2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 162

Annali d'Italia 162


Malatesta_ signore di Brescia, ma senza apparir sulle prime se fosse
guerra vera o da burla.
 
NOTE:
 
[2348] Histor. Sicula, tom. 24 Rer. Ital.
 
[2349] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2350] Matth. de Griffon., Chron., tom. 18 Rerum Italic.
 
[2351] Antonii Petri Diar., tom. 24 Rer. Ital.
 
[2352] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2353] Theodoricus de Niem, in Johanne XXIII. S. Antonin., et alii.
 
[2354] Ammirato, Istor. Fiorentina, lib. 18.
 
[2355] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2356] Antonii Petri Diarii, tom. 24 Rer. Ital.
 
[2357] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 18.
 
[2358] Diario Ferrarese, tom. 24 Rer. Ital.
 
[2359] Matth. de Griffon., Chron., tom. 18 Rer. Italic. Cronica di
Bologna, tom. eod. Diario Ferrar., ubi supra.
 
[2360] Diario Ferrarese, tom. 24 Rer. Ital. Annal. Foroliviens., tom.
22 Rer. Ital. Chron. Foroliviens., tom. 19 Rer. Ital.
 
[2361] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCCXII. Indizione V.
 
GIOVANNI XXIII papa 3.
SIGISMONDO re de' Romani 3.
 
 
Tenne _papa Giovanni_ nell'aprile di quest'anno un concilio nella
basilica vaticana[2364], e nel dì 19 di giugno si partì dal di lui
servigio colle sue genti d'armi _Sforza_ da Cotignuola, divenuto già
uno de' più prodi condottieri che s'avesse allora l'Italia; e a nulla
servì l'avergli il papa donata o venduta la terra stessa di Cotignuola.
I danari e le promesse del _re Ladislao_ privarono il papa di questo
campione. Allegava egli per iscusa di non vedersi sicuro con _Paolo
Orsino_, suo nemico ed uomo di buono stomaco. Di tal fuga, a cui fu
dato nome di tradimento, e massimamente per esser egli passato al
soldo di un nemico della Chiesa, si chiamò tanto offeso il papa[2365],
che fece in varii luoghi dipignere Sforza impiccato pel piede destro,
con sotto un cartello, in cui Sforza fu pubblicato reo di dodici
tradimenti, con tre rozzi versi, il cui primo fu:
 
IO SONO SFORZA VILLANO DALLA COTIGNUOLA.
 
Venne dipoi il medesimo Sforza col conte di Troia, conte da Carrara ed
altri capitani, e con assai squadre d'armati verso Ostia, e quivi si
accampò, ma senza che male alcuno ne seguisse Intanto papa Giovanni
colla nemicizia di Ladislao, fomentatore dell'avversario _Gregorio_,
mirava il suo stato non assai fermo; e dall'altra parte anche Ladislao
paventava de' nuovi insulti da papa Giovanni, che proteggeva il di lui
emulo _Lodovico di Angiò_. O l'un dunque o l'altro fecero muover parola
di aggiustamento, e trovarono amendue il loro conto a conchiuderlo.
Tanto più agevolmente vi concorse il pontefice, perchè intese che s'era
maneggiata, fors'anche stabilita, da Ladislao una lega co' signori
della Marca e Romagna contra di lui. Per attestato di Teodorico da
Niem[2366], comperò papa Giovanni quella pace con isborso di cento
mila fiorini, segretamente pagati a Ladislao. Altre più vantaggiose
condizioni, e maggior somma di danaro accordata a quel re ne' capitoli
della concordia, si leggono presso il Rinaldi[2367]. Ora Ladislao,
per dar più colore al cangiamento che giù destinava di fare, chiamata
a sè una congregazion di vescovi e d'altri dotti ecclesiastici, loro
espose gli scrupoli della sua solamente in questa occasione delicata
coscienza, per aver finora aderito a papa _Gregorio XII_, quando
quasi tutta la cristianità riconosceva per vero papa il solo _Giovanni
XXIII_. La disputa andò a finire in favor d'esso papa Giovanni. Ciò
fatto, si portò Ladislao a Gaeta a visitar papa Gregorio. De' di lui
trattati segreti non era allo scuro Gregorio, e però immantenente
gliene dimandò conto. Negò Ladislao, ma nel dì seguente gli fece
intendere che si levasse da' suoi Stati in un determinato tempo, perchè
non potea più sostenerlo. Trovossi allora in grandi affanni Gregorio e
la corte sua; ma per buona ventura capitate colà due navi mercantili
veneziane, in una d'esse s'imbarcò, e girando pel mare Adriatico fra
molti pericoli e timori d'essere colto dalle insidie di papa Giovanni,
arrivò in fine nel mese di marzo a Rimini, dove con ossequio e festa
ben ricevuto dai Malatesti pose la sua residenza[2368]. Fu assai
che Ladislao nol sagrificasse alla politica sua e ai desiderii del
pontefice Giovanni di lui avversario. Si pubblicò questa pace nel mese
d'ottobre.
 
Vide in quest'anno la città di Milano un orrido spettacolo[2369].
_Giovanni Maria Visconte_ duca s'era già tirato addosso l'odio
universale del popolo, non tanto per le gravezze imposte, quanto per
la sua inaudita crudeltà. Teneva egli de' fieri cani al suo servigio,
e con essi facea sbranar le persone, alle quali volea male; talvolta
ancora per ispasso li lasciava contra delle innocenti persone. Il
Corio[2370] ne racconta varii casi. Fecesi pertanto una congiura contra
di lui da varii nobili, alcuni de' quali della stessa sua corte; cioè
quei da Bagio, Ottone Visconte, Giovanni da Posterla, quei del Maino, i
Trivulzi, i Mantegazi ed altri. Ora mentre il duca nel dì 16 di maggio
dalla corte passava alla Chiesa di San Gotardo, per udir messa, oppure
mentre udiva messa, gli furono alla vita i congiurati, e con due ferite
lo stesero morto a terra. Con questa facilità si sbrigarono essi dal
duca, perchè in questi tempi non si trovava in Milano _Facino Cane_
suo governatore e protettore. Si era egli dianzi con potente esercito
portato all'assedio di Bergamo, posseduto da _Pandolfo Malatesta_, e
dopo la presa de' borghi era vicino a veder anche la città ubbidiente
a' suoi cenni. Ma, infermatosi gravemente, si fece portare a Pavia,
dove tanto sopravvisse, che apprese la violenta morte data al duca
da chi, per la lontananza, s'era arrischiato a fare quel colpo, e
ne ordinò a' suoi la vendetta. Giovanni Stella[2371] scrive essere
morto Facino nel giorno stesso in cui fu ucciso il duca. Egli era
nativo di Santuà del Piemonte: altri dicono di Casale del Monferrato.
Secondo la testimonianza del Biglia e del Corio, costui signoreggiava
allora in Pavia, Alessandria, Vercelli, Tortona, Varese, Cassano,
in tutto il lago Maggiore e in altre terre; ma spirò con lui tanta
grandezza, perchè mancò senza prole. Dappoichè fu seguita la morte del
duca Giovanni Maria, ed esposto il suo cadavero nel duomo, entrò in
Milano con pochi _Astorre_, ossia _Estorre_, bastardo del fu Bernabò
Visconte, chiamato _il soldato senza paura_[2372], che avea tenuta
mano alla congiura, ed unito co' suoi partigiani, i quali, gridando:
_Viva Astorre duca_, s'impadronirono del palazzo ducale, corse la
città senza impedimento alcuno, ed assunse il titolo di duca. Ma il
castello, di cui era governatore Vincenzo Marliano, per quante promesse
e minaccie usasse Astorre, non gli volle prestare ubbidienza. La morte
di Giovanni Maria duca, e forse più quella di Facino Cane, richiamò,
per così dire, in vita _Filippo Maria Visconte_ suo fratello, conte
di Pavia, che, perduto ogni suo dominio, meschinamente vivea in Pavia
alla discrezione d'esso Facino, mancandogli talvolta il vitto. Prese
egli tosto il titolo di duca di Milano; e giacchè Facino in morte
l'avea raccomandato vivamente alle sue milizie, parea che non fosse da
dubitare della loro assistenza. Ma queste genti venali voleano danari,
e si preparavano di passare, chi al servigio di _Pandolfo Malatesta_
e chi di _Astorre Visconte_. Un ripiego a sì fatti bisogni fu allora
trovato da _Bartolomeo Capra_ eletto arcivescovo di Milano, e da
Antonio Bozero Cremonese, governator della cittadella di Pavia. Questi,
dopo aver ricoverato Filippo Maria in essa cittadella, per sottrarlo
alla bestialità delle truppe e alle insidie de' nobili da Beccaria,
proposero che Filippo sposasse _Beatrice Tenda_, vedova del suddetto
Facino. Vi si accomodò Filippo; Beatrice non solamente vi acconsentì,
ma sborsò quattro mila fiorini d'oro, e, dopo essere stata sposata,
diede a Filippo in dote altri tesori e le città suddette, benchè tutte
non venissero allora alle mani di lui. Rallegrato l'esercito colle
paghe di Beatrice, tutto si diede a Filippo Maria, il quale s'inviò
con esso alla volta di Milano, dove _Astorre Visconte_, nel medesimo
tempo che tenea assediato il castello, attendeva a sollazzarsi in
feste e giuochi. Nel dì 16 di giugno introdusse il novello duca delle
provvisioni di viveri nel castello, ed entratovi anch'egli, ne uscì
poi verso la città, che già s'era mossa a rumore ed acclamava lui
per signore. Per questo avvenimento Astorre con _Giovanni Picinino_,
figliuolo del già _Carlo Visconte_, uscì di Milano e si ritirò alla
nobil terra di Monza, di cui era padrone. Presi alcuni uccisori del
duca, ebbero dalla giustizia il premio che si meritavano. Fu dalle
genti del duca Filippo Maria assediata Monza, e dopo quattro mesi presa
e messa a saccomano. Si rifugiò Astorre nel castello; ma colto un dì
da una pietra de' molti mangani che tempestavano quella fortezza, ebbe
una gamba rotta, e di spasimo per essa ferita morì. Vidi io, nel 1698,
in Monza il suo corpo per accidente disseppellito in quella basilica,
tuttavia intero e coll'osso della gamba rotto. Certo che la sua santità
non gli avea meritato questo privilegio. Valentina sorella d'Astorre
sostenne poi quel castello sino al dì primo di maggio dell'anno
seguente, in cui lo consegnò con buoni patti, riferiti dal Corio, a
_Francesco Busone_, soprannominato il _Carmagnuola_, che di bassissimo
stato pel suo valore e per la sua fedeltà era già salito al grado di
consigliere e maresciallo del duca.
 
Nella città di Bologna, dacchè essa si ribellò a _papa Giovanni XXIII_,
le arti e il popolo basso comandavano le feste[2373]. Avvenne che
nel dì 25 di agosto i Pepoli, Guidotti, Isolani, Manzuoli, Alidosi,
Bentivogli ed altri nobili si levarono a rumore, e, deposto il governo
popolare, cominciarono essi a reggere la città. Poscia nel dì 22 di
settembre acclamarono la Chiesa, avendo già stabilito accordo con
papa Giovanni, le cui armi presero il possesso della città, e nel dì
30 di ottobre arrivò colà per legato il cardinale del Fiesco. Anche
la terra di San Giovanni in Persiceto tornò in potere de' Bolognesi,
con iscacciarne il dominio de' Malatesti. Ebbero in questi tempi i
Genovesi gran guerra coi Catalani[2374], ed avendo spedito contra
d'essi una flotta comandata da _Antonio Doria_, recarono loro dei
gran danni Per cagione ancora di Porto Venere fu guerra fra essi
e i Fiorentini; ma nell'anno seguente ne seguì accordo. Di maggior
conseguenza fu la guerra che tuttavia durava tra _Sigismondo re_ de'
Romani e di Ungheria, e la _signoria di Venezia_[2375]. Vennero gli
Ungheri sino a Trivigi, mettendo tutto quel territorio a sacco. Dacchè
se ne furono ritirati, l'armata veneta marciò in Friuli per ricuperar
le terre tolte al patriarca d'Aquileia. _Carlo Malatesta_ loro generale
vi fece di molte prodezze. Nel dì 9 di agosto venne alle mani l'armata
veneta cogli Ungheri, e il combattimento fu duro e sanguinoso per l'una
e per l'altra parte; ma in fine ebbero gli Ungheri la peggio, e ne
restarono moltissimi prigioni. Tre ferite, ma non mortali, ne riportò
esso Carlo Malatesta. _Pandolfo_ suo fratello, chiamato al comando
delle armi venete, fece altri progressi, e tutto quest'anno spese in
varii incontri e badalucchi. Tal guerra diffusamente narrata si vede
da Andrea Redusio[2376]. In questi tempi ancora _Braccio da Montone_,
fuoruscito di Perugia, cominciò cogli altri della sua fazione a far
guerra alla patria[2377]; ma ebbe una rotta da _Nanne Piccolomini_ e da
_Ceccolino_ Perugino: il che gli servì di scuola per far meglio da lì

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