Annali d'Italia 186
Anno di CRISTO MCCCCXXXVII. Indiz. XV.
EUGENIO IV papa 7.
SIGISMONDO imperadore 5.
S'andarono sempre più imbrogliando gli affari del papa col concilio di
Basilea. Pretendeano que' Padri non solamente di riformar la Chiesa,
che ne abbisognava allora non poco, e i papi medesimi, ma voleano in
tutto e per tutto farla da papi, anzi da più dei papi: cosa che Eugenio
non volea sofferire. Andò sì innanzi il riscaldamento degli animi,
che il concilio giunse a citare il papa a rispondere a varie accuse
proposte contra di lui per cagion delle riserve dei benefizii, delle
annate, del non ammettere le elezioni, di praticare apertamente, come
essi diceano, la simonia, e sopra altri punti[2727]. Dal che irritato
Eugenio pubblicò una bolla, con cui dichiarò sciolto il concilio in
Basilea, e determinò Ferrara pel luogo, dove si avea da tenere da
lì innanzi il concilio, al quale ancora invitò i Greci. Intanto il
_patriarca Vitellesco_, che nel precedente anno avea tolto Palestrina
a _Lorenzo Colonna_, nel dì 20 di marzo mandò colà guastatori che
interamente la diroccarono e spianarono, sicchè rimase affatto
disabitata e un mucchio di pietre. E di questo ancora, perchè creduto
ordinato dal papa, fu fatto a lui un reato dai Padri del suddetto
concilio. Tenea mano a questa discordia _Alfonso re d'Aragona_. Non
avendo _papa Eugenio_ voluto accordargli l'investitura del regno di
Napoli, richiesta da lui parte colle preghiere e parte colle minaccie,
siccome quegli che già favoriva il partito del _re Renato_ d'Angiò:
Alfonso si voltò apertamente contra d'esso Eugenio, e fece di grandi
offerte al concilio per torre Roma al pontefice. Parea intanto che
prosperassero gli affari d'esso Alfonso nel regno di Napoli[2728],
perchè i conti di Nola e di Caserta seguirono le di lui bandiere. Il
perchè la _regina Isabella_, conosciuta vana per allora la speranza di
veder liberato il _re Renato_ suo marito dalla prigionia, ricorse per
aiuto al papa; e questi ordinò al patriarca di passar colà con tutte
le sue forze. Nel mese d'agosto entrò egli nel regno, e, dopo avere
preso Capperano, s'impadronì di Venafro, di Santo Angelo, Rupecanina
e Piedimonte, e poscia se ne andò a Napoli a visitar la regina, da cui
ricevette grande onore e danaro per pagar le truppe. Partitosi di colà
senza perdere tempo, ridusse all'ubbidienza della regina il conte di
Caserta, e poi prese Montesarchio. Alle istanze del re Alfonso si mosse
in questi tempi _Gian Antonio Orsino_ principe di Taranto con un corpo
di truppe, e il concerto era di prendere in mezzo il patriarca; ma
questi, più astuto di loro, andò a trovare il principe a Monte Fuscolo,
gli diede una rotta, e il fece prigione con assai altri baroni.
L'onore e le carezze usate dal papa all'Orsino prestarono motivo a
molti di credere che prima d'allora fossero d'accordo insieme[2729].
Si staccò il principe infatti dal re Alfonso, e si unì col patriarca,
il quale in premio della sua bravura meritò in quest'anno la porpora
cardinalizia da papa Eugenio. Ma non andò molto, che nacquero disgusti
fra esso patriarca e la regina; nè fra il principe di Taranto e
_Jacopo Caldora_ si rimise buona amicizia, di maniera che niun d'essi
si fidava dell'altro; e fu anzi creduto che il patriarca e il Caldora
apertamente fossero divenuti nemici. Ma avendo il re Alfonso assediata
e quasi ridotta all'agonia la città d'Aversa, la regina scrisse
lettere calde al patriarca e al Caldora, acciocchè la soccorressero.
Allora fu che questi due personaggi comparvero anima e corpo insieme,
e tutti e due nella vigilia di Natale mossero le lor armi alla volta
d'Aversa. Tuttochè il re Alfonso da più di uno fosse avvertito che
frettolosamente costoro marciavano contra di lui, nol sapea credere; e
tanto indugiò, che quasi il sorpresero a tavola. Ebbe tempo da fuggire
a Capua; ma andò in rotta tutta la sua gente; molti ne furono presi,
ed interamente il bagaglio restò preda dei ben venuti e degli Aversani.
Contuttociò essendo divampata la nemicizia fra il principe di Taranto e
il Caldora, e non potendo il patriarca ricevere rinforzo nè dall'uno nè
dall'altro, fu ridotto a mal partito, in guisa che, presa una picciola
barca, in quella s'imbarcò e passò a Venezia, e di là poi a Ferrara,
dove vedremo che si trasferì anche papa Eugenio. Quasi tutta la sua
gente abbandonata prese soldo nell'armata di Jacopo Caldora, grande
imbroglione, e di fede sempre incerta in quello sconvolgimento del
regno.
Nel verno dell'anno presente[2730] _Niccolò Piccinino_ s'era
impadronito di Sarzana e d'altre terre della Lunigiana; ma uscito
in campagna nell'aprile il conte _Francesco Sforza_ generale de'
Fiorentini con cinque mila cavalli e tre mila fanti, poco stette a
ricuperar que' luoghi. Mossero in quest'anno anche i Veneziani guerra
al duca di Milano, e cominciarono a far delle istanze ai Fiorentini
per avere al comando della loro armata il suddetto conte Francesco,
giacchè _Gian-Francesco_ (e non già _Lodovico_, come vuole il Sanuto)
marchese di Mantova lor generale, sdegnato perchè s'avvide d'essere in
sospetto la sua fedeltà presso quel senato, proponeva di rinunziare il
bastone. Ma anche ai Fiorentini premeva di ritenere in Toscana questo
gran capitano per la voglia e speranza che nudrivano dell'acquisto di
Lucca, città come abbandonata, per essere stato richiamato dal duca in
Lombardia il Piccinino[2731]. Cominciò per questo ad alterarsi la buona
armonia fra essi Veneziani e Fiorentini. Presa non di meno che ebbe il
conte Francesco la maggior parte delle castella del Lucchese[2732], e
piantate alcune bastie intorno a Lucca, sen venne di qua dall'Apennino
sul Reggiano colle sue truppe per accudire al servigio de' Veneziani;
ma perchè essi nol poterono smuovere dal suo proponimento di non
voler passare oltre Po, così portando i capitoli della sua condotta,
disgustato di loro, perchè nol voleano pagare, se ne tornò in Toscana,
dove passò il rimanente dell'anno. Poca felicità ebbero in quest'anno
l'armi venete contra del duca di Milano. _Niccolò Piccinino_ li
travagliò assaissimo sul Bergamasco, dove prese alcune castella. E nel
dì 20 di marzo diede una fiera spelazzata all'esercito loro presso il
fiume Adda, dove, secondo gli Annali di Forlì[2733], circa tre mila
soldati veneziani restarono o annegati o presi. Similmente nel dì 20 di
settembre[2734] riuscì ad esso Piccinino di sconfiggere la loro armata
con prendere molti uomini di taglia, e buona parte del bagaglio e delle
artiglierie. Questi furono i motivi per li quali il senato veneto mise
in dubbio la fede del marchese di Mantova. Ma non fu per ora accettata
la rinunzia del marchese di Mantova; e perch'egli se ne andò a casa, fu
eletto da' Veneziani per vicegenerale il _Gattamelata_. Mancò di vita
nel dì 8 di dicembre dell'anno presente[2735] _Sigismondo imperadore_,
lasciando dopo di sè una gloriosa memoria d'essere stato principe
piissimo, prudentissimo, e di liberalità che s'accostava all'eccesso,
massimamente verso de' poveri. Fu non di meno notata da Enea
Silvio[2736] la di lui incontinenza; del qual vizio macchiò sopra modo
la propria fama anche _Barbara_ Augusta di lui moglie. Lasciò erede de'
suoi regni di Boemia ed Ungheria _Alberto duca_ d'Austria genero suo.
Se crediamo al Rinaldi[2737], ribellatosi in quest'anno a _papa Eugenio
Pirro abbate_ casinense, castellano della fortezza di Spoleti, fu quivi
assediato dagli Spoletini. In aiuto di lui chiamato nel mese di maggio
_Francesco_ figliuolo di _Niccolò Piccinino_, costui, a tradimento
entrato nella città, la mise a sacco, colla morte ancora di molti di
que' cittadini. Ma il Simonetta[2738] riferisce questo fatto all'anno
seguente, e con più ragione.
NOTE:
[2726] Petroni, Istor., tom. 24 Rer. Ital. Bonincontrus, Annal., tom.
21 Rer. Ital.
[2727] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2728] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2729] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2730] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 21.
[2731] Poggius, Histor., lib. 7, tom. 20 Rer. Ital.
[2732] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, tom. 21 Rer. Ital.
[2733] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2734] Sanuto, Istor. Ven., tom. eod. Cron. di Rimini, tom. 15 Rer.
Ital.
[2735] Bonincontrus, Annal., tom. eod.
[2736] Æneas Sylvius, Histor. Bohem. Krantzius, Thrithem., et alii.
[2737] Raynaldus, Annal. Eccles.
Anno di CRISTO MCCCCXXXVIII. Indiz. I.
EUGENIO IV papa 8.
ALBERTO re de' Romani 1.
Diedesi principio nel dì 8 di questo anno al concilio generale intimato
da _papa Eugenio IV_ in Ferrara, di cui fu presidente il piissimo
cardinale _Niccolò Albergati_[2739]. Nella prima sessione, tenuta
da pochi prelati, si dichiarò terminato il concilio di Basilea, e
furono annullati assai decreti da esso fatti senza l'approvazione del
papa. Per maggiormente accreditar questa sacra raunanza il pontefice
Eugenio volle intervenirvi in persona, e però, partito da Bologna, fece
nel dì 27 d'esso mese la sua solenne entrata in Ferrara, addestrato
dal _marchese Niccolò_ d'Este; e poscia continuò le sessioni, per
distruggere ciò che andavano tessendo i vescovi tuttavia ostinati nel
concilio di Basilea. Invitati avea Eugenio a Ferrara i Greci, che
già si mostravano propensi all'unione colla Chiesa latina, perchè
ne speravano soccorsi contra de' Turchi, i quali già minacciavano
l'ultimo sterminio all'imperio cristiano di Oriente[2740]. In fatti
nel dì 4 di marzo giunse a Ferrara _Giovanni Paleologo_ imperadore de'
Greci, che fu accolto con sommo onore dai cardinali e dal marchese.
Magnifico ancora era dianzi stato l'accoglimento fatto a lui in Venezia
da quella repubblica. Comparve poscia a Ferrara anche il patriarca
di Costantinopoli nel dì 8 di marzo, trattato anch'egli con grande
onorificenza. Questi menò seco molti vescovi ed arcivescovi greci. Si
cominciarono dunque le conferenze intorno agli articoli di domma e di
disciplina, per li quali erano discordi le Chiese greca e latina; e
furono tenute molte sessioni con dispute calde fra le due nazioni. Nel
qual tempo al dispetto del sommo pontefice continuando i vescovi di
Basilea il loro concilio, giunsero sino a formare un decreto, in cui
si attribuirono l'autorità di sospendere l'autorità e giurisdizione
di papa Eugenio, ed anche di processarlo. _Alberto duca_ d'Austria,
siccome erede del defunto _imperador Sigismondo_, per essere marito di
_Isabella_ di lui figliuola, nel dì primo di quest'anno fu coronato re
d'Ungheria insieme colla moglie[2741]. Susseguentemente dagli elettori
nella città di Francoforte nel dì 20 di marzo fu concordemente eletto
re de' Romani, e poco dappoi coronato in Aquisgrana. Ebbe dei contrasti
per la corona di Boemia, di cui non di meno restò pacifico possessore:
con che la già grande potenza dei duchi d'Austria crebbe di molto,
ma per poco tempo a cagione della corta vita di questo principe. Mal
soddisfatti si trovavano i Fiorentini della lor lega co' Veneziani,
parendo loro che quelli pensassero unicamente al loro vantaggio,
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