Annali d'Italia 183
rivolse l'armi contra di lui, e, dopo la presa di Tivoli, cominciò ad
infestare la stessa Roma. In grandi angustie ed affanni era per tali
movimenti il pontefice. Rimasta in questi tempi libera dalle guerre
esterne la repubblica fiorentina, ne soffrì un'interna[2679]. _Rinaldo
degli Albizi_ con altri potenti, voglioso di abbattere la fazione di
_Cosimo de' Medici_, il più ricco e saggio di que' cittadini, tanto
fece, che _Bernardo de' Guadagni_ gonfalonier di giustizia, chiamato a
palazzo esso Cosimo, il trattenne prigione. Fu in pericolo la vita di
lui. Tuttavia andò a finir la tempesta in relegar lui per dieci anni a
Padova, Lorenzo suo fratello per due anni a Venezia, e gli altri Medici
in altre città. Fermossi, come già dicemmo, _Alfonso re_ d'Aragona ad
Ischia colla sua flotta, aspettando mutazioni a sè favorevoli nella
corte della regina di Napoli[2680]. Ridusse intanto alla sua divozione
_Jacopo duca_ di Sessa; ma questo servì appunto a rovinare gl'interessi
suoi[2681]; perciocchè _Gabella Ruffa_ duchessa di Sessa, da cui,
siccome favorita della regina, dovea venire il buon vento, essendo
nemica del duca suo marito, voltato mantello, impiegò tutti i suoi
uffizii contra d'Alfonso. Egli dunque trovando deluse le sue speranze,
fatta una tregua di dieci anni colla regina, se ne tornò schernito in
Sicilia. Nel mese di dicembre[2682] _Antonio degli Ordelaffi,_ chiamato
dal popolo, entrò in Forlì, e se ne fece signore, con iscacciarne la
guarnigion pontificia. E _Sigismondo Malatesta_ signore di Rimini,
unito con _Malatesta_ suo fratello, occupò la città di Cervia.
NOTE:
[2665] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2666] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2667] Sanuto, Istor. Ven., tom. eod.
[2668] Corio, Istoria di Milano.
[2669] Benvenuto da S. Giorgio, Istoria del Monferrato, tom. 23 Rer.
Ital.
[2670] Guichenon, Histoire de la Maison de Savoye, tom. 1.
[2671] Leonardus Aretin., Hist., tom. 19 Rer. Ital.
[2672] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2673] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
[2674] Corio, Istoria di Milano.
[2675] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Ital.
[2676] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2677] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2678] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
[2679] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 20.
[2680] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
[2681] Bonincontrus, Annal., tom. eod.
[2682] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Annales Foroliv., tom. 22
Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXXIV. Indiz. XII.
EUGENIO IV papa 4.
SIGISMONDO imperadore 2.
Crebbero in quest'anno gli affanni di _papa Eugenio_[2683]. Dall'un
canto l'affliggevano i Padri del concilio di Basilea, che insuperbiti
faceano di mani e di piedi per abbassare l'autorità del papa, e far
conoscere superiore ad essa quella del concilio generale. Andò tanto
innanzi la briga, che Eugenio, colla mira di schivare uno scisma,
contro sua voglia cedette ad alcune pretensioni di quei Padri: il
che diede poi motivi a molte dispute fra i teologi. Dall'altra parte
cresceva la persecuzione fatta agli Stati della Chiesa dal conte
_Francesco Sforza_[2684]. Coll'acquisto della Marca avea questi
rallegrata non poco ed accresciuta la sua armata, e però durante
il verno passò nell'Umbria, con occupar Todi, Amelia, Toscanella,
Otricoli, Mogliano, Soriano ed altre terre. Atterrito da questo fiero
temporale il papa, altro mezzo non seppe trovare per quetarlo, che
quello di trattare un accordo[2685]. Spedì pertanto allo Sforza il suo
segretario _Biondo da Forlì_, storico rinomato; e la conchiusione del
trattato fu, che Eugenio concedette al conte Francesco in vicariato,
sua vita natural durante, la marca d'Ancona, nel dì 25 di marzo; e per
maggiormente impegnarlo alla propria difesa, il creò gonfaloniere della
Chiesa romana. Si accinse in fatti lo Sforza a sostenere gl'interessi
del papa; e perchè _Niccolò Fortebraccio_ tenea stretta Roma, inviò
due mila cavalli sotto il comando di _Lorenzo Attendolo_ e di _Leone
Sforza_ suo proprio fratello in soccorso a _Micheletto Attendolo_,
generale in questi tempi del papa. Andarono queste genti all'assedio di
Tivoli, dove s'era fortificato il Fortebraccio, il quale da lì a non
molto attaccò una battaglia, e n'ebbe la peggio. Portossi lo stesso
conte Francesco all'assedio di Montefiascone, e l'avrebbe astretto
alla resa, qualora _Filippo Maria Visconte_ non avesse imbrogliate le
scritture. S'ebbe questi forte a male che il conte Francesco avesse
abbracciato contro la sua mente il partito del papa. Per quanto dunque
fu creduto, ricorse ad un altro ripiego a fin di salvare le apparenze,
e di far del male, secondochè sospirava, all'odiato pontefice. Cioè
operò che i Perugini, ossia che avessero, oppure che fingessero d'aver
paura del conte Francesco Sforza, chiamassero in loro aiuto _Niccolò
Piccinino_ lor concittadino[2686], il quale, mostrando di voler
trasferirsi per bisogno di sua sanità ai bagni di Petriuolo, ottenne
da' Fiorentini il passaggio di secento cavalli, ed altri cinquecento
ne fece marciare per la Romagna. Giunto che fu il Piccinino, correndo
il mese di maggio, in quelle parti, arrestò i disegni dello Sforza, e
cominciò a camminar d'intelligenza con Niccolò Fortebraccio, il quale,
ricevuto un rinforzo di gente da Viterbo, più che mai si diede ad
inquietare ed angustiare i Romani. Ordiva egli nello stesso tempo delle
trame co' Ghibellini di quell'augusta città, di modo che, sollevatosi
il popolo romano nel dì 29 del mese suddetto, ed attizzato spezialmente
da' Colonnesi[2687], andò furiosamente a lamentarsi al papa delle
vessazioni che lor conveniva di sofferire pel suo mal governo, e a far
istanza che egli concedesse loro il reggimento temporale della città.
Tanto il duca di Milano, quanto il concilio di Basilea fu creduto che
segretamente soffiassero in questo fuoco. Andò tanto innanzi l'ardire
de' Romani, che non solamente fecero prigione _Francesco Condolmieri
cardinale_, e nipote d'esso papa, ma anche misero le guardie al palazzo
del pontefice medesimo, abitante allora a' Santi Apostoli, ritenendolo
anch'esso come prigioniere[2688]. Ebbe la fortuna papa Eugenio nel dì
18 di maggio di potersene fuggire travestito con due soli compagni da
monaco Benedettino, ossia de' minori osservanti, e di potersi imbarcare
in uno schifo, oppur brigantino. Accortisi di sua fuga i Romani, il
perseguitarono e balestrarono molto per le rive del Tevere; ma volle
Dio che sano e salvo egli pervenisse ad una galea che l'aspettava in
mare di là da Ostia[2689]. Adagiatosi in essa pervenne egli nel dì 12
di giugno a Livorno, da dove passò poi a Firenze nel dì 25, accolto con
grande onore da quel popolo.
Restò dunque Roma in potere di _Niccolò Fortebraccio_, ma con poco
gusto di que' cittadini[2690]; imperocchè dall'una parte _Micheletto_ e
_Lorenzo_ da Cotignola con _Leone Sforza_, e dall'altra il castellano
di Sant'Angelo li tormentarono sì fattamente con saccheggi e morti,
che cominciarono dopo alcun mese a desiderare e a parlar d'accordo.
Pertanto nel dì 26 d'ottobre _Giovanni de' Vitelleschi_ Vescovo di
Recanati e il vescovo di Turpia[2691] ripigliarono, di consenso de'
Romani, il possesso e dominio di Roma a nome del papa. Furono assai
vicine in questi tempi l'armata del conte _Francesco Sforza_ unito
con _Micheletto Attendolo_ dall'una parte, e dall'altra quella di
_Niccolò Piccinino_ congiunto con _Niccolò Fortebraccio_, a venire
alle mani fra loro[2692]; e succederono anche molti movimenti delle
lor armi; ma, interpostisi gli ambasciatori del duca di Milano, seguì
fra loro una specie di concordia, per cui si obbligò il Piccinino di
non impacciarsi nelle cose di Roma. Mentre da quella parte erano sotto
il peso dell'armi gli Stati della Chiesa, si accese un altro incendio
in Romagna[2693]. Nel dì 21 di gennaio, essendosi sollevato il popolo
minuto d'Imola, tolse quella città alle genti del papa, e chiamò colà
le milizie del duca di Milano, che stanziavano a Lugo: il che diede
motivo a _Guidantonio dei Manfredi_ signor di Faenza di far guerra a
quella città, e di occupar quasi tutte le castella del di lei contado.
Per questa novità non meno i Veneziani che i Fiorentini, spinti
massimamente dalle istanze del papa, strepitarono forte, lamentandosi
che l'incontentabil duca di Milano avea chiaramente contravvenuto
ai capitoli dell'ultima pace. E perchè anche in Bologna vi erano dei
cattivi umori per cagion della fazione allora dominante dei Canedoli,
spedirono i Veneziani sul territorio bolognese _Gattamelata_ lor
capitano con mille lancie, acciocchè tenesse l'occhio addosso a
Bologna, intendendosi col governatore di quella città, che era allora
il vescovo d'Avignone. Gattamelata senz'altre cerimonie s'impadronì
di Castelfranco, di Manzolino e della rocca di San Giovanni in
Persiceto; ed, essendo capitato nel dì 13 di giugno ad essa terra di
San Giovanni Gasparo fratello di Batista da Canedolo con cinquecento
cavalli, venendo dai servigi della repubblica veneta, il Gattamelata
il fece prigione con tutta quella gente. Si sollevarono per questo
i Canedoli in Bologna; e, dopo aver preso il governator pontifizio,
introdussero in città ducento cavalli del duca di Milano. Trattossi
poi d'accordo cogli ambasciatori del papa; ma perchè non fu rilasciato
Gasparo di Canedolo, non ebbe effetto il trattato. Intanto nuova gente
venne da Venezia a Gattamelata sul Bolognese e in Romagna, che occupò
Castel Bolognese, Castello San Pietro ed altri luoghi. I Fiorentini vi
spedirono anch'essi _Niccolò da Tolentino_ colle lor soldatesche; e nel
medesimo tempo il duca di Milano, oltre all'avervi inviata gente dal
canto suo, richiamò anche _Niccolò Piccinino_ colle sue squadre dalle
terre del Patrimonio[2694]. Venne il Piccinino a postarsi ad Imola,
e dopo varii piccioli fatti, nel dì 28 di agosto, siccome capitano
accortissimo e maestro di guerra, avendo con falsi assalti tirata
di qua da un ponte fra Imola a Castel Bolognese parte dell'esercito
collegato de' Veneziani co' capitani stessi; e fatto da' suoi occupare
quel medesimo ponte, non durò gran fatica a sbaragliar questo corpo.
Dopo di che marciò di là dal ponte, e sconfisse il resto dell'armata
nemica. Segnalatissima fu questa vittoria, minutamente descritta
dall'Ammirati[2695], perchè il campo dei Veneziani e Fiorentini era
composto di sei mila cavalli e tre mila fanti; e, secondo la Cronica
di Bologna[2696], fu creduto che appena ne scampassero mille cavalli,
restando gli altri prigionieri; e fra questi ultimi si contarono[2697]
lo stesso Niccolò da Tolentino generale de' Fiorentini, che morì poi, o
fu fatto morire, _Pietro Gian Paolo degli Orsini, Astorre de' Manfredi_
di Faenza, _Cesare da Martinengo_, ed altri condottieri d'armi. Ebbero
la fortuna di salvarsi _Gattamelata, Guidantonio de' Manfredi_ signor
di Faenza e _Taddeo marchese_. Spese poscia il Piccinino i due seguenti
mesi in liberar da' nemici varie castella del Bolognese.
In Firenze nel dì 26 di settembre gran tumulto fece quel popolo[2698],
e fu richiamato dall'esilio _Cosimo de Medici_ con altri confinati. E
perocchè la rotta data dal Piccinino in Romagna avea di molto esaltato
il duca di Milano[2699], i Fiorentini cercarono di condurre al servigio
loro e della lega il conte _Francesco Sforza_, già divenuto marchese
della marca d'Ancona. Questi si trovava allora di stanza a Todi, e,
quantunque gli stessero davanti agli occhi i vantaggi che sperava dal
duca di Milano coll'accasamento di _Bianca_ di lui figliuola, pure,
considerando che il Piccinino gli andava avanti nella grazia del duca,
e che a lui, e non a sè, verrebbe raccomandato il comando dell'armata,
antepose all'incertezza delle speranze dell'avvenire la certezza
dei presenti vantaggi: e tanto più perchè gli premeva di conservare
l'acquistato dominio della Marca, di tenersi amico il papa co'
Fiorentini, e di conservare il grado di gonfalonier della Chiesa[2700].
Pertanto si acconciò al servigio loro con ottocento cavalli e
cinquecento fanti. Il Simonetta[2701] parla di tre mila cavalli e di
mille fanti, e che ad esso conte Francesco fu promesso il generalato
dell'armata de' collegati. Da molto tempo signoreggiava la famiglia de'
_Varani_ in Camerino. Per opera di _Giovanni de Vitelleschi_ da Corneto
vescovo di Recanati, e poi patriarca d'Alessandria, personaggio che per
la sua superbia e crudeltà sfregiò di molto il pastorale e la mitra,
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