2015년 8월 7일 금요일

Il passaggio 5

Il passaggio 5


La primavera trascorre, la ricchezza delle ginestre se ne sta solinga
per i declivi, come la splendente saggezza sotto il cielo. Nessuno
sale a coglierne una grande corona per recarla alta fra le braccia al
proprio rifugio d'ombra.
 
 
Com'era il mondo prima del verbo? E come sarà quando il verbo si
dissolverà di nuovo e tutto verrà compreso, abbracciato senza più
distinzione? Tutte le piante e le acque e le pietre saranno noi,
saranno spirito; Platone e Dante saranno i nostri poemi le nostre
architetture le nostre battaglie, oppur grembi di donne felici, a notte
pago silenzio, estasi.
 
 
Perchè quando m'accompagno a qualche uomo ho questo bisogno di
scioglierne in limpidità l'animo?
 
Nodo di tormento oscuro, sonnambolico tedio insensato è nelle parole
che odo, stanche, e nulla esse m'insegnano. Ma nello sguardo di chi mi
parla, se un poco s'arresta su me, si diffonde lo stupore....
 
Occhi virili, laghi turbati! Neri o turchini o d'oro, turbati s'io li
fisso, pallidi laghi, con i miei sereni!
 
 
Manca a tutti costoro una piccola cosa, ch'è forse il segreto della
mia forza: la semplicità. Così penso. Il valore della vita sfugge loro.
Hanno una blanda o aspra sete d'oblio, non hanno volontà di esistere,
di stringere l'esistenza al petto per comunicarle il proprio ardore.
C'è caldo nei vostri cuori, come nel mio?
 
 
«Rina, mi scrive Felice ho paura.»
 
«Difenditi» io gli rispondo, e il sole per intendermi mentre attraverso
le grandi piazze, e le fontane e le case e i passanti mi formano
intorno alone «abbi l'orgoglio d'amarmi meglio d'ogni altro....».
Ridico a me stessa le parole che gli mando, come per cercarne il senso
più vero.
 
 
Spazi d'oro.
 
 
E un giorno colgo un accento singolare nella voce d'un amico, d'uno
dei pochi che han rispettato, senza giudicare, ciò ch'io ho fatto. M'è
accanto per via, mi guarda mormorando: «Una donna. Una donna libera».
Piccolo di statura, ha nella persona qualcosa di una pianta che stia
svincolandosi da una roccia. Prosegue a parlare, c'è come una timorosa
speranza in questa sua voce: «Chi sa, le nostre strade in quali modi
si svolgeranno». Ripete: «Strano, strano». Come può trascolorar rapido
un viso, come nessun fantastico paese sotto i cieli o sotto i mari!
E che cos'è questa inattesa in me necessità di coraggio? Coraggio per
l'imminenza della sorte, per ciò che non sai, Rina, ma ch'è decretato?
E costui, che così poco ti conosce, afferma che sei libera.
 
Perchè Felice non è qui? Ora che finalmente mi ama! Perchè non mi
possiede maggiormente? Legge egli, che trema, nella propria anima? Che
cosa vi vede, di là d'ogni angoscia?
 
Lo chiamo, lo scrollo: «Dimmi una volta tu la parola sicura, la
sentenza serena. Lo puoi, per questo te lo chiedo. La bilancia deve
pareggiarsi, tu devi restituirmi in un sol tratto la sostanza di
volontà e di fermezza ch'io ti ho dato a poco a poco....».
 
 
Febbre e follia di verità, o mio cuore puro, mio cuore d'aurora!
 
 
Poter cantare la creatura tutta viva, tutta chiara ch'io era!
 
 
Non son più quella, da tanti anni. Ma quella che ero splendeva
come un'immortale. Poter cantarla, bellezza che forse in estremo
mi rilampeggia dinanzi. Sono un'altra, superba di quella che vorrei
cantare come se non avessi mai portato il suo nome. Gli anni m'han
fatta diversamente luminosa, d'una diversa gloria. Voi che m'incontrate
ora e vi meravigliate di trovarmi tuttavia così fervente e così
innocente, amici che vorreste difendermi come una bimba dal cerchio
d'assoluto entro cui brucio pur sempre, uomini e donne che quasi
v'indignate per la mia perpetua credulità di barbara, v'indignate e poi
con pensosa tenerezza m'abbracciate, non sapete, non sapete il tempo
in cui questo mio destino di ardore e di candore si disegnò. Com'io
sentissi e parlassi serena e delirante insieme, sensi e parole discesi
da sfere ignote, tutta un presagio, e senza stupirmi e senza mirarmi,
respirando come freschi venti di mare idee ferme, idee inesorabili,
d'esse sole credendo materiata la vita. La mia fede d'allora! E nulla
mi costava sforzo. Ero un'esistenza, non ancora una resistenza. Non so
dire, non so dire. A certi momenti della storia, a certe apparizioni
di vergini madri, quando la sapienza di millenni si trasmuta entro un
umile presepio, l'andatura lo sguardo l'accento del mondo si fan gravi
e soavi. Ero tutta nuova, tutta pronta. Imaginando mia vicina la morte:
chiara come me: imaginazione che da allora non mi ha mai più lasciata:
sempre di poi ho vissuto, sana in tutte le fibre, pensando non avere
che poche altre stagioni dinanzi: senza terrore. Fiorire, ma in vista
della morte. Bella come ogni cosa che fiorisce in vista della morte.
Avida di riconoscere, in ogni minuto che mi resti, una legge d'ascesa,
un ritmo, e del calore. Vedrò mai più mio figlio? Ma che in un'alta
anima virile, prima ch'io muoia, l'imagine mia s'imprima, nell'anima
di un uomo ch'egli più tardi possa ascoltare come un messaggero di
verità. La vita è grande. Le possibilità di farla sempre più grande
sono infinite. Siamo nati per vincere, per affermare, per l'eroismo,
per il martirio, per l'intimo accordo con il mistero. Crudele, ma
gloriosa offerta: chi la respinge abdica alla propria profonda realtà.
«Dobbiamo divenire quello che siamo.» Questa parola è in me senza
ch'io sappia ch'è già stata pronunziata. Di là dalle apparenze, dove
giungono le nostre capacità di ricerca e di battaglia? A quale forma
generosa ci confronteremo un giorno, che la bianca nebbia nasconde
all'orizzonte? Tentarla, indovinarla, creare qualcosa che ne sia degno.
Temerariamente. A questo serve la libertà. Si rende libero ad ogni
prezzo soltanto chi ha questa febbre, questa follia. Per una libertà
più vera, per muovere incontro al mondo trasfigurato....
 
 
O mio cuore d'aurora!
 
 
Affanno sconosciuto, fra voci d'acque e d'uccelli e di bimbi, un
giorno a Tivoli, tra il fogliame di perla forato su la pianura e sul
lontano lampeggìo di Roma, affanno muto, e stupore frattanto per tutti
i sensi, e nel volto dell'uomo che m'è accanto, ombrato di fini rughe,
un sorriso ansioso per ciò ch'egli vede negli occhi miei, sgomento e
tenerezza indicibili, di cui egli crede e non può penetrare l'essenza,
sorrisi e sguardi seguiti come musiche, poi repentino il silenzio, e
due mani che si tendono, un lungo momento si stringono.
 
 
Lontano il giovine che ho tanto amato soffre. L'amo ancora, l'amo
ancora. Il suo amore è quasi un mio figliolo, un fiore nato dal mio
desiderio di vita e di verità. Ma perchè non ne ho mai parlato a
quest'altro uomo col quale pur da mesi m'accompagno come una piccola
sorella, come una trepida incitatrice alla felicità? Sospetta costui
ciò che realmente io sono? Ho taciuto per timidezza, ho taciuto per
pudore, per un istinto di segreto. Ah, Felice! Il nostro amore mette
attorno a me una magnetica persuasione, a nessun vivente mai ne ho
detto sillaba, basta si senta nella mia dolcezza come si sente nel
miele il fiore e nel fiore il sole. Andrea se n'è lasciato avvolgere,
ignaro, senza nulla formulare neppure a sè stesso.... Andrea, ch'è
nostro maggiore. L'ho creduto sereno. La sua poesia è d'una sensibilità
sotterranea, cupa per avvilienti ricordi, scetticamente bramosa
di fantasie lucide. Gli guardo la persona e il viso che dicono il
tormento di generazioni curve su zolle in paesi di nebbia. Le donne
che l'hanno lusingato, belle rose bionde, non gli han dato nessuna
realtà di gioia. Non saprò mai perchè una notte io l'abbia sognato,
steso a terra piangente, supplicandomi d'amarlo. Pianto insostenibile!
Mi sono svegliata chiamando Felice, Felice dagli occhi di genziana
e dai capelli di fiamma, Felice che ha i miei anni e l'alta gentile
figura che vorrei veder una volta profilata nel cielo su una delle
nostre balze. Ho dunque anche nel sonno la volontà armata per disputare
all'avversità le mie conquiste? Ti voglio salvo. Felice, amo te,
voglio esser cosa tua, darti tutto ciò che posseggo, farti salire più
in alto di tutti, tu, tu. Così poche ore abbiamo avute. E tutte le ha
esaltate la mia lunga passione. Perchè dovremmo affondare? Ah, ch'io
dica finalmente ogni cosa a quell'uomo, ch'io gli mandi la lettera
disperata che mi scrivevi ieri come sotto la minaccia d'una sciagura,
mentre io vivevo l'ora ambigua e magica fra gli ulivi a Tivoli....
Bisogna, bisogna che Andrea sappia ch'io appartengo ad un altro. Se
son colpevole per aver troppo tardato a parlare, mi perdoni. Mi perdoni
se gli ho fatto qualche male, se qualche larva cara alla sua fantasia
sparisce stasera; siamo in tre a soffrire stasera per una stessa
inesplicabile violenza....
 
 
Nella casa presso la pineta, nella grande stanza a ponente, sul letto
dove ha soffocato tanti gridi per il suo dolore di madre, una donna si
abbatte un pomeriggio con un singhiozzo di felicità, tremendo.
 
Ha risposto Andrea:
 
«Ho il petto gonfio d'un orgoglio immenso: non mi son mai sentito amare
così da una persona, contro tutta sè stessa».
 
Orgoglio, strazio, rassegnazione, attesa.
 
«E anch'io vi amo. Ma non moverò un dito per conquistarvi. Voi verrete».
 
Poi, sommesso, ansante:
 
«No, no, sia come voi deciderete. Voi non potete sbagliare. È la prima
volta che mi trovo dinanzi a una donna che è forse più grande di me, e
non ne ho umiliazione, ma un senso di dolcezza infinita. Non vi chiedo
nulla, forse non desidero nulla. Vi guardo agire. Ciò che farete sarà
bello, anche se non risponderà alla vostra vera legge. E sopratutto
lavorate, e non parlate di morte.... Stanotte, bocconi sul pavimento,
l'ho anch'io invocata, io che l'ho vista tante volte insidiarmi.
Ma ora vi prometto che sarò forte. Finchè brillerà alla mia memoria
quell'attimo vissuto a Villa d'Este, sarò pago....».
 
Felicità, cosa divina: come una divinità cosa dura e severa!
 
Come lo splendore del sole, come il silenzio d'un filo d'erba, come una
lontananza oceanica, divina e terribile cosa a sostenere!
 
La donna singhiozza.
 
Non ha un solo istante d'esitazione, di dubbio, d'ombra.
 
È nel cavo d'una mano.
 
 
Sonno ch'io vegliai, giovinezza che contemplai assopirsi lene sul mio
petto dopo una notte di spasimo supremo, creatura, fra le mie braccia
dormiente creatura dell'anima mia, giovinezza del mondo respirante
soave nel sonno dopo esser stata sfolgorata da una luce d'eternità, sonno ch'io vegliai adorando.

댓글 없음: