Annali d'Italia 181
[2612] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2613] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2614] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2615] Raynaldus, Annal. Eccles. Vita Martini V, P. II. tom. 3 Rer.
Ital.
[2616] Vita Eugenii IV, tom. eod.
[2617] Billius, Hist., lib. 9, tom. 19 Rer. Italic.
[2618] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Italic.
[2619] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2620] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
[2621] Vita Eugenii IV, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2622] Blondus, Dec. 11, lib. 4.
[2623] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2624] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2625] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2626] Simonetta, Vit. Francisci Sfort., lib. 2, cap. 21 Rer. Ital.
[2627] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2628] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Billius, Hist., lib. 9,
tom. 19 Rer. Ital.
[2629] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 2, tom. 21 Rer. Ital.
[2630] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2631] Cronica di Bologna, ubi supra.
[2632] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2633] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 20. Histor. Senens., tom. 20
Rer. Ital.
[2634] Billius, Hist., lib. 9, tom. 19 Rer. Ital.
[2635] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 20.
[2636] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2637] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2638] Poggius, Histor., lib. 6, tom. 20 Rer. Ital.
[2639] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2640] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 2, tom. 21 Rer. Ital.
[2641] Corio, Istor. di Milano.
[2642] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2643] Billius, Histor., cap. 9, tom. 19 Rer. Ital.
[2644] Corio, Istor. di Milano. Muratorius, Comm. de Corona Ferrea.
[2645] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2646] Bonincont., Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2647] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXXII. Indiz. X.
EUGENIO IV papa 2.
SIGISMONDO re de' Romani 23.
Erasi già cominciato in Basilea il concilio generale, ed ogni dì più
andava crescendo il concorso de' Padri[2648]; ma poco stette _papa
Eugenio_ a pentirsi di averlo permesso in luogo, dove non poteva
egli quel che voleva, perchè que' Padri diedero per tempo a conoscere
voglia di limitare l'autorità del papa, e di attribuirsi una specie di
superiorità sopra di lui. Per questo il pontefice determinò di chiamare
a Bologna quel concilio, e ne mandò l'ordine al _cardinal Giuliano_
legato. Ma quei Padri, assistiti dal re dei Romani e da varii altri
potentati, furono di sentimento diverso, e vollero continuar le loro
sessioni in Basilea; dal che nacque dissensione fra essi e il papa.
Di più non ne dico, rimettendo il lettore in questo proposito alla
storia ecclesiastica e agli atti di quel concilio. Era calato, siccome
già accennai, il _re Sigismondo_ per portarsi anche a Roma a prendere
la corona imperiale; ma ritrovò anch'egli degli ostacoli a' suoi
disegni. Il papa, oltre all'essere Veneziano, cioè di nazione allora
nemica di _Filippo Maria_ duca di Milano, avea de' particolari motivi
di sdegno contra di lui, perchè o credea o sapea di certo che nella
guerra fattagli nell'anno precedente dai Colonnesi esso duca avea avuta
mano. E veggendo ora Sigismondo sì attaccato ad esso duca di Milano,
non sapea escludere i sospetti della di lui venuta a Roma. Incagliossi
per questo il viaggio di Sigismondo[2649], il quale da Milano passò
a Piacenza, e quindi a Parma, con far delle lunghe posate in quelle
città. Nè sussiste, come si pensò Benvenuto da San Giorgio, che egli
portatosi nel Monferrato, vi soggiornasse gran tempo. Andossene dipoi
a Lucca, menando seco ottocento cavalli ungheri e secento del duca
di Milano. Il Poggio[2650] gli dà due mila tra cavalieri e fanti di
suo seguito. Una delle maggiori premure di questo buon principe era
quella di quetare i rumori dell'Italia, e si era anche esibito con
calde lettere a trattar la pace fra il duca di Milano e i collegati
avversarii. Ma egli ritrovò molto sconcertate le cose in Toscana.
Militavano allora contra de' Fiorentini le milizie del duca suddetto
e dei Sanesi sotto il comando di _Alberico conte_ di Lugo[2651],
con cui erano _Bernardino dalla Carda_ degli Ubaldini, _Lodovico
Colonna_, _Antonio Petrucci_, _Ardizzon da Carrara_ ed altri capitani,
ma discordi fra loro. _Michele Attendolo_ da Cotignola generale
de' Fiorentini, e _Niccolò da Tolentino_ lor capitano seppero ben
profittare della lor disunione; imperocchè nel dì primo di giugno[2652]
venuti con loro alle mani, li sbaragliarono, e fecero prigionieri più
di mille cavalli. Io non so come tutto al rovescio è raccontato questo
fatto d'armi da Pietro Rosso nella Storia di Siena[2653]. Secondo lui,
vincitori furono i Sanesi, e Niccolò da Tolentino vi fu fatto prigione.
Comunque sia, nel giorno innanzi era giunto a Lucca Sigismondo, ed
ebbe il dispiacere d'intendere che quasi sotto i suoi occhi passarono
dopo quella vittoria i capitani de' Fiorentini a dare il guasto al
territorio lucchese. Ancorchè essi Fiorentini colle parole mostrassero
rispetto alla sacra di lui persona e dignità, pure coi fatti si
scoprivano suoi nemici, perchè egli era tenuto per parziale del duca di
Milano, e de' Sanesi e Lucchesi loro nemici. Andavano perciò meditando
d'impedirgli il passo alla volta di Siena. Ma mentre van consultando,
Sigismondo scortato dalle milizie sue, del duca e di Siena, si mise
in viaggio, e felicemente arrivò nel dì 11 di luglio ad essa città di
Siena, dove fu accolto con incredibil onore e magnificenza da quel
popolo, che l'aspettava a braccia aperte. Fermossi Sigismondo tutto
il resto dell'anno in quella città, perchè non s'accordavano le pive
del papa, con aggravio e doglianze non poche del popolo sanese, a
cui costava troppo la sì lunga visita di questo principe, trattando
egli intanto di pace, ed ascoltando gli ambasciatori de' Fiorentini,
ma senza cavarne alcun sugo. Altri avvenimenti di guerra spettanti a
quest'anno in Toscana riferisce il Rossi sopra mentovato nella Storia
di Siena, che non occorre rapportar nella mia.
Quanto alla guerra di Lombardia, incredibile strepito fece in Italia
ciò che in quest'anno accade al _conte Francesco Carmagnola_ generale
della veneta armata, il più accreditato capitano che si avesse allora
l'Italia, ma famoso ancora per la sua superbia, onde era probabilmente
proceduta anche la sua caduta dalla grazia del duca di Milano. Le
ommissioni da lui commesse negli infausti avvenimenti dell'armi venete
dell'anno precedente fecero nascere così gagliardi sospetti della
sua lealtà nell'animo di chi reggeva quella repubblica, che nel dì 8
d'aprile[2654] fu risoluto nel loro consiglio di levargli non solamente
il comando, ma, per maggior sicurezza, anche la vita. In questi tempi
era in Venezia ordinariamente una specie di reato il perdere una
battaglia, e gli sventurati capitani si doveano aspettare qualche
gastigo. Mandato a chiamare il Carmagnola che venisse a Venezia col
pretesto di voler udire il di lui parere intorno alla pace che se gli
rappresentava vicina, andò egli francamente colà, onorato per tutto il
cammino; ma vi trovò la prigione che l'aspettava. Fu messo ai tormenti,
cioè a quella crudele e dubbiosa via di ricavar la verità dei delitti;
e scrivono che egli in fine confessò il fallo della sua corrotta fede,
senza che si dica se avessero sicure pruove in mano per convincerlo di
questo reato. Può essere che le facessero. Il perchè collo sbadaglio in
bocca condotto fra le colonne della piazza di San Marco, quivi lasciò
egli miseramente la testa sopra un palco nel dì 5 di maggio[2655].
Grandi furono le dicerie per questo, credendo molti che non sarebbe
venuto a tal determinazione quel saggio senato senza buone ragioni; ed
altri, che per soli sospetti e per paura di sua possanza si sbrigassero
di questo eccellente capitano; e pretendendo altri che almeno meritasse
di finir la sua vita in una prigione chi avea prestato sì rilevanti
servigi a quella signoria. Di sua morte al certo pare che avesse
occasione di rallegrarsi non poco il duca di Milano, per veder tolto
a sè un sì pericoloso nemico, e a' Veneziani un capitano sì prode.
Fu poscia eletto generale dell'esercito _Gian-Francesco da Gonzaga_
signore di Mantova, il quale nell'anno presente collo sborso di dodici
mila fiorini d'oro conseguì dal re de' Romani il titolo di marchese di
Mantova. Giunto questo nuovo generale all'esercito della repubblica,
vi trovò cavalli nove mila e secento, fanti otto mila, balestrieri
ottocento, cernide sei mila, ed infiniti partigiani; ma niuna rilevante
impresa fece egli in tutto quest'anno, fuorchè la presa di Soncino e
d'alcune picciole terre. Nè dal canto del duca di Milano s'udì veruna
bravura, eccettochè una vittoria riportata da _Niccolò Piccinino_ in
Valtellina, provincia spettante in addietro ad esso duca, ed occupata
allora dall'armi venete. Vi era _Giorgio Cornaro_ provveditore della
repubblica con grosso corpo di gente. Colà portatosi il Piccinino
attaccò la mischia, ma fu costretto a ritirarsi[2656]. Vi tornò con
intelligenza de' Ghibellini, ed, assaliti i Veneti, li sconfisse con
tal fortuna, che pochi ne scamparono, e vi restarono presi lo stesso
Cornaro provveditore, _Taddeo marchese_ d'Este, _Taliano Furiano,
Cesare da Martinengo_ e molti altri condottieri d'armi. Il rumore
di tal vittoria andò crescendo per via di sì fatta maniera, che
l'autore della Cronica di Ferrara[2657] ebbe a scrivere, aver in essa
i Veneziani perduto tra morti e prigioni circa nove mila persone.
Anche l'Ammirati[2658] fa ascendere il danno loro a tre mila cavalli e
quattro mila fanti. Fu anche guerra in Val Camonica, la quale, secondo
il Sanuto, venne in potere de' Veneziani, scrivendo all'incontro
l'autore degli Annali di Forlì[2659] che vi furono presi e morti
dalle genti del duca di Milano moltissimi de' nemici. Se crediamo al
medesimo Sanuto, _Gian-Giacomo marchese_ di Monferrato, già spogliato
de' suoi Stati dal duca, fu in quest'anno rimesso in sua grazia colla
restituzione di quanto avea perduto. All'interposizione di _Sigismondo
re_ dei Romani venne attribuita questa concordia. Ma ciò non sussiste,
ed è da vedere il Guichenon[2660], che mostra tal restituzione
effettuala solamente in vigor della pace, di cui parleremo all'anno
seguente, e con varie difficoltà ancora in contrario nell'esecuzione della medesima.
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