Annali d'Italia 192
riserva di Tropea e di Reggio di Calabria, tutto il regno venne alla
divozione del re Alfonso, principe liberale verso gli amici, clemente
verso i nemici, e che facea buona giustizia ad ognuno. Ebbe anche le
due fortezze di Castello Nuovo e castello Sant'Ermo, de' quali il re
Renato volle piuttosto fare mercato con Alfonso, che difenderli senza
frutto alcuno.
Il papa, stato in addietro sì saldo contra del re Alfonso, dacchè il
vide cotanto esaltato, cominciò ad addolcirsi con lui, e forse fin
d'allora si diede ad intavolar seco un segreto trattato per abbattere
il conte Francesco Sforza, e spogliarlo della marca d'Ancona[2810].
Non si ricordava egli più dei servigi a lui prestati da questo insigne
capitano di guerra, nè delle investiture a lui date, e confermate
nell'anno presente, non credendosi tenuto ad osservar patti stabiliti
in danno della Chiesa romana, dovendo valer solamente ciò che le è
di utile. Trovò che il conte avea prese alcune terre della stessa
Chiesa non comprese nella sua investitura. Era anche mal soddisfatto
di lui, e con ragione, se è vero ciò che porta Neri Capponi[2811];
perchè nella pace non gli avea fatto immediatamente restituir Bologna,
detenuta dal Piccinino, benchè ciò si dovesse effettuar solamente due
anni appresso. Ed intanto il Piccinino non era tenuto reo, anzi era
a' servigi del medesimo papa. Per attestato del Poggio[2812], avea
fatto lo Sforza il suo dovere per fargli restituire Bologna, ma il
duca non volle. Pubblicò dunque il papa sul principio di agosto una
bolla contra di _Francesco Sforza_, dichiarandolo privato del grado di
gonfalonier della Chiesa, ribello e nemico. Dispiacque ciò forte ai
Fiorentini e Veneziani, che proteggevano il conte, e i primi diedero
anche ordine a _Bernardo de Medici_ di metter pace fra esso conte e
il Piccinino[2813]: il che si effettuò, con essersi veduti insieme
ed abbracciati di nuovo questi due valorosi guerrieri. Ma che? non
passò molto che il Piccinino occupò al conte la terra ossia città di
Tolentino, e tornò alle ostilità. Il Medici di nuovo s'interpose, e
racconciò gli affari; ma per poco tempo, perchè appena lo Sforza si
fu mosso per passare nel regno contra del re Alfonso, con dare un
fiero sacco a Ripa Transona, che il Piccinino alle istanze dei legati
del papa gli tolse Gualdo, ed imprese dipoi l'assedio della città
d'Assisi. Alla difesa vi fu inviato dal conte con della fanteria
_Alessandro Sforza_ suo fratello, ma indarno[2814]. L'avventura o
disavventura stessa che dianzi provò Napoli, tornò a vedersi sotto
Assisi. Cioè per un acquedotto, insegnatogli da un frate, il Piccinino
una notte introdusse entro quella città un migliaio di fanti, colle
spalle de' quali anche il resto delle sue genti v'entrò nel dì 30
di novembre[2815]. Fu posta a sacco tutta l'infelice città, nè si
lasciò indietro iniquità che non fosse commessa, senza neppure portare
rispetto alcuno al venerabil tempio di San Francesco. Gran discredito
venne a Niccolò Piccinino per questa barbarie, aggiunta all'aver
due volte rotti i patti e giuramenti della pace fatta col conte.
Ne' medesimi tempi il re Alfonso finì di prendere tutte le terre
spettanti nel regno ad esso conte, e furono, secondo l'asserzione del
Simonetta[2816], Ariano, Manfredonia, Troia e Monte Sant'Angelo. Mandò
bensì il conte Francesco uno de' suoi primi uffiziali, cioè _Troilo_,
al re, per trattar d'accordo; ma Alfonso l'andò menando a spasso con
belle parole, senza mai voler conchiudere cosa alcuna; anzi indusse
con vantaggiose promesse Troilo stesso ad abbandonare il servigio del
conte: il che, siccome vedremo, fu eseguito a suo tempo. Intanto, se
crediamo al Sanuto[2817], nel dì 16 d'ottobre fu conchiusa una lega fra
esso re Alfonso, il duca di Milano e Niccolò Piccinino contro la lega
de' Veneziani, Fiorentini e conte Francesco. Fin qui avea _Tommaso da
Campofregoso_ doge di Genova lodevolmente governata quella città[2818];
ma essendo mancato di vita in quest'anno _Batista_ suo fratello, ch'era
il suo principale appoggio, ed avendo i Genovesi per loro nemici il re
Alfonso e il duca di Milano, si manipolò una congiura contra di questo
doge. _Gian Antonio del Fiesco_, che n'era il capo, entrò nella città
con una frotta d'armati nella notte precedente al dì 18 di dicembre, e
mosse a rumore il popolo. Fatto giorno, perchè Tommaso non si sentiva
voglia di cedere, fu dato l'assalto al palazzo ducale, in maniera
ch'esso doge si rifugiò nella torre dello Orologio, e si diede poscia
a Raffaello Adorno. Furono creati gli anziani e capitani del popolo pel
governo della città, la quale tornò ben tosto alla quiete primiera.
NOTE:
[2803] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 6, tom. 21 Rer. Ital.
[2804] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2805] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2806] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Italic.
[2807] Giornal. Napol., tom. 22 Rer. Ital. Istor. Napoletana, tom. 23
Rer. Ital. Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2808] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2809] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 6, tom. 21 Rer. Ital.
[2810] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2811] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
[2812] Poggius, Hist., lib. 6.
[2813] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 22.
[2814] Blondus, Dec. IV, lib. 1.
[2815] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2816] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, tom. 21 Rer. Ital.
[2817] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2818] Giustiniani, Istoria di Genova, lib. 5.
Anno di CRISTO MCCCCXLIII. Indiz. VI.
EUGENIO IV papa 13.
FEDERIGO III re de' Romani 4.
Perchè _papa Eugenio_ avea trasferito a Roma il concilio, ed inoltre
perchè colla fervente voglia di riacquistare la marca d'Ancona,
conoscea che non potea andare d'accordo co' Fiorentini, impegnati in
favore del conte _Francesco Sforza_, determinò di lasciar Firenze per
passare a Roma[2819]. Misesi dunque in viaggio nel dì 7 di marzo,
e giunse nel dì seguente a Siena, dove immensi onori ricevette da
quel popolo. Fermossi in quella città sino al dì 5 di settembre,
nel qual tempo venne a tributargli il suo ossequio Niccolò Piccinino
gonfaloniere della Chiesa, a cui fu fatto un magnifico incontro. Stando
quivi Eugenio, cominciò (seppure non avea cominciato molto prima)
a tener pratica di pace e di lega col _re Alfonso_, per valersi del
braccio di lui a cacciar dalla Marca Francesco Sforza. Era Alfonso
esperto trafficante ne' suoi politici affari. Nel medesimo tempo avea
tenuto trattato col conte Francesco e col Piccinino suo avversario,
e finalmente conchiuse con chi più vantaggio gli promettea, cioè col
Piccinino. Similmente, nel mentre che maneggiava concordia con papa
Eugenio, facea di grandi esibizioni all'_antipapa Felice_, ossia ad
Amedeo, e al concilio di Costanza, affin di ottenere l'investitura del
regno di Napoli per sè e per _don Ferdinando_ suo figliuol bastardo,
già dichiarato duca di Calabria. Molto ancora a lui prometteva sì di
privilegii come di danaro il suddetto Amedeo. Così facea finezze e
paura nello stesso tempo non meno al papa che all'antipapa. Finalmente
il pontefice Eugenio, dopo aver fatto il ritroso un pezzo, si acconciò
con Alfonso, e gli accordò tutto quanto egli seppe dimandare, purchè
egli impiegasse le forze sue per liberar la Marca dalle mani del conte
Francesco. Nel dì 14 di giugno da _Lodovico patriarca_ d'Aquileia e
cardinale furono sottoscritti a nome del papa gli articoli di quella
concordia, rapportati con altri atti dal Rinaldi[2820]. Partito poi da
Siena il papa, arrivò felicemente a Roma nel dì 28 di settembre[2821],
e nel dì 13 di ottobre diede principio nel Laterano al concilio.
_Guidantonio conte_ di Montefeltro e d'Urbino venne a morte nell'anno
presente nel dì 21 di febbraio, e gli succedette, secondo la Cronica di
Ferrara[2822], nel dominio il conte _Antonio_ suo figliuolo, oppure,
secondo gli Annali di Forlì[2823], _Taddeo_ parimente chiamato suo
figlio. _Oddo Antonio_ egli è appellato, e credo con più fondamento,
dall'Ammirati[2824] e da altri. Grande novità succedette quest'anno
in Bologna[2825]. Nel precedente era venuto in quella città _Francesco
Piccinino_ per governarla a nome di Niccolò suo padre. Essendo infermo,
si fece portare a castello San Giovanni, ed accompagnare da _Annibale
Bentivoglio_ e da _Gasparo_ ed _Achille dei Malvezzi_. Giunto là,
fece prendere questi tre nobili bolognesi, e mandò Annibale nella
rocca di Varano su quel di Parma, Achille nella rocca di Mompiano sul
Genovesato, e Gasparo nella rocca di Pellegrino nel Piacentino. Per
quante premure facessero i Bolognesi presso il duca di Milano e presso
Niccolò Piccinino per la liberazione di questi loro concittadini,
altro non ne riportarono che belle parole e promesse. Si mossero perciò
segretamente da Bologna due valorosi giovani, cioè _Galeazzo_ e _Taddeo
de' Marescotti_ con tre altri amici d'Annibale Bentivoglio per cercare
le vie di liberarlo. Giunti alla rocca di Varano, ebbero tal industria
e fortuna, che una notte scalarono il muro, e misero le mani addosso
al castellano e al suo famiglio; sicchè, entrati nella prigione,
e limati i ceppi di Annibale, poterono poi nella notte seguente
fuggirsene, menando seco il castellano, finchè furono in salvo. Vennero
a Spilamberto sul Modenese, dove dal _conte Gherardo Rangone_ ebbero
consiglio ed aiuto; e, mandato innanzi l'avviso della lor venuta nel dì
5 di giugno[2826], nella seguente notte furono dai loro amici tirati
su per le mura con delle corde. Poscia senza perdere tempo, raunati
i lor partigiani, e facendo sonare campana a martello a San Giacomo,
col popolo in armi corsero furiosamente al palazzo del pubblico, dove
abitava Francesco Piccinino, che indarno fece resistenza colle sue
genti d'armi. Entrarono nel palazzo, vi fu preso il medesimo Piccinino
colla sua brigata; e diedesi subito principio all'assedio del castello
di Galiera, che teneva in freno la città.
Accadde che in quel tempo passava il _conte Lodovico del Verme_ pel
Bolognese, incamminato alla volta della Marca con molta gente a cavallo
e a piedi, per unirsi a _Niccolò Piccinino_. Per questa novità egli si
fermò, ed unito con _Guidantonio de' Manfredi_ signor di Faenza, tenne
saldo, e presidiò molte castella del Bolognese, e cominciò guerra colla
città. Non tardarono i Bolognesi a spedir messi a Venezia e Firenze per
soccorso, e nel dì 6 di luglio fecero lega con quelle due repubbliche.
In loro aiuto furono spediti da Venezia il _conte Tiberto Brandolino_
da Forlì e il _conte Guido Rangone_ da Modena, valenti capitani di
questi tempi, con mille cavalli e ducento fanti. Anche i Fiorentini
v'inviarono _Simonetto da Castello di Piero_ con ottocento cavalli e
ducento pedoni. Nel dì 14 d'agosto venuto a Bologna l'avviso che il
conte Lodovico del Verme s'era levato dalla Riccardina per passare alla
Pieve e a San Giovanni con tre mila cavalli; _Annibale de' Bentivogli_,
messi in armi i Bolognesi, andò a trovarlo a Ponte Polledrano, e con
tal furia l'assalì, che, dopo breve combattimento, il mise in rotta.
Vi rimasero presi da due mila cavalli, undici capi di squadra e tutto
il carriaggio. La miglior arma che adoperarono il Verme e gli altri
capitani furono gli speroni. Per questa importante vittoria tornarono
alla divozion di Bologna tutte le terre e castella di quel distretto;
e nel dì 21 si rendè la cittadella di Galiera, a spianar la quale
immediatamente si accinse il popolo. Fu cambiato _Francesco Piccinino_
con _Gasparo_ ed _Achille Malvezzi_ condotti dalle rocche dove erano
prigioni. Così tornò in sua libertà la città di Bologna. Grandi poi
furono in questo anno le applicazioni del papa e del re Alfonso per
togliere la marca d'Ancona al _conte Francesco_[2827]. Era già entrato
esso re in Napoli su carro trionfale nel dì 26 di febbraio, precedendo
tutta la fiorita nobiltà di quel regno. Andato da lì a qualche
tempo _Niccolò Piccinino_ a Terracina, oppure a Gaeta, a trovarlo,
fu ricevuto con gran distinzione, ed onorato col cognome della casa
d'Aragona (avea già quello della casa de' Visconti), e con lui concertò
l'impresa della Marca. Aveva il conte Francesco presa e saccheggiata
Santa Natolia nel territorio di Camerino, e ricuperato Tolentino;
ed allorchè s'avvide del nembo che gli soprastava dalla parte del re
d'Aragona e di Napoli, cominciò a sollecitare gli aiuti de' Veneziani e
Fiorentini, che tardarono di troppo. Intanto il re, fatta da tutte le
parti gran massa di gente d'armi, venne nel mese d'agosto in persona
verso Norcia, ed andò ad unirsi con Niccolò Piccinino, il quale,
assediando la terra di Visso nell'Umbria, la costrinse alla resa. Se
vogliamo prestar fede agli Annali di Forlì[2828], ascendeva l'armata
del re e del Piccinino a trenta mila tra cavalli e fanti. Forze da
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