Annali d'Italia 171
quei legati non erano cannoni, e però non fecero breccia alcuna nello
animo de' veneti vittoriosi, che si teneano ben cara un'estensione
sì rilevante della loro signoria. Fin qui era dimorato in Firenze il
romano pontefice, onorato e servito da tutti[2497]. Accadde, che quando
Braccio venne in quella città, alcuni suoi fautori attaccarono in
diversi canti delle strade alcuni versi in lode di Braccio e disprezzo
del papa. V'era fra le altre cose:
PAPA MARTINO NON VALE UN QUATTRINO.
E i ragazzi l'andavano cantando per le strade. Il papa, in vece di
sprezzare, come fanno i principi di animo grande, questi latrati
plebei, o di cercarne provvedimento proprio, talmente se ne indispettì,
che fin d'allora determinò di mutare stanza; e per quanto gli fosse poi
detto, non si potè tenere. Adunque nel dì 9 di settembre[2498] si partì
di Firenze con grande onore, e nel dì 20 fu in Siena. Di là passò a
Viterbo, e giunse nel dì 28 a Roma, dove nel dì 30 fece magnificamente
la sua entrata con plauso di tutto il popolo romano.
NOTE:
[2478] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2479] Ammirat., Istoria di Firenze, lib. 18. Campan., Vita Brachii.,
tom. 19 Rer. Ital. Cribellus, Vita Sfortiae, tom. eod.
[2480] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2481] Matthaeus de Griffonibus, Chron., tom. 18 Rer. Italic. Cronica
di Bologna, tom. eod.
[2482] Corio, Istoria di Milano.
[2483] Campanus, Vit. Brachii, tom. 19 Rer. Ital.
[2484] Cribell., Vit. Sfortiae, tom. 19 Rer. Ital.
[2485] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2486] Campanus, Vita Brachii, tom. 19 Rer. Ital.
[2487] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2488] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2489] Petrus Cyrnaeus, Histor. Corsic., tom. 24 Rer. Ital.
[2490] Cribell., Vit. Sfortiae, tom. 19 Rer. Ital.
[2491] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2492] Matth. de Griffon., Chron., tom. 18 Rer. Italic.
[2493] Billius, in Histor., tom. 19 Rer. Ital.
[2494] Sanuto, Ist. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2495] Diario Ferrarese, tom. 24 Rer. Ital.
[2496] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2497] Leonardus Aretinus, Hist., tom. 19 Rer. Ital.
[2498] Ammirati, Istor. Fiorentina, lib. 18.
Anno di CRISTO MCCCCXXI. Indiz. XIV.
MARTINO V papa 5.
SIGISMONDO re de' Romani 12.
Gran copia di aderenti avea _Lodovico III_ duca d'Angiò nel regno di
Napoli[2499]. Spezialmente prevaleva la sua autorità nella Calabria,
dove pendevano dai suoi cenni le città di Cosenza, Bisignano, Rossano,
Santa Severina, San Marco, Crotone, Policastro ed altre terre, al
governo delle quali inviò _Francesco_ figliuolo di _Sforza_. Non
erano molte le forze della _regina Giovanna_ e del _re Alfonso_ per
resistere a questo avversario, sostenuto dal papa e dall'invitto
Sforza. E quand'anche avessero potuto resistere, ne mancavano loro per
cacciarlo fuori del regno. Durante dunque il verno fra le maniere di
fortificare la lor fazione, fu creduta la migliore e più spedita di
chiamare in loro aiuto _Braccio_, la cui riputazion nel mestier delle
armi era celebre in questi tempi per tutta l'Italia. Pertanto gli
spedirono l'invito con ingorde promesse di ricompensa[2500]. Braccio,
dopo aver fatto il ritroso per maggiormente avvantaggiar le sue cose,
finalmente condiscese a condizione che la regina lo investisse e
metesse in possesso della città di Capoa e del suo principato, boccone
da principe; e che il creasse contestabile del regno[2501]. Tutto gli
fu accordato; e dacchè egli ebbe spedita gente a prendere il possesso
di Capoa, (benchè il Campano sembri credere ciò seguito più tardi)
tutto allegro cominciò a mettere in ordine e ad accrescere le sue
genti, colle quali in fine si inviò in persona alla volta del regno
di Napoli, avendo prima voluto sicurezza dalla regina di ducento mila
fiorini d'oro per pagare le truppe. Essa parte ne fece sborsare, parte
diede per mallevadori i mercatanti fiorentini[2502]. Mentre queste cose
si trattavano, il re Alfonso, nel mese di febbraio diede una scorsa
al suo regno di Sicilia, ch'egli non avea peranche veduto. Sbarcò
a Palermo, e poscia andò visitando Messina e le altre città di quel
fiorito regno: il che fatto, se ne tornò a Napoli per assistere alla
regina contro gli sforzi di Lodovico d'Angiò e di Sforza. Entrò ancora
nel regno colle sue forze il prode Braccio, e sulle prime s'impadronì
di Solmona, di Sangro e d'altre terre. Poscia speditamente marciò ad
Aversa per sorprender ivi, se potea, l'Angioino, sapendo che Sforza col
meglio dei suoi era lungi di là. Ma non gli andò fatta. Sforza corse
ad Aversa, ed, assicurata con buon presidio la città, rendè inutili i
disegni dell'avversario. In questi tempi _Jacopo Caldora_, uno di quei
baroni che avea prese l'armi contro la regina Giovanna, ed abbondava di
coraggio e di soldatesche, allorchè Sforza si credeva di avere in lui
il più fedel collegato, venne a scoprirsi di fede instabile, guadagnato
da Braccio, con cui unì in fine le forze sue: colpo che sconcertò non
poco gl'interessi di Lodovico d'Angiò e di Sforza. Braccio intanto
col Caldora se n'andò a Napoli, e vi giunse nel punto che anche il re
Alfonso con bella flotta e buon rinforzo d'armati nel dì 26 di giugno
sbarcò in quel porto. Incredibile fu in Napoli l'allegrezza per la
venuta di questi campioni, e favoritissimo fu l'accoglimento fatto a
Braccio dalla regina e dal re.
Attendeva in questi tempi _papa Martino V_, già restituito a Roma, a
dar sesto a quella città. Ma non sapeva egli digerire, che la _regina
Giovanna_, senza farne consapevole il romano pontefice suo sovrano,
non che senza chiederne il consenso, avesse adottato in figliuolo il
re _Alfonso_, la cui mente e potenza già gli facea paura. Molto più
si accese di sdegno allorchè vide _Braccio_ suo vassallo impugnar le
armi contra del duca d'Angiò da sè favorito, e cominciar la fabbrica
di maggiore ingrandimento, che potea essere un dì troppo pregiudiziale
agli Stati della Chiesa. In questi tempi venne il duca di Angiò
a Roma, per rappresentare al papa lo stato assai dubbioso, se non
anche pericoloso, de' suoi affari, e per chiedere aiuto. Gli diede il
pontefice quel rinforzo che potè di denaro; ed ordinò a _Tartaglia_,
che era al suo soldo, di andarsi ad unire a _Sforza_ con cinquecento
cavalli e qualche fanteria di sua condotta. Scrisse ancora un breve
nel dì 29 di giugno[2503] ai signori sì ecclesiastici che secolari del
regno di Napoli, comandando loro di non pagare alla regina i tributi,
e di non ubbidire ai di lei ministri; ma non tralasciò intanto di
procurare aggiustamento fra le parti[2504]. A questo fine inviò a
Napoli nel settembre i cardinali di Sant'Angelo e del Fiesco, che
trovarono l'osso troppo duro; e pare che se ne andassero senza aver
nulla fatto. Il bello era che ne' medesimi tempi cominciò la regina a
pentirsi di aver chiamato ed adottato il re Alfonso[2505], e per via di
Bernardo Arcamone cominciò a trattar segretamente con Lodovico d'Angiò
e Sforza: il che penetrato dal re Alfonso, gli diede un'incredibil
gelosia. Per questa dubbietà di animi nulla di riguardevole succedette
nel resto dell'anno fra le due nemiche armate, le quali, dopo
varii movimenti, saccheggi e scaramuccie, si ridussero ai quartieri
d'inverno. Si credeva ognuno di goder ivi la quiete[2506], quando
all'improvviso il re Alfonso e Braccio, per levarsi l'impaccio della
Cerra, luogo già occupato da Sforza, otto miglia lungi da Napoli, vi
andarono a mettere l'assedio, e cominciarono colle bombarde ed altre
macchine a bersagliar quella terra. Accorsovi Sforza con cinquecento
cavalli, vi spinse dentro Santoparente ed altri dei suoi bravi parenti
Cotignolesi con ottanta cavalli, i quali fecero tal difesa, che,
disperando il re di vincere la pugna, ascoltò volentieri proposizioni
d'accordo. Per onor suo fu ritrovato il ripiego che gli assediati
esponessero la bandiera del papa, per la cui riverenza il re mostrò
di ritirarsi. Scrive bensì il Campano[2507] che Cerra gli si rendè, ma
verisimilmente in ciò egli prese abbaglio. Soggiornando intanto il duca
d'Angiò e Sforza in Aversa, e trovandosi con esso loro _Tartaglia_,
antico nemico, e poco fa divenuto amico di Sforza, insorsero sospetti
di mala fede contro di lui, e che egli avesse tenuto intelligenza di un
tradimento con Braccio. Se fossero veri o falsi cotali sospetti, nol
saprei dire. Sappiamo di certo ch'egli fu preso, e posto ai tormenti,
nei quali dicono che confessò il delitto; laonde gli fu tagliata la
testa. Confessa il Campano che Braccio trattava male qualunque dei
soldati di Sforza che restasse prigioniere; regalava all'incontro
e rimandava quei di Tartaglia: stratagemma forse usato da lui per
metterlo in diffidenza col duca d'Angiò e con Sforza, siccome infatti
avvenne. Ma costò caro al duca, perchè la maggior parte de' soldati di
Tartaglia, credendo ucciso a torto il lor condottiere, a poco a poco
desertando, si andarono ad arrolare nel campo di Braccio.
Così andavano gli affari di Napoli; nel qual tempo _Filippo Maria_
duca di Milano andava stendendo le ali. La prima sua impresa nell'anno
presente fu contra di _Pandolfo Malatesta_ signore di Brescia. Già
molte castella di quel distretto erano in mano del duca, e il _conte
Carmagnola_ con oste poderosa si preparava a fare del resto. Però,
trovandosi troppo inferiore di forze il Malatesta, e stando come
bloccato e privo di vettovaglie, capitolò col duca la cessione di
quella potente città[2508] per trentaquattro mila fiorini d'oro, che
gli furono sborsati. Entrò in Brescia il vittorioso Carmagnola nel
dì 16 di marzo, e Pandolfo colla testa bassa se ne tornò a casa sua.
Aveano i maggiori del Visconte signoreggiata la città di Genova. A
Filippo Maria premeva di non essere da meno; e però in quest'anno si
diede più che mai a far pratiche per mettervi il piede; e soprattutto
l'animavano all'impresa i fuorusciti che erano ricorsi a lui. Tra
le speranze dategli da questi, e il trovarsi non pochi degli stessi
abitanti in Genova o per malevolenza o per invidia contrarii al governo
di _Tommaso da Campofregoso_, buona disposizione apparve per ottenere
l'intento. Ordinato dunque un convenevol esercito sotto il comando del
Carmagnola, venuta la state[2509], lo spedì nel Genovesato, premessa
la sfida contra del Campofregoso. Non tardò Albenga con altre terre a
rendersi. Passò dipoi l'armata sotto Genova, e ne formò da ogni parte
l'assedio; ed affinchè non le venisse soccorso per mare, condusse il
duca al suo soldo sette galee di Catalani[2510]. Il Campofregoso,
che per l'imminente bisogno nel dì 27 di giugno, col consenso de'
Genovesi, avea venduto Livorno ai Fiorentini per cento mila fiorini
d'oro, non omise diligenza per difendere il suo Stato. Armate ancora
sette galee, comandate da Batista suo fratello, le spedì incontro ai
Catalani. Ma venuti a battaglia questi legni, ne rimasero sconfitti i
Genovesi, e prigione lo stesso Batista: colpo che mise la falce alla
radice, e condusse Tommaso a trattar di composizione col Carmagnola,
e per mezzo suo col duca. Non ebbe difficoltà il duca di lasciare
al Campofregoso il dominio di Sarzana, purchè consegnasse Genova
alle sue mani, perchè col tempo non mancano ragioni o pretesti ai
conquistatori di ritorsi quello che per misericordia han lasciato
sul principio. Promise ancora il duca a Tommaso trenta mila fiorini
d'oro, e quindici mila a Spineta Campofregoso altro di lui fratello,
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