2015년 8월 7일 금요일

Il passaggio 4

Il passaggio 4


Evocavo per l'amore la bella adolescente ch'ero stata. E improvvisa
la mia necessità fu di dire, per la prima volta, come quella mia
adolescenza era stata uccisa. Sogni di vergine ch'io non ebbi il tempo
di sognare, nubilità che non conobbi, mia violata vita! Doveva venire
l'amore perchè io comprendessi finalmente. Ma senza onta e senza
livore. Nè era per suscitar pietà nell'amato che gli confidavo la
feroce tristizia della sorte subita tant'anni innanzi. Non volevo esser
compianta, quella sorte non m'aveva distrutta, e non m'impediva ora di
denudarmi idealmente, di compiere le vere mie nozze con lo sposo degno
di saper tutti i miei secreti....
 
Lettera nuziale, scritta in una notte di maggio, in una stanza
d'albergo solitaria, e dopo che fu scritta una vertigine m'abbattè la
fronte sulla tavola, sentii uno strano sapore in bocca, e realmente un
rivolo rosso m'uscì dalle labbra, tinse il margine dei fogli.... Sangue
misteriosamente affiorato col getto dell'anima, lettera consacrata....
 
Quando mi rialzai andai alla finestra. Da una linea dolce di colli
inselvati di cipressi l'alba sorgeva, argentea: un fiume scorreva verde
fra tenui veli. Arno! Arno! Il vento mi passava fresco tra le ciglia,
dissipava ogni senso di malore. Ero a Firenze per la prima volta, sola,
per un impreveduto caso. Sarei ripartita la dimane, ansiosa di riveder
mio figlio. Pur dianzi la morte forse m'aveva rasentata, in quella
stanza di locanda, china su un foglio dove, se la morte mi prendeva
seco, occhi estranei avrebbero scoperto, irridendo e profanando, tutto
ciò ch'io ero stata.... Perchè non tremavo?
 
Anima mia, tutte le angosce hai conosciute ma non quella di contendere
paurosamente con la tua ombra, non quella di sentirti impreparata a
divenir ombra.
 
Sei una cosa sola, che tu viva o che tu muoia. Ad ogni istante, se
anche nessun'altra nell'universo ti assista, e nessuna testimonianza ne
resti, sei di te stessa sicura e puoi trapassare in pace. Sicura pur se
deliri o se erri o se affranta giaci al buio. E sai di non recar con te
nel mistero una stilla sola di odio verso la vita.
 
Solitudine silenziosa nell'ora estrema, prova estrema che forse
t'attende, morte che può giungere mentre la vita ti ha chiesto
qualche terribile atto e tu lo compi e nessuno fuor che te stessa può
intenderti....
 
Nessuno mi vede, che sappia assolvermi....
 
Anima, tu sai patire anche questo.
 
Eri sola e muta quando sorgesti dal nulla, e non hai terrore se nel
nulla dovessi rientrare muta e sola. Hai vissuto, sei stata fiamma, lo
sei in quest'attimo che può essere il tuo ultimo e altro non chiedi.
 
 
Ma perchè piansi la sera di quello stesso giorno, mentre andavo sotto
i grandi alberi lungo il fiume, e mi giungeva suono di musica, non so
più se lieta o malinconica, e la folla passava e passava di là da siepi
fiorite di rose?
 
Povero mio petto scosso da singulti silenziosi, ritmo che mi giungeva
col vento, sera che scendeva sulla primavera, pietà immensa, pietà
immensa e desolata, abbandono d'ogni volontaria fierezza, pianto nella
sera sulla mia sperduta miseria, sulla realtà infima del mio solitario
anelito, presentimento intraducibile, sere e sere e sere di primavere
venture, deserte, struggenti, fasciate di brividi!
 
 
E ancor oggi, tanto tempo è che il nostro amore è morto, tanto tempo è
che tu stesso, Felice, sei morto, sei bianca polvere nel tuo cimitero
di montagna, io piango in cuore se penso che non venisti dopo quella
mia confessione crudele a cercarmi.
 
Parve, sì, per un istante, che ti promettessi a me, turbinando nel tuo
spirito ammirazione e fede. Ma poi, subito dopo, tacesti. E per mesi
restai senza più una tua parola. Restai, atterrita dallo sgomento che
in te intuivo, spasimante per la tua impotenza a tradurre in verità di
vita l'imagine che di me t'avevo data, di me, di te e dell'amore.
 
Quel mattino di settembre in cui alfine arrivasti improvviso, e io ti
avvolsi in uno sguardo di cui portasti in te il senso sino all'ultima
tua ora, mi dicesti: «Non t'avevo veduta.... Ora.... son tuo....».
 
Da lontano mi avevi trovata grande, ma bisognava che tu mirassi il mio
acceso volto ed i miei occhi radianti per sentirti avvinto: così è,
così è.
 
«Perdonami» io mormorai, non quel giorno ma più tardi, la prima volta
che ci baciammo, «Perdonami» ripetevo ogni poco, ma tu non sentivi,
ebbro di gioia.
 
Io stessa non sapevo perchè quella parola mi salisse dal profondo.
Forse più che a te chiedevo grazia a me.
 
Anche il tuo viso era chiaro e fiamme erano nei tuoi capelli e bello
per la prima volta trovai l'ardore virile fervente luce d'estate
sembrava vaporare dal tuo giovine e snello corpo mentre godeva
d'abbracciarmi, poi la voluttà distendendo sul tuo sorriso una gravità
mortale fu come se mi donassi la tua vita sul petto ti tenni, ti
contemplai mio oh, caro ti sentii, con dolcezza e con tenerezza
infinite, ma lo scambio perfetto dell'offerta non era avvenuto,
l'estasi perfetta non era scesa su me....
 
Ti finsi la felicità che non provavo, o semplicemente tacqui? O avevo
sul viso il riflesso dell'ebbrezza tua? Forse non mi chiedesti nulla.
Mi ringraziavi sommesso e superbo. Come se io ti avessi dato soltanto
allora la prova del mio amore, soltanto coll'allacciare alle tue le mie
membra.
 
 
Vita, a ciascun velo che la mia mano da te distacca tu resti ancor
avvolta da un altro velo, e i miei occhi nelle grandi orbite sotto
il grande arco della fronte si fanno più e più profondi, tentando
ogni volta di vedere senza lacerarti che cosa tu sei, ogni volta
inutilmente, vita, giorni tutti da patire, veli tutti da sollevare,
mistero che vuoi essere riconosciuto da ogni goccia del mio sangue fin
che le mie vene pulseranno!
 
Egli mi ringraziava. Io gli chiedevo perdono. Eravamo giovani, entrambi
di natura candida, figli dell'alpe, figli del sogno. Esprimevamo
irresistibilmente, ciascuno per sè, la propria nuda verità in quel
mormorio quasi inavvertito fra bacio e bacio. Eravamo fanciulli
candidi.
 
Non si parlò di rifare il destino.
 
C'era sole per i giardini dove camminammo, assorto ciascuno in sè pur
tenendoci per mano, prima di lasciarci.
 
Dolce era la sua mano, dolce il volgersi del suo sguardo azzurro verso
il mio. Era nella bionda luce creato fra le piante e le acque per
accompagnarmi in quella mia ora con mite silenzio.
 
Forse non altro era l'amore.
 
 
Da sola, da sola prendere il timone della mia sorte!
 
Assumere, chiara, grave, tutta la coscienza della mia intima libertà,
inalienabile libertà.
 
Da sola giudicarmi, da sola tendere l'orecchio al comando interno, da
sola ubbidire.
 
 
Anche se l'amore fosse altro, fosse quale l'ho contemplato in me
meraviglioso di virtù, c'è qualcosa ch'esso non attinge, non attingerà
mai, nodo fondo del mio essere, fibre di sogno, fibre segrete, corde di
volontà invisibili fra la mia prima e la mia ultima giornata....
 
 
Ascóltati nella tua sostanza, donna, ch'è tua soltanto: fa' di udire
quel ch'essa per sè richiede, tu sola lo puoi, nessuno varrebbe ad
aiutarti, ascolta, di là d'ogni sentimento e d'ogni idea, oltre il tuo
supplizio e il tuo diritto, oltre anche la tua maternità, dove uguale
statura hanno sacrificio e ribellione, umiltà ed orgoglio, ed uguali
pesano gioia e dolore, la tua legge parla ascóltala.
 
 
Parla tremenda.
 
Tu l'intendi.
 
Ricordati.
 
Ricordati, per tutto il tempo avvenire.
 
E se nella tua ultima giornata, dopo migliaia e migliaia di giornate
inesorabili, tu giacessi esangue in un deserto, invoca la morte se
vuoi, ma ancora ricordati d'aver ascoltata la tua legge nell'ora
lontana, e non rinnegarla chiudendo gli occhi.
 
 
 
 
_LA FEDE._
 
 
Mentali imagini, lampi d'intimi simboli, parole che furono visioni,
squarci d'orizzonti, richiami, richiami, densità di coscienza, violenza
silenziosa onde l'anima è tratta nel tempo lontano, nei luoghi lontani,
tensione della vita verso ciò che fu, verso la verità che è nelle morte
ore vissute, spasimo, vertigine, strazio e voluttà delle fibre bramose
struggendosi di creare!
 
 
Casa solinga presso la pineta, ginestre per gli ondulati declivi verso
Roma, distesa di terreno a ponente coltivata tutta a fiori, campo
iridescente di giacinti, viso roseo di una sorella intento accorato,
biglietti del mio bambino, anche in sogno la scrittura incerta puerile,
la fragile voce che geme: «Mamma, voglio venir da te....».
 
Se il vento qualche mattino mette un poco di fretta alle nuvole, la
donna che passa sotto i pini crede udire il pianto del mare.
 
 
Fra i cespugli del Palatino, presso una piccola statua femminile che
ha il capo mozzato, un pomeriggio io dico piano, tremante e sicura
insieme: «Un'unica norma per vivere vedo ben fissa, la sincerità».
 
Sincerità.
 
E tuttavia....
 
Ma se io parlassi dell'amore che ho provato e che ancora mi resta
per il giovine lontano, non crederebbero tutti ch'io son partita di
laggiù per lui? E sarebbe ingiusto, verso entrambi. Alla vigilia ancora
della mia risoluzione egli mi ripeteva per lettera: «Pensa a quante
donne accettano di vivere nelle tue stesse condizioni, soffrono, si
sacrificano per i figli: pensa a mia madre, umile e grande: sopporta
anche tu, tu che hai inoltre la luce dell'ingegno e il conforto
dell'arte: sii buona, paziente, prudente....».
 
Tutta la responsabilità dell'atto che ho compiuto è mia.

댓글 없음: