2015년 8월 7일 금요일

Il passaggio 7

Il passaggio 7


Vespero di settembre, in cui non vissi il mio dolore! Quegli che
s'allontanava disperato e persuaso non fu seguito neppure dal mio
pensiero silenzioso. M'afferrò il gorgo d'un'altra sofferenza, lo
stupore per l'improvviso tormento fosco di colui che fra i guanciali
pareva voler inabissarsi, nascondeva la fronte, mi mostrava soltanto
le spalle e le mani contratte. Morbo fin allora sconosciuto, che
respirai, atroce gelosia del passato, fame di spettri! E rantolava:
«Egli è bello, devi averlo amato più di me....». Ah uomo, uomo! Venivo
da un limbo dove i moti irriflessi dell'istinto m'avevan per tanta
parte della mia giovinezza colmata di disgusto; ora credendomi balzata
nella sfera dei viventi, nel dominio d'un dei pochi che sanno o cercan
di sapere perchè son nati, volevo giustificare anche ciò che più
ingenerosamente mi colpiva. Lasciatemi dire, aiutatemi a dire. C'è una
creatura fresca come l'istante che sboccia sul prato o sul greto, che
non ha nulla dietro a sè, non appoggi, non esempi, e sporge la fronte
rotonda. Che le dovrebbe importare l'istante di prima e quello di poi?
È fatta per darsi, e per cantar la gioia che dal suo donarsi viene
a splendere sul volto del mondo. In che la possono toccare storia e
religione, poichè è l'innocenza? Ali violette di ciclami, ali rosate
di conchiglie l'appagano. Ma quegli che il seno nudo di lei trova più
dolce di qualunque riviera carezzata dal tramonto in un paese felice,
non si contenta tuttavia. Forse ha torto, ma la potenza che lo trascina
a tormentarsi, la terribile manìa dagli infiniti aspetti gli soverchia
l'anima, e la fresca creatura dalla fronte rotonda comprende questo,
ella è intelligenza ed amore, soffre ma comprende, giglio della valle
vestito di luce, allodola salva da ogni uragano, fatta per cantare
è costretta a meditare, a coltivare in sè facoltà senza grazia, oh
polverosa memoria, oh asmatica logica!, è costretta ad analizzare
e a notare, a trovar senso nei nomi astratti, senso nella categoria
dei valori, nell'asceta come nel guerriero.... Asceta e guerriero,
per voi! Voi affermate che siete spirito e ch'io sono natura, e forse
non v'ingannate. Se io, immolandomi, con la tenacità d'uno sforzo che
non saprete mai quanto tremendo, vi provo che posso riconoscer tutto
di voi, con le stesse parole che vi foggiaste, catene di piombo per
me, se vi do la testimonianza lucida di come la mia vita di donna
fu attenta ai vostri modi e ai vostri fini, non riaccosterete voi
nella vostra lealtà i due termini che con frusto orgoglio dichiaraste
inconciliabili? Poi venga, forse un'alba forse una sera, come
l'improvviso fior bianco di Espero contro cieli di viola e di fiamma,
qualcuno con squillante riso, una giovine meraviglia, una divinità
duplice, e ci annienti nel suo abbraccio, oh sapore di vita conclusa!
 
 
Ali di ciclami, ali di conchiglie. Foreste dall'ombra bionda, dune
lunari. In un giorno di tempesta, senza traccia in cielo di colore,
scorsi d'improvviso il più vago iride in un breve lembo di schiuma
lasciato da un'onda sulla rena. Specchio istantaneo del celato sole,
evanescente imagine dell'invisibile.
 
Brage infuocate all'estremo orizzonte, in tramonti d'ogni stagione, per
le mie mani, amore!
 
E il fondo della stanza s'irradia, la stanza coi muri bianchi lassù
presso la pineta, coi muri bianchi qui dove a quel tempo penso. Fra i
due schermi in attesa tutto ciò che s'è proiettato mi sfida. Immensità,
ti si vive, ma non ti si rende.
 
Un ponte.
 
«Per te» dicevo all'effigie di mio figlio. Ma non era per lui soltanto
e già mormoravo: «Se egli non m'intenderà, questo che faccio non sarà
tuttavia vano».
 
Vedo quel tempo, di là dal ponte. Tutto ciò che non scrivevo: l'alito
autunnale, l'affiorar dei colchici, il deserto a losanghe staccionate,
le agnella che nascevano fra le greggi nomadi. Certe ore sospese,
quasi riverse nello spazio, la terra invadendo il cielo. Il ritmo
che sovrasta, me inconsapevole, tutte le mie energie: che, certo,
prometteva di palesarmisi, fosse pur fra dieci anni, prometteva di non
smarrirsi se anche non gli avessi porto orecchio: ch'era, di già, nel
mio passo e nel mio sguardo, in quelle ultime camminate per la strada
dominante Roma. La città dove il mio destino pareva inciso in pochi
rudi tratti: devozione all'opera, devozione all'amico: poi, forse,
intorno al capo stanco le braccia del figlio. Rudezza, oscurità,
coraggio. Bruni scendevano taluni pomeriggi ad avvolgere la casa
solitaria, la pioggia mutava in nubi i campi, il freddo m'interrompeva
la fatica.... Brividi, fors'anche di febbre. Se qualcuno m'avesse detto
«Che cosa hai?» non avrei udito. «Perchè ti batte così forte il cuore?
Che vedi? Sembra che tu non abbia mai conosciuto nè dolore nè gioia o
che tu abbia tutto dimenticato, sembra che la tua vita non sia che una
spoglia, qualcosa che non t'appartenga, e il tuo respiro ha la violenza
dell'acqua e del vento....»
 
 
 
 
_IL PECCATO._
 
 
Sette anni. Un albero di folto fogliame.
 
Le foglie, giorni, ore, attimi, han bevuta la luce, tutta, si son
lasciate, tutte, penetrar dall'aria. Nulla che non sia stato in
pienezza sentito e consumato.
 
Che cos'è la nostalgia? Richiamo desolato di emozioni interrotte,
stroncate, di cose intravedute e non possedute, di luoghi e di età a
cui non potemmo darci interi. Io non ho nostalgia della mia perfetta
infanzia, l'ho della mia adolescenza trafugatami. I mesi in cui allevai
il mio bimbo, se in mente li rivivo, appassionati e radiosi, stolto
sacrilegio sarebbe rimpiangerli. Così non soffro, ora che è chiuso e
lontano, pensando al tempo in cui Andrea ebbe per me la sua vita paga
e colma. Quando lo sentivo felice, e n'ero ebbra. Quand'ero giunta, oh
istinto della donna, istinto abnegante, per lui liberare dai mostri
del dubbio, da ogni paura del passato, ad avvelenarne le vene mie
create sane. Che per lo spettacolo del mio tormento egli si sentisse
più certo della propria gioia, poi che tale era la legge dell'anima
sua! Un rantolo sfuggitogli una volta, quanti doveva generarne nel mio
petto: E gli dicevo: «Se qualcuna delle donne che hai desiderato, se
l'ultima, ecco, apprendesse da me ad amarti e ti si offrisse, oh mia
vita, non farei un moto per trattenerti....». Gli dicevo: «Come posso
illudermi di bastarti, e che tu abbia dimenticato tutte le altre,
quelle che non ti si son date e pur affermavano di volerti bene, quella
ch'era vergine e aveva le guance di pesca, l'altra ch'era fastosa
dominatrice, e questa, questa ch'è qua vicino, che ha l'arma ch'io non
avrò mai, l'ironia su labbra sottili?». Le compiangevo di non averlo
saputo adorare. Vissero nelle mie allucinazioni, esse che m'ignoravano,
vissero esaltate e beate or l'una or l'altra, ringraziandomi e
schernendomi. Io che non avevo mai assolta in cuor mio mia madre d'aver
perduto per gelosia la potestà su sè stessa, infinite volte mi sentii
a mezzo il sonno svegliar in tortura, chiamata da un'acqua profonda per
sottrarmi alle fiamme, com'ella certo il mattino in cui si gettò dalla
finestra sul selciato.... «Bisognava resistere, mamma!» ferocemente io
le avevo gridato quand'ella fu salva nel corpo ma per sempre colpita
dentro la fronte. Ah tutto che senza pietà, inesorabile come la luce,
pretese in me lo spirito dalla forza umana, tutto venne a me stessa via
via dal destino proposto, tutto dovetti con me stessa col mio sangue
dimostrar possibile!
 
Non scagliar pietre, giovinezza senza peccato!
 
Libero, non più tremante, egli conosceva per la prima volta in vita
il calmo senso del possesso. Una donna era sua, gli apparteneva, si
consumava per essergli ancor più in balìa. Una volta mi spiegò: «Ti
amo, vedi, come da noi si ama il proprio pezzo di terra».
 
Vi son migliaia di foglietti che io non voglio rileggere, d'allora,
inchiostri impalliditi, matite svanienti, vi sono, in pacchi alla
rinfusa nel mio fardello d'errabonda, migliaia di note ch'io prendevo
null'altro che per necessità di riconoscermi, di là da tutto quanto
avevo raggiunto, di là dallo stesso libro che scrivevo che pubblicavo
che difendevo, note di stupore il più sovente, note di spasimo,
analisi, indagini, divinazioni e puerilità, getti, smarrimenti, tutti
i miei sensi che cedevano al verbo, che del verbo si sostentavano,
la malinconia che gli uomini han raffigurata in Narciso, un pudore
selvaggio, una selvaggia nudità, recondita ogni legge ogni armonia,
migliaia di pagine senza data, fronde accartocciate per guanciale alla
mia stanchezza se mai una volta la stanchezza mi vinca.
 
Per il riposo che mai conobbi durante una notte intera, durante un'ora
diurna intera.
 
Ventilavano senza pietà per me tutte le mie energie a ristorar la
fronte dell'uomo che volevo benedicesse così sempre la vita. Fresco
balsamo io gli ero in virtù delle orge di pianto cui m'abbandonavo
quand'egli non mi vedeva, in virtù del tormento inacquetabile che dava
alle mie pupille uno scintillìo di più serena notte. Lo interrogavo
nel sonno pregando che l'incanto su lui durasse, ch'egli non si
svegliasse. Come era così rapidamente passato dalla sua cupa negazione
umana a tanta ferma fede! Non per la bellezza dell'anima mia ch'egli
non la sentiva come sentiva invece ogni sera ed ogni mattina il mio
corpo; chè gli era questo, davvero sì, simile al pezzo di terra che
ci sostenta. Era bastata al miracolo la mia forma lucente, il calor
del mio petto, non m'illudessi! E la verità gli sarebbe riapparsa
menzogna s'io ammalassi, s'io morissi, questo mondo in ansito perpetuo
non l'avrebbe più esaltato? Come saperlo, se mi faceva sobbalzar di
terrore la vista solamente d'un corrugar delle sua ciglia nel sogno!
Ero la schiava della mia forza: della mia creatrice immaginazione
ormai: del ritmo impresso al mio cuore. Il mio potere era questo: far
trovare buona la vita. La mia forza era di conservare tal potere anche
se dal mio canto perdessi ogni miraggio. Amore senza perchè. Senza
soggetto, quasi. Occhi miei che non avevan feste e non si dolevano.
M'avrebbe amata senza la mia bellezza? Volto ch'egli m'insegnava ad
incorniciare, snello mio corpo austeramente sdegnoso fin allora di
qualsiasi specchio! Tanti credettero, vedendoci accanto, ad un mio
sacrifizio fisico! No. Altro gli gettavo ai piedi, ed egli non lo seppe
veramente mai, egli che pure m'aveva detto: «devi aver confidenza in
me». Confidare. Non vuol dire certezza d'essere indovinati? E l'avevo
subito perduta. Quei miei fogli d'appunti io li nascondevo, sola cosa
mia che non gli permettevo di conoscere, unica mia gelosa proprietà.
«Non hai bisogno della mia anima gli dicevo guardandolo dormire
e perchè dovresti accorgerti che soffre? Hai la tua da alimentare,
da conservare, da difendere. Ci credi uno e siamo due. Sei tu centro
del mondo, tu con la tua visione ormai immobile nella casa ben salda
della tua mente. Ti mancava soltanto questo, povero bimbo grande,
l'equilibrio organico e con me l'hai ottenuto. Riposi così tutte le
notti con la mano sul mio cuore: e ti basta il suo bel respiro. Tale
è il tuo amore, senza struggente sete di dedizione, senza voluttà di
sconfinamento. Non sai la vertigine di me che son pronta a sparire
se tu lo voglia, se debbo farlo, se lo esiga la tua missione, il tuo
maggior bene. Questo annegare lucido del mio essere. Ti porto ogni
sera una ricchezza più grande, e la brucio in silenzio fra le tue
braccia, che tu veda null'altro che un bagliore caldo su la mia pelle.
M'accresco, m'accresco, della folla bruta che rasento, dei bimbi che mi
trattengo dal carezzare, del boccone miserabile che trangugio freddo,
d'ogni luce che svaria, d'ogni domanda che mi rivolgo sempre più
spietata. Non un mio minuto che non sia tensione, sforzo. Confondermi
volevo con il tutto e son da tutto così staccata! Anche dal mio
libro, povero umile attestato di resistenza umana; cosa rigida, senza
benedizione, senza sorridente divinità.... Dio. Mi si manifesterà nella tua poesia? Tu, se hai il genio, fa' di me quel che vuoi. Io non posso che ardere, intera, quale sono, quale divengo di sera in sera....».

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