo mi amasse, nella realtà mia rimasta fino a
quella sera a me stessa celata, così volevo ch'egli mi prendesse....
 
E da lungi era venuta la sua risposta, un sospiro accorato, uno
smarrito stupore per quei mai prima intesi accenti vivi. «Parla ancora,
parla ancora....» ed era come se arrovesciasse il bel viso pallido,
socchiusi gli occhi, spossato come dopo un di quei baci che sembra
debbano rombare eterni nelle vene.
 
C'è un ramo di mandorlo in fiore sul mio tavolino: e il suo profumo di
miele, la più inesprimibile dolcezza che i miei sensi attraverso le
primavere abbiano attinta, e la sua grazia miracolosa dànno forse in
questo momento alla mia memoria luci che nella realtà di quel tempo io
non percepivo.
 
Mi vedo, qual'ero, penetrata di sole, e dimentico che non lo sapevo....
 
Dopo quel primo grido io avevo fatto di quel giovine lontano e quasi
ignoto il mio amante. Un amante qual era necessario in quell'ora
al mio spirito. Sentivo bene ch'egli in realtà era rimasto soltanto
sorpreso, poi che non mi moveva incontro neppur dopo l'appello, intuivo
confusamente ch'egli viveva e piangeva per un'altra donna, per una
che da poco l'aveva lasciato. Eppure, nello stesso modo ch'egli non si
sottraeva alla seduzione della mia voce, e assisteva a quella creazione
di me stessa quasi fantasmagorica nella travolgente sua spontaneità,
io continuavo a parlargli come s'egli fosse mio, come a quegli cui il
destino mi donava....
 
Amore, speranza di miracolo! Potenza in te dormiente, perpetua attesa
del suo risveglio!
 
Amore, a te m'ispiravo, e non alla piccola creatura: all'idea di te,
misteriosamente sorta dal fondo della mia sostanza: amore, guardavo
a te che non conoscevo, e che pur crescevi nell'anima mia come altra
volta mio figlio nel mio grembo: tu mi volevi per servirti, attiva e
pur estatica per servirti e adorarti....
 
Amore, e t'imparai.
 
Imparai a tendere le mani alla brace infocata all'estremo orizzonte.
 
Imparai a desiderare, a rinunziare, a prodigarmi, senza chieder
compenso mai, senza mai ricever dono che valesse il mio.
 
Amore, ma tu mi trovavi bella, io lo sapevo.
 
Tu mi facevi persuasa che ti meritavo.
 
 
Ero mai stata donna, fino allora? No, neppure partorendo, neppure
nutrendo con il mio latte mio figlio ero pervenuta a sentir in me la
ragione della mia esistenza e quella del mondo. Il mio bambino l'avevo
adorato, ma come una parte di me, più arcana, che m'attaccava, sì,
viepiù alla terra, ma ancora interrogando, senza il mio consenso, senza
l'accordo della mia volontà con la volontà della vita: mio figlio non
era frutto d'amore, non era neanche, povero piccolo palpitante cuore
del mio cuore, non era figlio di tutta me, era nato da me prima che
fossi io stessa tutta nata, prima ch'io fossi veramente fiorita.
 
Come una grande rosa al sole la donna s'apriva ora, e il profumo
n'andava lontano.
 
Mettevo nella lettera la mia giornata, ogni sera nella bianca busta
l'essenza mia.
 
La riceveva l'uomo lontano, la respirava.
 
S'io guardo e carezzo un volto amato, la vita si sospende in noi e
intorno a noi. S'io prendo fra le mie braccia colui che amo, e con lui
mi fondo, la vita che clama nel nostro sangue non è già più dell'una
nè dell'altro. Ma s'io parlo, sola a solo, s'io scrivo su un foglio che
soltanto due occhi oltre ai miei leggeranno, veramente io mi trasmetto,
qualcosa di me per sempre passa in te, ch'io non riavrò più mai, che tu
porterai con te nella morte....
 
Amato, sei lontano, tutte le tue ore io non posso che figurarmele,
per la mia sete. Guarda, è il mattino, ed io sono nell'orto, con la
treccia su le spalle, e sembro la sorella di mio figlio, ma negli
occhi la notte non m'ha lasciato che orrore. Pur rido al bambino,
rientro con lui in casa le braccia colme di fiori e di verde, e
nell'ombra silenziosa ci stringiamo, poi io lo faccio leggere sillaba
per sillaba, gli guido le dita a scrivere. Le ore passano, il piccolo
è stanco, va a giocare, io resto sola. La posta non mi porta nulla
di tuo, neppur oggi. Da tanti giorni! Perchè ti amo? Rammento appena
il timbro della tua voce, come l'intesi dietro a me una sera che mi
scorgesti nell'atrio d'un teatro in città e mi salutasti lieto....
Perchè ti amo? Non so il tuo bacio, non ho mai visto in fondo al tuo
sguardo. Nè m'hai detta mai nessuna parola che mi sia penetrata nello
spirito rivelatrice, fecondatrice. Ma, vedi, sei libero, sei giovine,
hai tremato al mio accento: e io ho sentito, appena ho cominciato a
parlarti, ecco, che potevo farti la vita più forte e più grande, e
forse farti felice: ho sentito che c'era in me la potenza di far felice
un uomo. Prima non sapevo questo. Non sapevo che il mio istinto era
di dar felicità, e di amarmi in un essere felice anche per mia virtù.
Quanto gelo, nonostante i miei venti anni e il mio bimbo e la passione
e l'orgoglio per lo sforzo mio e per tutto lo sforzo umano! Non sapevo
che cosa mi mancava: un'anima, dove la mia anima si riflettesse.
Amore, intimo specchio, amore che mi trovi bella! E quando mi scorgi
sei beato. Non sottrarti, non fuggire! La vita comincia adesso, per
te come per me. Ti amo, vedi, per la tua esitazione da vincere, per
la tua stanchezza da guarire, per le tue accorate e vane nostalgie
a cui oppongo il fervore dei miei presentimenti: ti amo per quel tuo
smarrito stupore s'io ti parlo e ti esalto la vita. Amo quel che tu
puoi divenire se credi in me. Hai fede? Sono una piccola donna, remota
e ignota, ma la mia volontà di conoscere e di creare è più vasta e più
intensa della tua. Se tu mi dai la mano, anche così da lontano, la mia
volontà passa in te. Questo brano, se anche null'altro avvenga. Che tu
creda a questo mio cuore come a cosa che arde più del sole, e che tu
sappia, di giorno e di notte, ad ogni istante, che i miei occhi, pur
nel sonno, hanno la visione del tuo sorriso; il tuo sorriso, che forse
non fiorirà mai presso il mio volto; un sorriso fiero, o mio amore....
 
 
Amore, speranza di miracolo! Potenza in te dormiente, perpetua attesa
del tuo risveglio!
 
Gli ulivi al sole son d'argento e fremono e fervono: grandi azzurre
acque si stendono di là dalle rame brunite; e un brivido le sfiora. Il
volto del mondo non è mutato da quando io avevo quindici anni e non
muterà fra mille: raggiante e silenzioso mi guarda più ch'io non lo
guardi; mi guarda, piccola ma sola, viva per poco ma nuova sempre.

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