2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 195

Annali d'Italia 195


le forti istanze di Sigismondo, comparvero dipoi in suo aiuto _Taliano
Furlano, Malatesta_ signor di Cesena ed altri capitani con ischiere
numerose di cavalleria e fanteria, che seco si unirono. Finalmente
anche il papa e il re Alfonso mandarono le lor genti nella Marca per
impadronirsene affatto. In mezzo a questi due fuochi si trovava il
conte, e con forze troppo disuguali. Tuttavia, conoscendo in maggior
pericolo la Marca, lasciata parte delle sue milizie sotto il comando di
_Federigo conte d'Urbino_, coll'altra marciò colà; e all'arrivo suo si
ritirarono tosto _Lodovico patriarca_ di Aquileia cardinale legato del
papa, e _Giovanni da Ventimiglia_ generale del re Alfonso. Ed eccoti
arrivare in essa Marca anche _Taliano_, creato generale dal duca di
Milano, con _Sigismondo Malatesta_, con _Malatesta_ signor di Cesena
ed altri capitani, che cominciò a strignere dall'una parte lo Sforza,
e cercava le vie di unirsi dall'altra alle soldatesche del papa e del
re. Intanto nel dì 15 d'ottobre Rocca Contrada, una delle migliori
fortezze che si avesse il conte in quelle contrade, ribellatasi, venne
in mano di Sigismondo, ossia del pontefice. Il perchè, peggiorando
ogni dì più gl'interessi del conte, prese questi il partito di salvar
la gente con ridursi di nuovo a Pesaro, dove avea lasciata Bianca
Visconte sua moglie. Raccomandate adunque ad _Alessandro_ suo fratello
le città di Fermo e di Jesi, che restavano a lui ubbidienti, sen venne
sul territorio d'Urbino, da dove col conte Federigo fece guerra a
Sigismondo Malatesta, togliendo a lui alcune castella. Ma nel dì 26 di
novembre il popolo di Fermo, avendo prese l'armi, ne cacciò il presidio
del conte, e si sottomise alle armi del papa; e da lì a qualche
tempo si rendè loro anche la rocca appellata il Girofalco venduta da
Alessandro Sforza, per non poterla sostenere. Sicchè la sola città di
Jesi restò in potere del conte, con essersi perdute tutte le altre
terre. Nel dì 12 di marzo di quest'anno passò all'altra vita[2861]
_Gian-Giacomo marchese_ di Monferrato, e i suoi Stati pervennero al
marchese _Giovanni_ suo primogenito. Un altro suo figliuolo appellato
_Guglielmo_, condottier d'armi in questi tempi, era al servigio del
duca di Milano.
 
NOTE:
 
[2850] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
 
[2851] Giustiniani, Istor. di Genova. Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer.
Ital.
 
[2852] Simonetta, Vita Francisci Sfortiae, lib. 6, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2853] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
 
[2854] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital. Cronica di Ferrara, tom.
24 Rer. Ital.
 
[2855] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[2856] Annales Placentini, tom. 20 Rer. Ital.
 
[2857] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
 
[2858] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 8, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2859] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2860] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
 
[2861] Benvenuto da S. Giorgio, Istor. del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCCXLVI. Indiz. IX.
 
EUGENIO IV papa 16.
FEDERIGO III re de' Romani 7.
 
 
Fulminò di nuovo in quest'anno nei mesi di aprile e di luglio le
scomuniche _papa Eugenio_ contra del conte _Francesco Sforza_ e di
tutti i suoi seguaci[2862]. E per vendicarsi de' Fiorentini, che colla
profusione di molto danaro cagione erano che esso conte non andasse
a gambe levate, intavolò un trattato col re Alfonso per muoverlo
contra di loro, siccome poi fece nell'anno seguente. Intanto il conte
era confortato da _Cosimo de Medici_, e da alcuni cardinali e baroni
romani a marciare alla volta di Roma coll'armi sue, perchè avrebbe
facilmente indotto per forza il pontefice ad un buon accordo[2863].
Gli promettevano ancora la ribellione di Todi, Narni e di Orvieto,
con altri aderenti. Ma egli pensò a mettersi in viaggio, ed ancorchè
si movesse sul fine di maggio per passare colà, ed arrivasse fino
a Montefiascone e a Viterbo, pure per mancanza di vettovaglie, e
perchè Todi ed Orvieto non corrisposero alle speranze dategli, gli
convenne tornare indietro. Intanto il papa si provvide di gente, avendo
chiamato in suo aiuto un corpo di quelle del _re Alfonso_, e _Taliano
Furlano_ ed altri condottieri, ch'erano nella Marca. Queste truppe
dipoi, tornato che fu indietro il conte Francesco, se ne andarono
addosso ad Ancona, città che dianzi avea fatta lega co' Veneziani,
per non venir nelle mani del papa, e la costrinsero a sottomettersi.
Passarono di poi alla terra della Pergola, dove era guarnigione di
_Federigo conte_ d'Urbino, e in pochi giorni l'ebbero ubbidiente ai
loro voleri. Andarono poscia a postarsi solamente circa cinque miglia
lungi dal campo, in cui colle poche sue truppe si era fortificato il
conte Francesco su quel di Fossombrone. Trovavasi allora in Pesaro
il conte _Alessandro Sforza_ fratello del conte Francesco, e signore
di quella città[2864], e, veggendosi cinto da ogni intorno dalle
armi nemiche, giudicò meglio, nel dì 25 di luglio, di venire ad un
accordo col _cardinale Lodovico_ legato del papa: risoluzione, di cui
sommamente il conte Francesco si dolse, come di fiera ingratitudine,
dacchè egli col suo proprio danaro avea acquistata quella città al
fratello. Ma Alessandro si scusò colla necessità, assicurando il
conte della sua non interrotta fedeltà ed amore: in segno di che mandò
Bianca Visconte di lui moglie ad Urbino, contuttochè se gli opponesse
non poco il cardinale. Fu ridotto in questi tempi così alle strette
il conte Francesco Sforza, che si vide forzato a ritirarsi fino alle
mura d'Urbino, mancandogli forze da poter fermare i progressi delle
armi pontificie e duchesche, che gran guasto davano a quel territorio,
e presero varie terre. Non contento _Filippo Maria_ duca di Milano
della guerra ch'egli facea nello Stato della Chiesa contra del conte
Francesco suo genero, si lasciò così trasportare dalla pazza passione,
che, credendo venuto il tempo di potergli anche togliere Cremona[2865],
quantunque città a lui ceduta con titolo di dote, si mise in punto per
eseguir questa impresa. Era ciò espressamente contro i capitoli della
pace fatta co' Veneziani e Fiorentini: non importa; sopra ogni altra
riflessione andava lo sregolato empito dell'odio suo. Però, messo
in piedi un esercito di cinque mila cavalli e mille fanti sotto il
comando di _Francesco Piccinino_ e di _Luigi del Verme_, lo spedì, sul
principio di maggio, contro Cremona, di cui _Orlando Pallavicino_ gli
avea fatto sperar l'acquisto per una segreta cloaca. Impiegò questa
gente alquanto tempo in prendere Soncino ed altre terre del Cremonese:
nel qual mentre i Veneziani, veduta rotta la pace dal non mai quieto
duca, ebbero tempo di potere spignere qualche soccorso d'armati in
Cremona. Arrivato colà il Piccinino, vi trovò, più di quel che credeva,
gente disposta alla difesa; laonde si accampò intorno ad essa città,
sperando di costringerla colla fame alla resa. In questo tempo i
Veneziani, giacchè con un'ambasciata non aveano potuto rimuovere il
duca da questo disegno, ordinarono a _Michele Attendolo_ da Cotignola,
lor generale, di mettere insieme tutta l'armata, e di marciar contro
ai ducheschi. Avea inoltre spedito il duca, per voglia di togliere
anche Pontremoli al conte suo genero, _Luigi da San Severino_ e _Pietro
Maria Rossi_; ma altro non poterono far questi, che mettere a sacco il
paese, perchè i Fiorentini, coll'inviare per tempo a quella terra un
rinforzo di milizie, la salvarono. Ridotto a tali termini stava intanto
il _conte Francesco_ nel territorio d'Urbino, quando avvenne novità che
il fece assai respirare.
 
_Guglielmo_ fratello di _Giovanni marchese_ di Monferrato dimorava
in Castelfranco del Bolognese con _Alberto Pio da Carpi_, e con una
brigata di quattrocento cavalli e di cento fanti in servigio del
duca di Milano[2866]. Perchè passavano fra lui e _Carlo Gonzaga_
de' disgusti a motivo di precedenza, si lasciò egli guadagnare
dalle proferte di più lucrosa condotta che gli fecero i Veneziani
e Bolognesi, e se l'intese con _Taddeo marchese_ e con _Tiberio
Brandolino_ capitani de' primi. Perciò nella notte del dì 5 di luglio
diede la tenuta di Castelfranco ai Bolognesi, ed unito con essi e
co' Veneziani nel dì seguente cavalcò a San Giovanni in Persiceto,
nella cui rocca egli teneva presidio, mentre nella terra alloggiava
Carlo da Gonzaga con un grosso corpo di gente duchesca. Venuto
alle mani con esso Gonzaga, lo sconfisse, e mise a saccomano tutta
quella gente di armi, e prese anche la terra: per la qual vittoria
tornarono poco appresso all'ubbidienza di Bologna quasi tutte le
altre castella e terre di quel distretto. Parimente avvenne che i
Fiorentini fecero largo partito a _Taliano Furlano_ generale del duca
di Milano contra di Francesco Sforza, offerendogli il generalato
dell'esercito loro[2867]. Fosse accidente, o un tiro malizioso di
essi Fiorentini, si riseppe il trattato, nè ci volle di più, perchè
Taliano, d'ordine del duca e del cardinale legato, fosse preso nel
mese d'agosto, e condotto a Rocca Contrada, dove gli fu recisa la
testa. Pel medesimo motivo ebbe dipoi mozzato il capo anche _Jacopo da
Gaibana_, altro condottiere d'armi. Nacquero forti sospetti al duca di
Milano che anche _Bartolomeo Coleone_ suo condottier d'armi tenesse
delle intelligenze co' Veneziani; e furono questi cagione ch'egli
venisse preso ed inviato nelle carceri di Monza. Sì fatti accidenti
sconcertarono alquanto i felici andamenti dell'armata pontificia e
duchesca, la quale intanto faceva alla peggio nel territorio d'Urbino.
Unironsi poi colla armata veneta le genti d'armi di _Taddeo marchese
d'Este_, di _Tiberto Brandolino_ e di _Guglielmo_ di Monferrato[2868];
ed allora fu che _Michele_ da Cotignola generale dei Veneziani marciò
contro l'armata duchesca accampala intorno a Cremona. Fece questo
esercito non solamente ritornar molte terre alla divozione del conte
Francesco, ma anche ritirare _Francesco Piccinino_ dall'assedio di
Cremona, con portarsi a Casalmaggiore, dove fece fabbricare un Ponte
sul Po per aver viveri e strame dal Parmigiano. Era ivi nel fiume un
mezzano ossia un'isola, dove la di lui armata si stese, e fortificossi
con bastioni e bombarde. Ora Micheletto Attendolo colle sue genti
arrivò colà con pensiero di dar loro la mala Pasqua. Il Simonetta
scrive che ciò avvenne _tertio kalendas octobris_, cioè nel dì 29
di settembre. L'autore degli Annali di Forlì[2869], nel dì primo di
ottobre. Ma Cristoforo da Soldo[2870] e le Croniche di Rimini[2871]
e di Bologna[2872], e il Rivalta negli Annali di Piacenza[2873] ci
danno quel fatto di armi nel dì 28 di settembre. Non potendo le genti
venete penetrare i trincieramenti fatti alla testa del ponte, trovarono
per avventura non essere tanto alta l'acqua del Po, che non potessero
arrivare al mezzano suddetto, dove, come in una città, si erano fatti
forti i ducheschi. A quella volta dunque animosamente s'inviò la
cavalleria veneta con fanti in groppa per l'acqua che arrivava sino
alle selle dei cavalli, ed attaccarono la mischia con tal bravura,
che misero in poco d'ora i nemici in iscompiglio. Se ne fuggirono i
capitani ducheschi di là dal Po; ma perchè non v'era se non il ponte,
per cui potesse salvarsi la sconfitta gente, e questo ancora, per paura
d'essere inseguiti, fu rotto d'ordine di essi capitani; però la maggior
parte di que' soldati rimase prigioniera colla perdita di tutto il
bagaglio, munizioni e carriaggi, che fu d'immenso valore. Scrive Marino
Sanuto[2874] che in sua parte toccarono a Micheletto generale cavalli
ottocento, a Guglielmo di Monferrato cento, a Taddeo marchese secento,
a Gentile figliuolo di Gattamelata ottocento, a Tiberio Brandolino
quattrocento, a Guido Rangone quattrocento, a Cristoforo da Tolentino
e ad altri altra parte, di maniera che più di quattro mila cavalli
vennero alle lor mani. Gran festa si fece per così segnalata vittoria
in Venezia e per tutte le terre della repubblica.
 
Or questa gran percossa fece rientrare in sè stesso il poco saggio
duca di Milano, che nel dì 5 d'ottobre spedì per un suo messo segreta
lettera alla repubblica veneta chiedendo pace, ed esibendosi pronto
a cedere tutto quanto egli avea preso nel Cremonese colla giunta di
Crema. Tardò poco a comprendere, essere bensì in mano d'ognuno il
cominciare una guerra, ma non essere poi così il finirla. I Veneziani,
che avevano il vento in poppa, e ben conosceano la debolezza, a cui
era ridotto il duca, sprezzata ogni proposizione d'accordo, ordinarono
al loro generale di proseguire innanzi. Pertanto egli, dopo aver
ricuperato Soncino, Caravaggio e tutte le castella del Cremonese,
passò il fiume Adda, e ruppe di nuovo nel dì 6 di novembre[2875]

Annali d'Italia 194

Annali d'Italia 194



seguì nel dì 10 d'ottobre, con avere il papa lasciate al medesimo
conte in feudo con titolo di marchese tutte le terre da lui possedute
e ricuperate prima del dì 15 oppure 18 del mese suddetto. A riserva
d'Osimo, Recanati, Fabriano ed Ancona, il resto della Marca ubbidiva ai
suoi cenni.
 
Era venuto a Milano _Niccolò Piccinino_, chiamatovi, come dissi
(non si sa bene il motivo) dal duca. Non gli si partiva dal cuore
l'affanno per la perdita di Bologna[2842], e per la sconfitta a lui
data dal conte Francesco Sforza. A questi pensieri, che il laceravano
di dentro, si aggiunse l'altra dolorosa nuova non solo della rotta di
Francesco suo figliuolo, ma d'esser egli anche caduto prigione nelle
mani dell'emulo ossia nemico Sforza. Soccombè in fine alla malinconia,
ed, infermatosi, terminò il corso del suo vivere nel dì 15 oppure 16
d'ottobre[2843]: con che mancò uno de' più insigni generali d'armata
che s'avesse l'Italia, a cui niun altro si potea anteporre, se non
Francesco Sforza. Nelle spedizioni la sua attività e prestezza non
ebbe pari; ma egli si prometteva molto della fortuna, e però azzardava
bene spesso nelle sue imprese: laddove lo Sforza sempre operava con
saviezza, e sapea cedere e temporeggiare, quando lo richiedeva il
bisogno, nè temerariamente mai procedeva in ciò che imprendeva. Per la
morte del Piccinino sommamente si afflisse il duca _Filippo Maria_,
rimasto privo di sì valente, onorato e fedele capitano; nè potendo
far altro, si rivolse a beneficare i di lui figliuoli _Francesco_ e
_Jacopo_, con aver ottenuta la libertà del primo dal conte Francesco, e
con chiamarli amendue a Milano. Accadde ancora nell'anno presente[2844]
la morte di _Oddo-Antonio_ conte di Montefeltro e d'Urbino, personaggio
di costumi sfrenati e d'insoffribil lussuria. Per cagione di questi
suoi vizii fu egli nella notte del dì 22 di luglio da molti congiurati
ucciso, e in luogo suo proclamato signore _Federigo_ suo fratello, e
figliuolo bastardo di _Guidantonio_ già conte, ancorchè comunemente
creduto fosse figliuolo di _Bernardino dalla Carda_ degli Ubaldini.
Questi, essendo ito a Fermo per visitare il conte Francesco, stabilì
tosto con esso lui lega difensiva ed offensiva. Venne a morte anche in
quest'anno[2845], nel dì 8 o pure 24 di settembre, _Gian-Francesco da
Gonzaga_ marchese di Mantova, assai invecchiato, ed ebbe per successore
_Lodovico_ suo figliuolo. Fu parimente chiamato da Dio a miglior vita
nella città dell'Aquila a dì 20 di maggio[2846] frate _Bernardino da
Siena_ dell'ordine de' Minori, celebre missionario di questi tempi,
che per le sue luminose virtù venne poi aggregato al ruolo de' santi.
Similmente finì di vivere[2847] _Leonardo Aretino_, segretario della
repubblica fiorentina, uomo celebre allora per la sua letteratura e
perizia della lingua greca. Si ammalò nel dì 5 d'aprile[2848] di sì
pericolosa malattia _Alfonso re_ di Aragona e delle Due Sicilie, che
corse in fin voce che era morto. Gran bisbiglio e movimento fu nei
baroni del regno, di modo tale che guarito il re, ben s'avvide del poco
capitale che potea farsi della fede de' regnicoli. Diede egli in questo
anno[2849] per moglie a _don Ferdinando_ duca di Calabria suo figliuolo
_Isabella di Chiaramonte_, nipote di _Gian Antonio Orsino_ principe
di Taranto. Maritò eziandio Maria sua figliuola col marchese _Lionello
d'Este_ signor di Ferrara, Modena e Reggio. Fu pertanto spedito _Borso
d'Este_ fratello d'esso marchese con due galee veneziane a levar questa
principessa che, accompagnata dal principe di Salerno, arrivò a Ferrara
nel dì 24 d'aprile[2850]. Memorabil fu la magnificenza di queste nozze
per la quantità delle feste e dei varii solazzi, che durarono quindici
giorni coll'intervento degli ambasciatori di tutti i principi d'Italia.
Fece guerra in quest'anno il re Alfonso ad _Antonio Santiglia_ signore
di Cotrone, Catanzaro ed altri luoghi in Calabria, e gli tolse tutti
quegli Stati. Condiscese anche a far pace coi Genovesi[2851], co'
quali era in guerra da gran tempo, e gli obbligò a pagargli ogni
anno a titolo di censo un bacile d'argento, con accordar loro varii
privilegii.
 
NOTE:
 
[2834] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2835] Annal. Foroliviens., tom. eod.
 
[2836] Giustiniani, Istor. di Genova, lib. 5.
 
[2837] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 6, tom. 21 Rer. Italic.
 
[2838] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2839] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
 
[2840] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2841] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[2842] Corio, Istor. di Milano.
 
[2843] Cristoforo da Soldo, Istor. Bresc., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2844] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital. Cronica di Rimini, tom.
15 Rer. Ital.
 
[2845] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
 
[2846] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[2847] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2848] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2849] Istoria Napol., tom. 23 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCCXLV. Indiz. VIII.
 
EUGENIO IV papa 15.
FEDERIGO III re de' Romani 6.
 
 
Fra il _duca di Milano_ e _Francesco Sforza_ suo genero parve nel
precedente anno restituita buona armonia, per quanto abbiamo veduto.
Ma intervenne accidente che affatto la guastò. Dappoichè mancò,
colla morte di _Niccolò Piccinino_, ad esso duca un raro generale
delle sue armi, mise egli il guardo sopra _Ciarpellione_, cioè sopra
il più accreditato capitano che si avesse allora Francesco[2852], e
segretamente cominciò a trattare con lui, per torlo al conte e farlo
venire a Milano. Trapelò questo trattato, e se ne crucciò forte il
conte, il quale, fidandosi poco del suocero duca, perchè assai ne
conosceva l'umore, temeva anche dei malanni, se lasciava partire chi
era stato partecipe di tutti i suoi segreti. Fece pertanto mettere
prigione nella fortezza di Fermo Ciarpellione, e processarlo per varie
sue iniquità[2853]. Dopo di che nel dì 29 di novembre dell'antecedente
anno il fece impiccare, con ispargere voce d'aver egli macchinato
contro la vita del medesimo conte. Altamente si chiamò offeso per
questo fatto il duca, e protestò di volersene vendicare. Francesco di
tutto informò i Veneziani e Fiorentini, a' quali piacea più di vederlo
nemico che amico del suocero. Si partì ancora dall'amicizia di esso
conte _Sigismondo Malatesta_ signore di Rimini, tuttochè genero del
medesimo. Vagheggiava egli da gran tempo Pesaro e Fossombrone, goduti
da _Galeazzo Malatesta_, cioè da chi era privo di figliuoli; anzi s'era
già provato colla forza, ma indarno, d'impadronirsene[2854]. Avvenne
che, per interposizione di _Federigo conte d'Urbino_, vendè Galeazzo al
_conte Francesco_ essa città di Pesaro per venti mila fiorini d'oro,
con che _Alessandro Sforza_ fratello del conte sposasse _Costanza_
sua nipote, e divenisse padrone di quella città. Fossombrone eziandio
fu venduto al conte Federigo per tredici altri mila fiorini. Era già
per varii motivi mal soddisfatto lo Sforza di Sigismondo suo genero,
uomo anche per altro conto di coscienza guasta; e però senza alcun
riguardo verso di lui fece il suo negozio. Che disdegno e rabbia per
questo provasse Sigismondo, non si può assai dire. Mosse da lì innanzi
cielo e terra contra del conte Francesco, tanto presso il pontefice,
quanto presso il re Alfonso e il duca di Milano. Spezialmente questo
suo sdegno piacque al duca, per potere valersi di lui contra dello
Sforza. Ora _Filippo Maria_ co' suoi maneggi tanto fece, che _papa
Eugenio IV_ prese Sigismondo al suo soldo, e facendo sperare coll'aiuto
proprio e d'esso signore di Rimini assai facile al papa il riacquistare
Bologna, a poco a poco accese il fuoco d'una nuova guerra. Nè penò
molto a tirarvi anche il _re Alfonso_, perchè la città di Teramo s'era
data al conte Francesco; e _Giosia Acquaviva_ ed altri del suo regno,
ribellatisi a lui, si erano uniti col medesimo conte. Mentre questi
concerti di guerra si andavano facendo, uno strepitoso accidente
avvenne in Bologna[2855]. Era in quella città in alta stima _Annibale
de' Bentivogli_, perchè riguardato come glorioso liberatore della sua
patria. Ma la invidia, nata, per così dire, col mondo, il facea mirar
con occhio bieco da _Baldassare da Canedolo_, da' Ghiselieri e da
alcuni altri cittadini. Andò tanto innanzi questa cieca passione, che
costoro determinarono di levargli la vita. Fu invitato il Bentivoglio
nel dì 24 di giugno, festa di san Giovanni Batista, da _Francesco
Ghiselieri_, a tenergli un suo figliuolo al sacro fonte. Finita la
funzione, ed usciti che furono di chiesa, Baldassare e gli altri
congiurati, avventatisi addosso al Bentivoglio, con varie ferite lo
stesero morto a terra[2856]. Poscia andarono in traccia d'alcuni altri
amici di lui, e gli uccisero. Per questa enorme indegnità si levò a
rumore tutto il popolo contro i micidiarii; diede il sacco alle lor
case e le bruciò. _Batista da Canedolo_, benchè non intervenuto a
quell'orrido fatto, indarno fece resistenza all'infuriato popolo, che
trovatolo il tagliò a pezzi[2857]; e quanti amici de' Canedoli vennero
in mano d'esso popolo, rimasero vittima del loro furore. Che tal novità
fosse fatta con intelligenza del duca di Milano, si conobbe tosto,
perch'egli si dichiarò protettore de' Canedoli, e nel dì 26 di giugno
_Taliano Furlano_ capitano d'esso duca, che stanziava in Romagna con
mille e cinquecento cavalli e cinquecento fanti ducheschi, entrò tosto
nel Bolognese in aiuto de' Canedoli; ma ritrovatili o morti o sbandati,
da lì a poco cominciò la guerra al Bolognese, e prese varii luoghi.
Altrettanto ancora fecero _Luigi da San Severino_ e _Carlo da Gonzaga_,
altri capitani del medesimo duca. Ora i Fiorentini, siccome collegati
de' Bolognesi, nel dì 27 di luglio spedirono in loro aiuto _Simonetto_
con cinquecento cavalli e ducento fanti. Anche i Veneziani inviarono
colà _Taddeo marchese_ d'Este con altra gente. S'ingrossarono intanto
sempre più le milizie del duca di Milano sul Bolognese, e corsero
sino alle porte della città; ma null'altro di considerabile accadde in
quelle parti nell'anno presente, fuorchè la presa di alcuni castelli,
fra i quali il più importante fu San Giovanni in Persiceto, occupato
nel dì 9 di settembre da Luigi da San Severino.
 
Abbiam veduto poco fa rimesso in grazia di _papa Eugenio_ il conte
_Francesco Sforza_, e stabilito accordo fra loro. Pure questo
pontefice, quasi che i patti durar dovessero finchè gli tornava a
conto il non romperli, appena si vide animato ed assistito dal duca
di Milano, che ripigliò le armi contra di lui, e seco fu anche il _re
Alfonso_. Ora il conte[2858], giacchè Sigismondo signor di Rimini s'era
dichiarato nemico suo, dopo avere ricevuto da' Fiorentini soccorso di
danaro, andò a mettere l'assedio alla ricca terra di Meldola, che gli
costò molto tempo e fatica. L'ebbe a forza di armi nel dì 17 oppure 22
di luglio[2859], e col sacco, crudelmente ad essa dato, si arricchirono
tutti i suoi soldati. Ma nel dì 10 d'agosto[2860] la città d'Ascoli
nella Marca gli si ribellò, e tagliato a pezzi _Rinaldo Fogliano_,
fratello uterino del conte Francesco, si diede al pontefice. Così, per

Annali d'Italia 193

Annali d'Italia 193



resistere a sì grosso torrente non avea il conte Francesco[2829]; però,
poste buone guarnigioni nelle piazze più importanti (cioè _Alessandro_
suo fratello in Fermo, _Giovanni_ altro suo fratello in Ascoli,
_Rinaldo Fogliano_ suo fratello uterino in Cività, _Pietro Brunoro_ in
Fabriano, _Fioravante da Perugia_ in Cingoli, _Giovanni da Tolentino_
suo genero in Osimo, _Troilo da Rossano_ in Jesi, e _Roberto da San
Severino_ in Rocca Contrada), si ritirò egli con parte del suo esercito
a Fano, città ben forte di _Sigismondo Malatesta_ suo genero, per quivi
aspettare i sospirati soccorsi de' collegati, coi quali potesse far
fronte, occorrendo ai nemici.
 
Ma volle la sua disavventura che, oltre a _Manno Barile_, il quale sul
principio di quest'anno l'avea abbandonato, anche altri suoi principali
condottieri di armi in sì grave congiuntura il tradissero. Entrato
dunque Alfonso col Piccinino nella Marca, ed inalberate le bandiere
della Chiesa, tosto si volsero alla di lui ubbidienza San Severino,
Matelica, Tolentino e Macerata. _Pietro Brunoro_ gli diede Fabriano, ed
acconciossi con lui[2830]. Altrettanto fece _Troilo_, benchè cognato
del conte Francesco, dandogli Jesi, e passando al suo servigio colle
sue truppe. Con ciò vennero meno al conte Francesco più di due mila dei
suoi cavalli, e molte schiere di fanteria, che andarono ad ingrossar
maggiormente l'esercito nemico. Poscia anche Cingoli si rendè ad
Alfonso, e il popolo d'Osimo, levato a rumore, ebbe forza di spogliare
_Giovanni da Tolentino_ ed _Antonio Trivulzio_ col presidio[2831].
Toscanella ed Acquapendente alzarono anch'esse le insegne della Chiesa.
In somma non passò gran tempo che tutta la Marca, a riserva di Fermo,
d'Ascoli e di Rocca Contrada, venne in potere del re e del Piccinino,
che ne prese il possesso a nome del papa. Sbrigato dalla Marca il re
Alfonso, nel dì 12 di settembre venne a mettere il campo alla città
di Fano, dove si trovava il _conte Francesco_ con gran gente; ma,
conosciuto che poco onore potea guadagnare sotto sì forte città,
nel dì 18 se ne tornò indietro, e portò le sue armi contro quella
di Fermo, alla cui difesa si trovava _Alessandro Sforza_ con buon
presidio. Fu in questa occasione che rimasero puniti dei lor tradimenti
_Pietro Brunoro_ e _Troilo_ cognato del conte Francesco[2832]. Furono
intercette, cioè fatte cadere in mano del re, lettere scritte loro
da esso Alessandro con ordine d'eseguire quanto era stato ordinato.
Confessa il Simonetta[2833], essere stato questo uno stratagemma del
medesimo conte Francesco, che scrisse al fratello di così operare,
per mettere in diffidenza presso il re que' due condottieri, dai
quali egli era stato tradito. E ne seguì l'effetto. Fu dunque
costantemente creduto che costoro con intelligenza del conte fossero
passati nella regale armata, per poi assassinare il re. E perciò il
re, messe in armi le sue truppe, li fece prendere amendue, e legati
gl'inviò a Napoli, e di là li mandò in una fortezza del regno di
Valenza, dove stettero per dieci anni. Secondo il Simonetta, furono
anche spogliate tutte le genti d'armi dei suddetti due; ma l'autore de'
Giornali Napoletani vuole che il re le prendesse tutte al suo soldo.
Nè è da tacere una curiosa particolarità, di cui non io, ma Cristoforo
da Costa negli Elogii delle donne illustri sarà mallevadore. Cioè che
Pietro Brunoro da Parma, trovata una fanciulla, per nome Bona, nativa
della Valtellina, di spirito non ordinario, seco la conduceva vestita
da uomo, con avvezzarla al mestier della guerra. Dappoichè Brunoro fu
messo prigione, ella andò a tutti i principi d'Italia e di Francia, e
ne portò lettere di raccomandazione al re Alfonso per la liberazione di
questo suo padrone, di maniera che egli uscì dalle carceri. Gli procurò
essa in oltre una condotta di milizie dai Veneziani coll'assegno
annuo di venti mila ducati; per li quali benefizii egli poi la sposò.
Militò ella finalmente col marito, fece di molte prodezze, e con esso
fu inviata contro i Turchi alla difesa di Negroponte. Quivi terminò i
suoi giorni Brunoro, ed ella, tornando in Italia nel 1466, per viaggio
ammalatasi, diede fine alla sua vita. Dopo avere il re Alfonso tentato
invano Ascoli, e preso Teramo e Civitella con altri luoghi, ch'erano
del conte Francesco, menò a quartiere le sue soldatesche nel regno di
Napoli.
 
Era intanto restato tra Pesaro e Rimini _Niccolò Piccinino_ insieme
con _Federigo conte_ d'Urbino, e con _Malatesta_ signor di Cesena, e
facea guerra or qua or là alle terre di Rimini, con ridursi in fine
a Monteloro. Intanto in soccorso del conte Francesco arrivarono il
_conte Guido Rangone, Simonetto, Taddeo marchese_ di Este ed altri
capitani con cavalleria e fanteria, spediti da' Veneziani e Fiorentini.
Con sì fatti rinforzi il valoroso conte, menando seco _Sigismondo
Malatesta_ signore di Rimini e genero suo (della cui fede si dubitò
non poco, allorchè il re Alfonso fu sotto a Fano), andò nel dì 8
di novembre insieme con _Alessandro_ suo fratello e con gli altri
capitani a trovare il _Piccinino_, e fu con lui alle mani, ancorchè il
vedesse postato in un sito assai difficile e vantaggioso. Per molte
ore durò l'atroce battaglia; e quantunque il Piccinino facesse delle
maraviglie, più ne fece il conte Francesco, con dargli una gran rotta,
prendere circa due mila cavalli, e tutto il ricchissimo bagaglio de'
nemici. Col favor della notte si salvò con pochi esso Piccinino a
Monte Ficardo, pieno di confusione e di dolore. Spese poi il conte
qualche tempo, per le importune istanze di Sigismondo Malatesta,
intorno a Pesaro, signoreggiato allora da _Galeazzo Malatesta_. Di
là passò nella Marca, dove trovò che il Piccinino avea rinforzato
di gente le principali città; e però, dopo aver ridotte alla sua
divozione alcune poche castella, se n'andò a Fermo, e quivi svernò con
parte delle sue milizie. Or mentre queste cose succedeano, e dacchè
vide _Filippo Maria_ duca di Milano che gli affari del genero suo,
cioè del conte Francesco, andavano alla peggio nella Marca, siccome
principe non mai fermo ne' suoi proponimenti, cominciò a pentirsi
delle sregolate o balorde sue risoluzioni, e a desiderare ch'egli
non perdesse il suo Stato. Perciò nel dì 8 di settembre spedì suoi
ambasciatori a Venezia[2834] per collegarsi con quella repubblica e
co' Fiorentini in favore del conte, e fece anche sapere al re Alfonso
di desistere dall'offenderlo. Si maravigliò forte il re di questa
inaspettata mutazion di volere del duca; inviò a lui ed anche a Venezia
ambasciatori; ma niuna grata risposta ne ricevette. Servirono questi
passi del duca, e il trattato di lega fra lui, Venezia e Firenze, a
fare[2835] ch'egli poi si ritirasse da Fano, e se ne tornasse nelle
sue contrade. Ed intanto nel dì 24 di settembre fu conchiusa la lega
suddetta in Venezia, in cui ancora entrò Sigismondo Malatesta signore
di Rimini. Elessero in quest'anno a dì 28 di gennaio[2836] i Genovesi
pacificamente per loro doge _Raffaello Adorno_, di famiglia altre volte
salita a quella dignità.
 
NOTE:
 
[2819] Hist. Senensis, tom. 20 Rer. Ital.
 
[2820] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[2821] Petroni, Hist., tom. 24 Rer. Ital.
 
[2822] Cronica di Ferrara, tom. eod.
 
[2823] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2824] Ammirati, Istor. di Firenze, lib. 22.
 
[2825] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[2826] Sanuto, Ist. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2827] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2828] Annal. Foroliv., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2829] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 6, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2830] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2831] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
 
[2832] Giornal. Napolet., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2833] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 6, tom. 21 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCCXLIV. Indiz. VII.
 
EUGENIO IV papa 14.
FEDERIGO III re de' Romani 5.
 
 
Trovandosi in Fermo _Bianca Visconte_ moglie del conte _Francesco
Sforza_, quivi nel dì 24 di gennaio diede alla luce un figliuolo[2837];
del qual parto fu immantenente spedita la nuova al duca di Milano,
padre di lei, per sapere qual nome si dovesse porre al nato figliuolo.
Gli fu posto quello di _Galeazzo Maria_. Fra le sue disavventure
ebbe almeno il conte Francesco questa consolazione. Ma, trovandosi
senza danari, spedì per ottenerne _Sigismondo Malatesta_ suo genero
a Venezia, e ne ricavò questi buona somma, e la maggior parte ancora
ne ritenne per sè a conto delle sue paghe. All'incontro _Niccolò
Piccinino_ fu ben rinforzato di gente e danaro dal _papa_ e dal _re
Alfonso_; laonde entrò in campagna per tempo, e cominciò le scorrerie
pel territorio di Fermo. Dall'altra parte anche le milizie del re
Alfonso ricominciarono la guerra. A Monte Milone si portò il Piccinino,
ed, avendo passato il fiume Potenza, fu quivi colto da Ciarpellione,
uno de' più valenti condottieri d'armi che si avesse il conte
Francesco, e ne riportò una buona pelata colla prigionia di molti de'
suoi. Si salvò egli miracolosamente, ritirandosi in una torricella, che
rimase intatta, per non avervi fatto mente Ciarpellione. Perchè poi gli
venne ordine dal duca di portarsi a Milano, e di fare intanto tregua
col conte Francesco, eseguì Niccolò il primo comandamento, ma non già
il secondo, avendoglielo impedito il legato del papa. Però, lasciato
il comando dell'armata a _Francesco Piccinino_ suo figliuolo, volò
in Lombardia. Trovossi intanto il conte Francesco in gravi angustie,
perchè Sigismondo Malatesta l'avea tradito con essersi messo in viaggio
colle sue truppe, per andare ad unirsi con lui, ma con aver poi trovati
de' pretesti per tornarsene a Rimini. Dall'altro canto, se Francesco
Piccinino univa la sua armata coll'aragonese, non vedea modo da poter
sostenere la città di Fermo contra di tante forze. Ora per impedir
siffatta unione con quella gente che avea, prese lo spediente di andare
a visitar esso Francesco Piccinino, che s'era ben postato a Monte
Olmo. Secondo il Simonetta, era il dì di venerdì 23 d'agosto, quando
gli fu a fronte, e colle schiere in battaglia l'assalì. Ma non battono
i conti secondo il calendario. Negli Annali di Forlì è scritto che fu
il dì 19 d'esso mese[2838], e lo stesso vien confermato dalla Cronica
di Rimini[2839], e dal Sanuto[2840], che per errore dice di maggio.
Nè di ciò si può dubitare, stante una lettera scritta nel medesimo
dì 19 d'agosto dal conte Francesco a Bologna, come s'ha dalla Cronica
d'essa città[2841]. In quel conflitto certo è che segni di gran valore
diede Francesco Piccinino colle sue squadre; ma egli combatteva con
un capitano che in fatti d'armi fu maraviglioso, nè sapea esser vinto.
Mentre si combatteva, _Alessandro Sforza_ occupò le tende e il bagaglio
de' nemici; poscia seguitò ad incalzarli dal suo canto; nel qual tempo
il conte Francesco suo fratello con eguale attenzion ed ardore facea lo
stesso dall'altro. In somma restò sbaragliato l'esercito di Francesco
Piccinino colla perdita di quasi tre mila cavalli, ed egli col
rifugiarsi in una palude cercò di salvarsi, ma da un suo fante tradito
fu condotto prigione al conte Francesco. Ebbero fatica a ridursi in
salvo _il cardinal Domenico Capranica_ legato del papa, e _Malatesta_ a
Cesena. Nel dì seguente Monte Olmo si rendè al conte Francesco, ed ivi
fu ritrovata gran copia d'uffiziali e soldati del Piccinino, che vi si
erano rifugiati con assai cavalli e robe preziose. Ciò fatto, marciò
il vittorioso Sforza a Macerata, e senza fatica se ne impossessò,
siccome ancora di San Severino. Cingoli volle aspettar la forza prima
di rendersi, e dopo otto giorni se gli sottomise con altri piccioli
luoghi. Intanto esso conte fece tentar di pace _papa Eugenio_, che si
trovava allora a Perugia, conturbato non poco per le di lui vittorie,
dopo aver fulminate le scomuniche nel precedente maggio contra di
lui e di Sigismondo Malatesta. Alle istanze del conte diedero maggior
polso gli ambasciatori di Venezia e Firenze, di maniera che l'accordo