2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 155

Annali d'Italia 155



mise l'assedio allo stesso Rovigo. Il marchese, per far conoscere ai
Veneziani che contra del suo volere veniva fatta quell'irruzione, fu
necessitato a prender l'armi contra del suocero, tanto che il fece
sloggiar da quelle parti, ed eseguì puntualmente i patti della pace.
Era in questi tempi sommamente angustiato il territorio padovano
dalle armi venete, e nello stesso tempo un altro loro esercito con
_Francesco signore di Mantova_ tenea strettamente assediata Verona.
Essendo cresciuta a dismisura in quest'ultima città la fame, nel dì
22 di giugno si levò a rumore il popolo veronese, ed aprì la porta
del Vescovo al signore di Mantova e a Jacopo del Verme. Fu necessitato
_Jacopo da Carrara_ figliuolo del signor di Padova a ricoverarsi nella
fortezza di Castel Vecchio; ma non si credendo quivi sicuro, travestito
ne uscì per portarsi a Padova. Giunto a Cereta nel dì 26 di giugno,
e o per tradimento della guida, oppure perchè venne riconosciuto,
fu preso e condotto a Verona, e di là alle carceri di Venezia. Si
rendè col tempo la cittadella di Verona ai Veneziani, i quali intanto
spedirono a Padova _Galeazzo da Mantova_ con quelle genti d'armi che
non occorrevano più sul Veronese. _Paolo Savello_ lor generale, che
già avea occupati altri luoghi nel Padovano, ricevuto questo rinforzo,
spinse l'esercito suo fin sotto Padova, dandole molti assalti. A poco
a poco nel mese di agosto si renderono ai Veneziani le terre d'Este,
Montagnana ed altre, di modo che ogni dì più scemava il dominio di
Padova. Fece bensì _Francesco Terzo_ figliuolo di quel signore con
tutte le sue genti una sortita nel dì 21 d'esso mese addosso al campo
nemico, che vivea con troppa confidenza. Il macello della gente fu
grande, moltissimi i prigionieri, fra' quali lo stesso generale Paolo
Savello; ma, accorso Galeazzo da Mantova colle sue squadre, percosse i
vincitori sì fieramente, che ricuperò il Savello, e fece retrocedere
i Padovani con molta loro strage. Nel settembre Monselice, Legnago,
Cittadella, Castelbaldo ed altre castella vennero all'ubbidienza de'
Veneziani.
 
Tante disgrazie e il timore di peggio indussero finalmente Francesco
da Carrara a cercar pace dal senato veneto per mezzo di _Carlo Zeno_;
ed erano già come d'accordo ch'egli cedesse Padova, e ne ricevesse
sessanta mila fiorini d'oro, colla libertà d'andare ovunque gli
piacesse, e di asportare le suppellettili sue. Si pentì egli poco
dappoi, e si ostinò a giocar l'ultima carta, tradito dalle speranze
che gli davano i _Fiorentini_ e _Bucicaldo_ di soccorso; ma soccorso
che mai non venne, per le mutazioni seguite in Pisa, ed accennate di
sopra. Trovavasi allora la città di Padova sommamente afflitta dalla
fame, e più ancora dalla peste, la quale si fa conto che in quella
funesta congiuntura portasse al sepolcro ventotto mila persone. Però
quel popolo, anche per timore del sacco, sospirava ripiego a' suoi
guai. Gliel trovò un traditore capitano della porta di Santa Croce,
cioè Giovanni di Beltramino, il quale ordì un trattato con Galeazzo da
Mantova, rimasto comandante dell'esercito veneto, perchè Paolo Savello
avrà dato fine alla vita e al comando. Nella notte adunque precedente
al dì 17 di novembre, costui introdusse per le mura un corpo di
gente nemica, e, fatto giorno, Galeazzo entrò con più forze nel borgo
di Santa Croce. Si ritirò per questa improvvisata il Carrarese con
Francesco Terzo suo figliuolo nel castello, e tenne poi parlamento con
esso Galeazzo e coi provveditori veneti, di rendere loro esso castello
e la città con buoni patti, facendogli ognuno sperare buon trattamento
dal senato di Venezia. Ebbe salvocondotto per potere spedire a Venezia
ambasciatori, e li spedì, ma non poterono impetrare udienza. Andato
poi il Carrarese nel campo dei nemici col figliuolo, fu ivi tenuto a
bada, tanto che il popolo padovano, maneggiati i proprii interessi,
fece entrare nella città le bandiere di San Marco, e diede a' Veneziani
il possesso della città. Altrettanto fece Giacomo da Panego, con aprir
loro le porte del castello. Ora trovandosi l'infelice Carrarese in
mezzo a sì fiero naufragio, non sapea a qual partito appigliarsi,
se non che Galeazzo da Mantova il confortò e consigliò di passare a
Venezia per gittarsi a' piedi di quel senato, promettendogli perdono
e buoni effetti della benignità de' signori veneziani. Si portarono i
due Carresi colà in un ganzaruolo nel dì 30 di novembre, ed ammessi
all'udienza del _doge Michele Steno_, si prostrarono a' suoi piedi,
confessando la loro temerità, e addimandando misericordia e grazia.
Altra risposta non ebbero che rimproveri all'ingratitudine loro e
furono mandati nelle prigioni, dove era anche _Jacopo_ altro figliuolo
d'esso Francesco da Carrara, dove stettero sino al gennaio dell'anno
seguente nel continuo martirio della considerazione del precedente
felice loro stato, e dell'infelicissimo presente. Inclinava la
clemenza veneta a lasciar loro la vita; ma giunto a Venezia _Jacopo dal
Verme_, antico nemico della casa di Carrara, il quale dal servigio de'
Visconti era passato a quello de' Veneziani, aggiunse olio al fuoco,
ricordando a que' signori: _Che uomo morto non fa guerra_. Il perchè
nel consiglio dei dieci fu risoluta la lor morte, ed eseguita senza
dimora la sentenza contra di Francesco II padre nel dì 17 del suddetto
mese, che fu strangolato in prigione; nè gli mancarono peccati degni
dell'ira di Dio; e poscia nel dì 19 furono i suoi figliuoli _Francesco
III_ e _Jacopo_ tolti anch'essi di vita col laccio. Restarono altri due
figliuoli di Francesco II, cioè _Ubertino_ e _Marsilio_, da lui mandati
a Firenze, contra de' quali fu posta taglia. Il primo, infermatosi non
so di qual male in quella città, finì di vivere nel dì 7 di dicembre
del 1407. Marsilio, avendo nell'anno 1455 un trattato in Padova, si
portò a quella volta; ma scoperto nella villa di Carturo del territorio
padovano nel dì 17 di marzo[2265], preso e condotto a Venezia, lasciò
la testa sopra un palco nel dì 28 d'esso mese. Ed ecco dove andò a
terminare la tela degli ambiziosi disegni di Francesco Carrarese,
con ingrandimento notabile in terra ferma dell'inclita repubblica
di Venezia, che stese la sua signoria sopra le riguardevoli città di
Padova, Verona e Vicenza, ed anche sopra Feltro e Belluno, cedutele
dal duca di Milano, e collo sterminio della nobil casa da Carrara. Fu
un gran dire per tutta l'Italia del fine di questa tragedia. Occupate
poi le scritture del Carrarese, si scoprì che alcuni nobili veneti
il favorivano, e n'ebbero il dovuto gastigo. Lo stesso _Carlo Zeno_,
che pur tanto avea operato contra di lui, ebbe per questo non poche
vessazioni.
 
NOTE:
 
[2246] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
 
[2247] Raynaldus, Annal. Eccles. Antonii Petri Diar., tom. 24 Rer. Ital.
 
[2248] Leonardus Aretin., Hist. sui temp., tom. 19 Rer. Ital.
 
[2249] Vita Innocentii VII, P. II, tom. 3 Rer. Italic.
 
[2250] Leonardus Aretin., Hist. sui temp., tom. 19 Rer. Ital.
 
[2251] Theodoricus de Niem, Hist.
 
[2252] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2253] Sozomenus, Hist., tom. 16 Rer. Ital.
 
[2254] Antonii Petri Diar., tom. 24 Rer. Ital.
 
[2255] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[2256] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2257] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
 
[2258] S. Antonin., Par. III, tit. 22, cap. 4.
 
[2259] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
 
[2260] Ammirat., Istoria di Firenze, lib. 16. Bonincontrus, Annal.,
tom. 21 Rer. Ital. Sozomenus, Hist, tom. 16 Rer. Ital.
 
[2261] Gino Capponi, Istor., tom. 18 Rer. Ital.
 
[2262] Corio, Istoria di Milano.
 
[2263] Sozomenus, Istor., tom. 16 Rer. Ital.
 
[2264] Gatari, Istor. di Pad., tom. 17 Rer. Ital. Delayto, Annal., tom.
18 Rer. Ital. Redusius, Chron., tom. 19 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCCVI. Indizione XIV.
 
GREGORIO XII papa 1.
ROBERTO re de' Romani 7.
 
 
Benchè dopo la fuga di _papa Innocenzo VII_ da Roma quel popolo tenesse
il pieno possesso e dominio di quella città, pure la pazza discordia
quivi più che mai imperversava[2266]. Temevano inoltre dell'insaziabil
ambizione del _re Ladislao_, dal cui presidio era occupato castello
Sant'Angelo. Ma avendo _Paolo Orsino_ messe in rotta le genti d'esso
re, e restando accertati i Romani che il buon papa non solamente niuna
mano avea avuta nella crudel bestialità di _Lodovico_ suo nipote, ma
l'avea al maggior segno detestata, pentiti delle insolenze usate contra
del papa medesimo, il mandarono a chiamar da Viterbo. Senza farsi molto
pregare, nel dì 15 di marzo si trasferì il pontefice a Roma[2267],
ed incredibil onore gli fu fatto. Formò poscia processo contra del
re Ladislao siccome perturbatore di Roma e dello Stato ecclesiastico;
il dichiarò decaduto dal regno, e privato di ogni privilegio. Strinse
parimente d'assedio castello Sant'Angelo. Per le quali cose Ladislao
giudicò meglio di pacificare il papa con un accordo, ch'egli poi
pensava di non mantenere, e mediatore ne fu Paolo Orsino. In tal
congiuntura fu restituito ad esso pontefice il castello suddetto
nel dì 9 d'agosto con giubilo universal de' Romani, e Ladislao venne
creato gonfaloniere della Chiesa. Ma poco potè poi godere di questo
buono stato Innocenzo, perciocchè fu rapito dalla morte nel dì 6 di
novembre: pontefice da tutti commendato per la sua mansuetudine, per
l'abborrimento alla simonia, e desideroso di far del bene a tutti.
Solamente l'aver egli alzato l'immeritevol suo nipote _Lodovico de'
Migliorati_ al grado di marchese della marca d'Ancona, che noi vedremo
poi signor di Fermo, e il non aver data mano all'estinzion dello
scisma, sminuirono non poco la gloria del suo pontificato. Non mancò
chi sparse sospetti d'averlo fatto avvelenare il _cardinal Cossa_
per timore di perdere la legazion di Bologna[2268]. Ma in que' tempi
era suggetta a simili dicerie la morte di cadauno de' gran signori.
Radunatisi nel conclave quattordici cardinali che si trovavano allora
in Roma, per desiderio di riunir la Chiesa divisa, e per secondar le
istanze di molti re e principi, che faceano premura di levar quello
scandalo[2269], tutti a gara si obbligarono con giuramento e voto,
che chiunque fossa eletto papa, rinunzierebbe la dignità, qualunque
volta anche l'antipapa facesse altrettanto, per devenire unitamente
col partito contrario all'elezion d'un indubitato pontefice[2270]: con
altri bei capitoli e restrizion di tempo, tutto per ben della Chiesa.
Restò dunque eletto nel dì 30 di novembre Angelo Corrano, cardinale di
santa Maria, di patria Veneziano, già vescovo di Venezia, ed allora

댓글 없음: