2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 195

Annali d'Italia 195


le forti istanze di Sigismondo, comparvero dipoi in suo aiuto _Taliano
Furlano, Malatesta_ signor di Cesena ed altri capitani con ischiere
numerose di cavalleria e fanteria, che seco si unirono. Finalmente
anche il papa e il re Alfonso mandarono le lor genti nella Marca per
impadronirsene affatto. In mezzo a questi due fuochi si trovava il
conte, e con forze troppo disuguali. Tuttavia, conoscendo in maggior
pericolo la Marca, lasciata parte delle sue milizie sotto il comando di
_Federigo conte d'Urbino_, coll'altra marciò colà; e all'arrivo suo si
ritirarono tosto _Lodovico patriarca_ di Aquileia cardinale legato del
papa, e _Giovanni da Ventimiglia_ generale del re Alfonso. Ed eccoti
arrivare in essa Marca anche _Taliano_, creato generale dal duca di
Milano, con _Sigismondo Malatesta_, con _Malatesta_ signor di Cesena
ed altri capitani, che cominciò a strignere dall'una parte lo Sforza,
e cercava le vie di unirsi dall'altra alle soldatesche del papa e del
re. Intanto nel dì 15 d'ottobre Rocca Contrada, una delle migliori
fortezze che si avesse il conte in quelle contrade, ribellatasi, venne
in mano di Sigismondo, ossia del pontefice. Il perchè, peggiorando
ogni dì più gl'interessi del conte, prese questi il partito di salvar
la gente con ridursi di nuovo a Pesaro, dove avea lasciata Bianca
Visconte sua moglie. Raccomandate adunque ad _Alessandro_ suo fratello
le città di Fermo e di Jesi, che restavano a lui ubbidienti, sen venne
sul territorio d'Urbino, da dove col conte Federigo fece guerra a
Sigismondo Malatesta, togliendo a lui alcune castella. Ma nel dì 26 di
novembre il popolo di Fermo, avendo prese l'armi, ne cacciò il presidio
del conte, e si sottomise alle armi del papa; e da lì a qualche
tempo si rendè loro anche la rocca appellata il Girofalco venduta da
Alessandro Sforza, per non poterla sostenere. Sicchè la sola città di
Jesi restò in potere del conte, con essersi perdute tutte le altre
terre. Nel dì 12 di marzo di quest'anno passò all'altra vita[2861]
_Gian-Giacomo marchese_ di Monferrato, e i suoi Stati pervennero al
marchese _Giovanni_ suo primogenito. Un altro suo figliuolo appellato
_Guglielmo_, condottier d'armi in questi tempi, era al servigio del
duca di Milano.
 
NOTE:
 
[2850] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
 
[2851] Giustiniani, Istor. di Genova. Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer.
Ital.
 
[2852] Simonetta, Vita Francisci Sfortiae, lib. 6, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2853] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
 
[2854] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital. Cronica di Ferrara, tom.
24 Rer. Ital.
 
[2855] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[2856] Annales Placentini, tom. 20 Rer. Ital.
 
[2857] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
 
[2858] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 8, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2859] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2860] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
 
[2861] Benvenuto da S. Giorgio, Istor. del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCCXLVI. Indiz. IX.
 
EUGENIO IV papa 16.
FEDERIGO III re de' Romani 7.
 
 
Fulminò di nuovo in quest'anno nei mesi di aprile e di luglio le
scomuniche _papa Eugenio_ contra del conte _Francesco Sforza_ e di
tutti i suoi seguaci[2862]. E per vendicarsi de' Fiorentini, che colla
profusione di molto danaro cagione erano che esso conte non andasse
a gambe levate, intavolò un trattato col re Alfonso per muoverlo
contra di loro, siccome poi fece nell'anno seguente. Intanto il conte
era confortato da _Cosimo de Medici_, e da alcuni cardinali e baroni
romani a marciare alla volta di Roma coll'armi sue, perchè avrebbe
facilmente indotto per forza il pontefice ad un buon accordo[2863].
Gli promettevano ancora la ribellione di Todi, Narni e di Orvieto,
con altri aderenti. Ma egli pensò a mettersi in viaggio, ed ancorchè
si movesse sul fine di maggio per passare colà, ed arrivasse fino
a Montefiascone e a Viterbo, pure per mancanza di vettovaglie, e
perchè Todi ed Orvieto non corrisposero alle speranze dategli, gli
convenne tornare indietro. Intanto il papa si provvide di gente, avendo
chiamato in suo aiuto un corpo di quelle del _re Alfonso_, e _Taliano
Furlano_ ed altri condottieri, ch'erano nella Marca. Queste truppe
dipoi, tornato che fu indietro il conte Francesco, se ne andarono
addosso ad Ancona, città che dianzi avea fatta lega co' Veneziani,
per non venir nelle mani del papa, e la costrinsero a sottomettersi.
Passarono di poi alla terra della Pergola, dove era guarnigione di
_Federigo conte_ d'Urbino, e in pochi giorni l'ebbero ubbidiente ai
loro voleri. Andarono poscia a postarsi solamente circa cinque miglia
lungi dal campo, in cui colle poche sue truppe si era fortificato il
conte Francesco su quel di Fossombrone. Trovavasi allora in Pesaro
il conte _Alessandro Sforza_ fratello del conte Francesco, e signore
di quella città[2864], e, veggendosi cinto da ogni intorno dalle
armi nemiche, giudicò meglio, nel dì 25 di luglio, di venire ad un
accordo col _cardinale Lodovico_ legato del papa: risoluzione, di cui
sommamente il conte Francesco si dolse, come di fiera ingratitudine,
dacchè egli col suo proprio danaro avea acquistata quella città al
fratello. Ma Alessandro si scusò colla necessità, assicurando il
conte della sua non interrotta fedeltà ed amore: in segno di che mandò
Bianca Visconte di lui moglie ad Urbino, contuttochè se gli opponesse
non poco il cardinale. Fu ridotto in questi tempi così alle strette
il conte Francesco Sforza, che si vide forzato a ritirarsi fino alle
mura d'Urbino, mancandogli forze da poter fermare i progressi delle
armi pontificie e duchesche, che gran guasto davano a quel territorio,
e presero varie terre. Non contento _Filippo Maria_ duca di Milano
della guerra ch'egli facea nello Stato della Chiesa contra del conte
Francesco suo genero, si lasciò così trasportare dalla pazza passione,
che, credendo venuto il tempo di potergli anche togliere Cremona[2865],
quantunque città a lui ceduta con titolo di dote, si mise in punto per
eseguir questa impresa. Era ciò espressamente contro i capitoli della
pace fatta co' Veneziani e Fiorentini: non importa; sopra ogni altra
riflessione andava lo sregolato empito dell'odio suo. Però, messo
in piedi un esercito di cinque mila cavalli e mille fanti sotto il
comando di _Francesco Piccinino_ e di _Luigi del Verme_, lo spedì, sul
principio di maggio, contro Cremona, di cui _Orlando Pallavicino_ gli
avea fatto sperar l'acquisto per una segreta cloaca. Impiegò questa
gente alquanto tempo in prendere Soncino ed altre terre del Cremonese:
nel qual mentre i Veneziani, veduta rotta la pace dal non mai quieto
duca, ebbero tempo di potere spignere qualche soccorso d'armati in
Cremona. Arrivato colà il Piccinino, vi trovò, più di quel che credeva,
gente disposta alla difesa; laonde si accampò intorno ad essa città,
sperando di costringerla colla fame alla resa. In questo tempo i
Veneziani, giacchè con un'ambasciata non aveano potuto rimuovere il
duca da questo disegno, ordinarono a _Michele Attendolo_ da Cotignola,
lor generale, di mettere insieme tutta l'armata, e di marciar contro
ai ducheschi. Avea inoltre spedito il duca, per voglia di togliere
anche Pontremoli al conte suo genero, _Luigi da San Severino_ e _Pietro
Maria Rossi_; ma altro non poterono far questi, che mettere a sacco il
paese, perchè i Fiorentini, coll'inviare per tempo a quella terra un
rinforzo di milizie, la salvarono. Ridotto a tali termini stava intanto
il _conte Francesco_ nel territorio d'Urbino, quando avvenne novità che
il fece assai respirare.
 
_Guglielmo_ fratello di _Giovanni marchese_ di Monferrato dimorava
in Castelfranco del Bolognese con _Alberto Pio da Carpi_, e con una
brigata di quattrocento cavalli e di cento fanti in servigio del
duca di Milano[2866]. Perchè passavano fra lui e _Carlo Gonzaga_
de' disgusti a motivo di precedenza, si lasciò egli guadagnare
dalle proferte di più lucrosa condotta che gli fecero i Veneziani
e Bolognesi, e se l'intese con _Taddeo marchese_ e con _Tiberio
Brandolino_ capitani de' primi. Perciò nella notte del dì 5 di luglio
diede la tenuta di Castelfranco ai Bolognesi, ed unito con essi e
co' Veneziani nel dì seguente cavalcò a San Giovanni in Persiceto,
nella cui rocca egli teneva presidio, mentre nella terra alloggiava
Carlo da Gonzaga con un grosso corpo di gente duchesca. Venuto
alle mani con esso Gonzaga, lo sconfisse, e mise a saccomano tutta
quella gente di armi, e prese anche la terra: per la qual vittoria
tornarono poco appresso all'ubbidienza di Bologna quasi tutte le
altre castella e terre di quel distretto. Parimente avvenne che i
Fiorentini fecero largo partito a _Taliano Furlano_ generale del duca
di Milano contra di Francesco Sforza, offerendogli il generalato
dell'esercito loro[2867]. Fosse accidente, o un tiro malizioso di
essi Fiorentini, si riseppe il trattato, nè ci volle di più, perchè
Taliano, d'ordine del duca e del cardinale legato, fosse preso nel
mese d'agosto, e condotto a Rocca Contrada, dove gli fu recisa la
testa. Pel medesimo motivo ebbe dipoi mozzato il capo anche _Jacopo da
Gaibana_, altro condottiere d'armi. Nacquero forti sospetti al duca di
Milano che anche _Bartolomeo Coleone_ suo condottier d'armi tenesse
delle intelligenze co' Veneziani; e furono questi cagione ch'egli
venisse preso ed inviato nelle carceri di Monza. Sì fatti accidenti
sconcertarono alquanto i felici andamenti dell'armata pontificia e
duchesca, la quale intanto faceva alla peggio nel territorio d'Urbino.
Unironsi poi colla armata veneta le genti d'armi di _Taddeo marchese
d'Este_, di _Tiberto Brandolino_ e di _Guglielmo_ di Monferrato[2868];
ed allora fu che _Michele_ da Cotignola generale dei Veneziani marciò
contro l'armata duchesca accampala intorno a Cremona. Fece questo
esercito non solamente ritornar molte terre alla divozione del conte
Francesco, ma anche ritirare _Francesco Piccinino_ dall'assedio di
Cremona, con portarsi a Casalmaggiore, dove fece fabbricare un Ponte
sul Po per aver viveri e strame dal Parmigiano. Era ivi nel fiume un
mezzano ossia un'isola, dove la di lui armata si stese, e fortificossi
con bastioni e bombarde. Ora Micheletto Attendolo colle sue genti
arrivò colà con pensiero di dar loro la mala Pasqua. Il Simonetta
scrive che ciò avvenne _tertio kalendas octobris_, cioè nel dì 29
di settembre. L'autore degli Annali di Forlì[2869], nel dì primo di
ottobre. Ma Cristoforo da Soldo[2870] e le Croniche di Rimini[2871]
e di Bologna[2872], e il Rivalta negli Annali di Piacenza[2873] ci
danno quel fatto di armi nel dì 28 di settembre. Non potendo le genti
venete penetrare i trincieramenti fatti alla testa del ponte, trovarono
per avventura non essere tanto alta l'acqua del Po, che non potessero
arrivare al mezzano suddetto, dove, come in una città, si erano fatti
forti i ducheschi. A quella volta dunque animosamente s'inviò la
cavalleria veneta con fanti in groppa per l'acqua che arrivava sino
alle selle dei cavalli, ed attaccarono la mischia con tal bravura,
che misero in poco d'ora i nemici in iscompiglio. Se ne fuggirono i
capitani ducheschi di là dal Po; ma perchè non v'era se non il ponte,
per cui potesse salvarsi la sconfitta gente, e questo ancora, per paura
d'essere inseguiti, fu rotto d'ordine di essi capitani; però la maggior
parte di que' soldati rimase prigioniera colla perdita di tutto il
bagaglio, munizioni e carriaggi, che fu d'immenso valore. Scrive Marino
Sanuto[2874] che in sua parte toccarono a Micheletto generale cavalli
ottocento, a Guglielmo di Monferrato cento, a Taddeo marchese secento,
a Gentile figliuolo di Gattamelata ottocento, a Tiberio Brandolino
quattrocento, a Guido Rangone quattrocento, a Cristoforo da Tolentino
e ad altri altra parte, di maniera che più di quattro mila cavalli
vennero alle lor mani. Gran festa si fece per così segnalata vittoria
in Venezia e per tutte le terre della repubblica.
 
Or questa gran percossa fece rientrare in sè stesso il poco saggio
duca di Milano, che nel dì 5 d'ottobre spedì per un suo messo segreta
lettera alla repubblica veneta chiedendo pace, ed esibendosi pronto
a cedere tutto quanto egli avea preso nel Cremonese colla giunta di
Crema. Tardò poco a comprendere, essere bensì in mano d'ognuno il
cominciare una guerra, ma non essere poi così il finirla. I Veneziani,
che avevano il vento in poppa, e ben conosceano la debolezza, a cui
era ridotto il duca, sprezzata ogni proposizione d'accordo, ordinarono
al loro generale di proseguire innanzi. Pertanto egli, dopo aver
ricuperato Soncino, Caravaggio e tutte le castella del Cremonese,
passò il fiume Adda, e ruppe di nuovo nel dì 6 di novembre[2875]

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