2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 185

Annali d'Italia 185



Questa insigne vittoria di mare animò _Francesco Spinola_ ed _Ottolino
Zoppo_, che pel duca di Milano difendeano Gaeta, a tentare anch'essi
la lor fortuna; ed usciti colle lor genti contra degli assedianti,
vi diedero dentro, e li misero in rotta: con che restò interamente
libera quella città. Ciò fatto, i vittoriosi Genovesi, bruciate le
navi prese, e ritenuti i soli gran signori, fecero vela alla volta
di Genova, senza volersi mettere ad altra impresa. Colà giunti, ed
informato _Filippo Maria duca_ di Milano di quel prospero avvenimento,
volle che si conducessero a Milano tutti i prigioni. Ossia che i
consigli del _Piccinino_ od altri motivi politici avessero forza
nell'animo del duca; oppure che il re Alfonso, principe di mirabil
senno ed eloquenza, sapesse ben valersi della sua lingua e delle
sue proferte in tal congiuntura, certo è che il duca il trattò come
amico, e magnificamente l'alloggiò; e, fatta lega con lui, da lì
a poco tempo il rimise in libertà con tutti i suoi. Portata questa
nuova a Genova, se ne alterò sì forte quel popolo tra per l'odio loro
a' Catalani, e per vedere sì miseramente perduto il frutto della lor
vittoria, giacchè senza alcun riscatto, senza alcun vantaggioso patto
per loro fu rilasciato Alfonso con tanta baronia, che fin d'allora
cominciò a macchinar la risoluzione di sottrarsi al dominio del duca,
di cui peraltro erano malsoddisfatti, perchè loro non avea mantenuti
i patti[2714]. Pertanto, nel dì 12 di dicembre, prese le armi, e
gridando: _Viva la libertà_, si sollevarono, ed uccisero _Obizzino_
ossia _Pacino da Alzate_ ossia _Alciato_, governator della città, e
scossero affatto il giogo duchesco. Questo guadagno fece colla sua
generosità il duca di Milano. Aveano intanto i Napoletani[2715] spediti
messi per chiamare a Napoli _Renato d'Angiò_ conte di Provenza, a cui
diedero il titolo di re. Ma accadde ch'egli era stato fatto prigione
in una battaglia da _Filippo duca_ di Borgogna; nè potendo venire,
spedì la _regina Isabella_ sua moglie, erede del ducato di Lorena e
principessa di gran saviezza, con _Luigi_ suo secondogenito, chiamato
principe di Piemonte. Venne essa; fu ricevuta con onore in Gaeta, e
molto più in Napoli; ed avuta ubbidienza da molte altre città, spedì
_Micheletto Attendolo_ col figliuolo _Luigi_ in Calabria, provincia
che in breve fu ridotta alla divozione di lei. Ma _don Pietro_ infante,
avuto ordine dal _re Alfonso_ suo fratello, dopo la sua liberazione, di
venirlo a prendere, passando con undici galee davanti a Gaeta nel dì di
Natale, e saputo che per la peste vi era restata poca guarnigione, se
ne impadronì; e fermatosi quivi, inviò i legni a levare il fratello.
Nè si dee tacere[2716] che il _patriarca Vitellesco_, trovandosi nel
dì 31 d'agosto a campo contra del _prefetto_ a Vetralla, l'ebbe per
tradimento in mano, e gli fece tosto mozzare il capo nella piazza di
Soriano. Continuava intanto il concilio di Basilea, col consenso bensì
del papa, ma non senza quotidiani disgusti del medesimo pontefice, che
specialmente s'ebbe a male nell'anno presente che que' Padri avessero
abolite le annate de' benefizii, pretendendo essi che puzzassero di
simonia, e data con ciò una fiera stoccata all'erario pontificio, il
popolo di Fabriano si sollevò in questo anno[2717] contro a _Tommaso
Chiavelli_ tiranno della lor città, e dopo fatto un orrido macello di
lui e di tutta la sua famiglia, si diedero al conte _Francesco Sforza_,
che vi mise presidio.
 
NOTE:
 
[2705] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[2706] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[2707] Blondus, Dec. II, lib. 7.
 
[2708] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
 
[2709] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2710] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2711] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2712] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
 
[2713] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, tom. 21 Rer. Ital. Petroni,
Istor., tom. 24 Rer. Ital.
 
[2714] Corio, Istoria di Milano.
 
[2715] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCCXXXVI. Indiz. XIV.
 
EUGENIO IV papa 6.
SIGISMONDO imperadore 4.
 
 
Fin qui avea _papa Eugenio_ tenuta la sua residenza in Firenze,
onorato e rispettato da quel popolo, a cui non poco tornava il conto
d'aver presso di sè la corte pontificia. I Romani, all'incontro, che
dopo la fuga del medesimo papa, oltre al provare un cattivo governo,
miravano crescere ogni di più la lor povertà[2718], perchè privi delle
rugiade papali, gli spedirono nel gennaio di quest'anno ambasciatori,
pregandolo con tutta la sommessione a ritornarsene alla sua sede. Ma
il pontefice, troppo ricordevole del recente affronto a lui fatto, li
mandò in pace senza volerli consolare. All'incontro, considerando più
convenevole alla sua dignità l'abitare in una città propria, che in
casa altrui, prese la risoluzione di trasferirsi a Bologna. Si mosse
dunque da Firenze nel dì 18 d'aprile[2719], e nel dì 22 fece la sua
solenne entrata in essa città di Bologna. Qualche dissapore poi dovette
insorgere fra esso pontefice e il conte _Francesco Sforza_, il quale
colle sue genti era in Romagna. Per ordine del medesimo Eugenio[2720]
avea questi fatto l'assedio di Forlì, e costretto _Antonio degli
Ordelaffi_ a dimettere quella città, che tornò all'ubbidienza
pontificia nel dì 24 di luglio. Perciò andavano tutte le cose a seconda
dei desiderii d'Eugenio, se non che gli stava sul cuore la marca
d'Ancona posseduta da esso conte, e cominciò a pentirsi d'avergliene
conceduto il vicariato. Questo fu creduto il motivo per cui si diede
a cercar da lì innanzi le vie di abbatterlo. Fece in questo mentre
guerra ai conti di Cunio, e, tolta loro la nobil terra di Lugo, la
donò a _Lionello_ figliuolo di _Niccolò Estense_ marchese di Ferrara.
Baldassare da Offida podestà di Bologna, uomo scelleratissimo, fu
il suo generale oppur commessario a tale impresa; nè il conte vi
fu invitato. Solamente egli vi mandò parte delle sue truppe senza
poi poterle riavere. Se l'intendeva costui con _Niccolò Piccinino_,
generale del duca di Milano, emulo, anzi nemico del conte, il quale si
trovava allora a Parma con gran gente, sollecitandolo affinchè venisse
contra del medesimo conte. Andava allora anche il papa d'accordo col
duca di Milano. Nè questo gli bastò. Avendo saputo che esso conte
dimorava senza sospetto e guardie a Ponte Polledrano, perchè gli
erano ignoti i pensieri del papa, si mise in procinto di sorprenderlo
quivi, e di farlo prigione nel dì 24 di settembre[2721]. Fu per buona
ventura segretamente avvisato il conte da _Niccolò cardinale_ di
Capoa di quel che si tramava contra di lui; nè tardò a muoversi di
là, e a deludere il disegno di chi gli volea male. Ma intercette poi
lettere dell'Offida al Piccinino, tendenti alla propria rovina, senza
potersi più contenere, segretamente messe in marcia le sue truppe,
gli fu all'improvviso addosso, lo sconfisse, e spogliò quanti erano
con lui. Se ne fuggì l'Offida a Budria; ma, colà portatosi il conte,
l'ebbe nelle mani, e il mandò poi prigione nel girone di Fermo, dove
lo scellerato fece quel fine che avea meritata la sua vita. Non mancò
_papa Eugenio_ di mandar persone al conte per certificarlo che senza
sua contezza l'Offida gli avea tramute quelle insidie; ma Francesco
credette quello che a lui parve.
 
Per la perdita di Genova non si sapea dar pace _Filippo Maria duca_
di Milano[2722]. Subito che la stagion lo permise, spedì _Niccolò
Piccinino_ a quella volta coll'armata, sperando di ricuperar la città,
giacchè si sosteneva tuttavia in mano delle sue genti il Castelletto.
Ma Niccolò non giunse a tempo; il Castelletto assediato, e con più
assalti tentato dal popolo di Genova, prima ch'egli giugnesse, capitolò
la resa, con che svanirono tutte le speranze del duca. Voltò il
Piccinino le armi contro la riviera d'occidente, con saccheggiar tutto
il paese; assediò la città d'Albenga, ma non gli riuscì di mettervi
dentro i piedi. In questo mentre i Genovesi aveano creato loro doge
_Isnardo Guarco_, che non durò se non sette giorni in quella dignità,
perchè _Tommaso da Campofregoso_ il cacciò di sedia, e si fece di nuovo
proclamar doge. Entrarono poscia i Genovesi in lega co' Veneziani e
Fiorentini. Veduto che ebbe _Niccolò Piccinino_ che nulla di sodo si
potea conquistare nel Genovesato, passò, d'ordine del duca, in Toscana,
giacchè i fuorusciti di Firenze con lusinghiere speranze gli faceano
credere sicuri molti vantaggi. Ma non dormivano i Fiorentini[2723].
Presero essi al loro soldo, e con titolo di generale, il conte
_Francesco Sforza_, il quale non tardò a comparire colà colle sue
soldatesche, e andò a postarsi a Santa Gonda per impedire il passaggio
dell'Arno al Piccinino, arrivato sul Lucchese. Niun tentativo fu
fatto da esso Piccinino, eccettochè contro la terra di Barga, che egli
assediò durante il verno. Ma avendo i Fiorentini dato ordine al conte
Francesco di darle soccorso[2724], egli spedì colà _Niccolò da Pisa_,
_Pietro Brunoro_ e _Ciarpellione_ con due mila e cinquecento uomini,
che nel dì 8 di febbraio dell'anno seguente misero in rotta Piccinino,
e fra gli altri fecero prigione _Lodovico Gonzaga_, figliuolo di
_Gian-Francesco marchese_ di Mantova, il qual poscia volle militare
sotto le bandiere sforzesche. Imbarcatosi intanto il _re Alfonso_ nelle
galee speditegli da _don Pietro_ suo fratello, con esse giunse nel dì
2 di febbraio a Gaeta[2725]. Quivi s'andò disponendo per far guerra
nel regno. _Jacopo Caldora_ duca di Bari era il solo, in cui avessero
speranza i Napoletani. Ma costui, avvezzo a pensare più a' proprii che
agli altrui vantaggi, ito in Abbruzzo per raunar gente, sì fattamente
disgustò quei popoli, che Sulmona, Cività di Penna ed altre terre
alzarono le insegne del re di Aragona. Tornò poi Sulmona all'ubbidienza
del _re Renato_, e Cività di Penna presa dal Caldora fu messa a sacco.
Portò esso Caldora la guerra dipoi in Puglia contro del principe di
Taranto, con assediar Barletta e Venosa, ma senza profitto. _Menicuccio
dall'Aquila_, che avea preso soldo nell'esercito del re d'Aragona,
prese Pescara: lo che fu cagione che anche la città di Chieti si
ribellasse; e, quantunque il Caldora mettesse il campo a questa città,
pure altro non potè fare che saccheggiar il paese d'intorno. _Giovanni
dei Vitelleschi_ patriarca di Alessandria in questi tempi, dimentico
della cherica, la facea da generale d'armata pel sommo pontefice.
Essendochè i Colonnesi e Savelli inquietavano forte Roma[2726], portò
loro addosso nel mese di marzo la guerra, con prendere e disfare
Savello, Albano ed altre loro terre. Assediò Palestrina; nè di quella
sola s'impadronì, ma anche di Zagarolo, e d'altre terre di _Lorenzo
Colonna_, costringendolo a ricoverarsi a Terracina. Quel che è più,
il _conte Antonio da Pontadera_, condottier d'armi, che teneva in
ischiavitù la Campagna di Roma, nel dì 15 di maggio restò dalle genti
d'esso patriarca sbaragliato e preso. Fu condotto a Piperno, dove,
per ordine del patriarca, gli fu mozzato il capo. Queste prodezze del
Vitellesco, e molte altre terre da lui prese e saccomanate, tuttochè
non molto convenevoli a persona di chiesa, pure portarono la pace e
quiete a Roma, e ai suoi contorni; di modo che, essendo egli andato a
Roma nel dì 29 d'agosto, dal popolo romano fu ricevuto come in trionfo,
e gli furono anche donati mille e ducento fiorini in una coppa d'oro.
Per questo andò crescendo la di lui superbia, con divenir non di meno
maggiore la sua crudeltà.
 
NOTE:
 
[2716] Petroni, Istoria, tom. 24 Rer. Ital.
 
[2717] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2718] Petroni, Istor., ubi supra.
 
[2719] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[2720] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2721] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Cronica di Rimini, tom.
15 Rer. Ital.
 
[2722] Giustiniani, Istor. di Genova.
 
[2723] Ammirat., Istoria di Firenze, lib. 20.
 
[2724] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
Corio, Istor. di Milano.
 
[2725] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.

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