2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 190

Annali d'Italia 190


battaglia. La risposta dell'Aragonese fu, che, trovandosi egli padrone
della maggior parte del regno, non si sentiva voglia di mettere a
repentaglio tutta la sua fortuna in una giornata. Avrebbe nondimeno
Renato assalito il campo nemico, e probabilmente con isperanza di
vincerlo, perchè già si ritirava; ma l'infedele Caldora co' suoi ricusò
di muoversi. Per questo esacerbato Renato il fece ritenere, e prese al
suo soldo buona parte delle di lui milizie, lasciandolo poscia tornare
in Abbruzzo con titolo di vicerè. Ma in vece di tornar colà il Caldora,
cominciò a trattare accordo col re Alfonso. Dio punì la sua infedeltà,
perchè in questo mentre _Gian-Antonio Orsino_ principe di Taranto, già
tornato alla divozione del re Alfonso, tenne trattato con Marino da
Norcia governatore di Bari pel Caldora, ed entrò in possesso non solo
di quella città, ma anche di Conversano e di tutte le altre terre dei
Caldoreschi. Tornò poscia il re Alfonso colle sue genti all'assedio
di Napoli, e però il re Renato, quantunque avesse ricuperato castello
Sant'Ermo, tornò ad essere in disagio come prima, e ricorse a _papa
Eugenio_ per aiuto. Fin qui erano state rispettate le città e terre
degli Sforzeschi in regno di Napoli, cioè quelle del _conte Francesco_
e de' suoi fratelli. Il re Alfonso, secondo i Giornali di Napoli, le
prese nell'anno presente, ancorchè fosse pace tra lui e il conte; e
trovolle ricchissime per aver esse goduto finora e profittato della
loro neutralità. Erano queste Benevento, Manfredonia, Bitonto ed altre
non poche[2783]: danno grave provenuto al conte Francesco per la sua
lontananza, avendo egli perduto il proprio per sostenere l'altrui.
Verisimilmente fu questo un sottomano del Visconte, che, per vendicarsi
d'esso Sforza, segretamente attizzò contra di lui il re Alfonso.
Il Simonetta[2784] differisce sino all'anno 1442 lo spoglio di tali
città fatto al conte. In mano d'esso re venne anche la città d'Aversa
col sua castello. _Sigismondo Malatesta_ signore di Rimini[2785],
per interposizione di _Niccolò marchese_ di Ferrara, si ritirò
dall'amicizia del duca di Milano, e tornò a quella de' Veneziani:
il che fu cagione[2786] che anche Ravenna e i Polentani facessero lo
stesso nel dì 14 d'agosto.
 
NOTE:
 
[2770] Nauclerus, Cuspinian., et alii.
 
[2771] Blondus Stefanus Infessura, P. II, tom. 3 Rer. Ital. S.
Antoninus, et alii.
 
[2772] Petroni, Istor., tom. 24 Rer. Ital.
 
[2773] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 21.
 
[2774] Bonincont., Annal., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2775] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
 
[2776] Cronica di Bologna, tom. eod.
 
[2777] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 21. S. Antoninus, Poggius,
Blondus, et alii.
 
[2778] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 5, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2779] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2780] Cristoforo da Soldo, Istor., tom. 21 Rer. Italic.
 
[2781] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 5, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2782] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2783] Istor. Napolit., tom. 23 Rer. Ital.
 
[2784] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 5, tom. 21 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCCXLI. Indiz. IV.
 
EUGENIO IV papa 11.
FEDERIGO III re de' Romani 2.
 
 
Non mancarono affari neppure in quest'anno a _papa Eugenio_[2787],
perciocchè tuttavia lo scismatico concilio di Basilea, benchè composto
di poche teste, continuava le sue sessioni, e l'antipapa _Felice V_,
cioè _Amedeo di Savoia_, nel dì 24 di giugno, festa di san Giovanni
Batista, con gran solennità si fece coronare colla pontificia tiara
nella città di Basilea, dove fu gran concorso di gente, e creò anche
quattro cardinali. E benchè il _re Alfonso_ non lasciasse riconoscere
per papa nei suoi regni il suddetto Amedeo, pure andava trattando col
concilio di Basilea, siccome sdegnato con papa Eugenio, perchè questi
ricusava di dargli l'investitura del regno di Napoli. Anzi nel mese
di ottobre, per far paura ad esso pontefice, procurò che i prelati
basiliensi inviassero a sè una ambasciata, mostrando ancora di voler
ottenere dall'antipapa ciò che il papa gli andava negando. Ora Eugenio,
non meno per queste ostilità d'Alfonso, che per le preghiere del
re Renato, si volse a raccogliere quanti armati potè, e li spedì in
regno di Napoli contra di Alfonso. Prima non di meno che giugnessero
tali soccorsi, erano succedute alcune azioni vantaggiose al medesimo
re d'Aragona[2788]: cioè, accordatisi con lui i Caldoreschi, aveano
inalberate le di lui bandiere. Cassano, Biccari, Caiazza, la Padula
ed altre terre erano venute a sua divozione[2789]. Ora da che il conte
_Francesco Sforza_ ebbe ragguaglio della guerra mossa da esso Alfonso
alle sue terre del regno di Napoli, inviò colà _Cesare Martinengo_
con _Vittore Rangone_, e con un grosso corpo di cavalleria, il quale,
unitosi con altre soldatesche della Marca, col conte di Celano, con
_Francesco da San Severino_ ed altri Napoletani[2790], andò ad opporsi
ai progressi del re Alfonso. Si trovava allora esso re all'assedio
della città di Troia. Vennero le genti del conte Francesco alle mani
con lui nel dì 10 di giugno, e, dopo un crudel fatto d'armi, n'ebbero
la peggio con loro vergogna, ma senza gran danno, perchè la maggior
parte d'essi fuggendo si salvò nella suddetta città di Troia, di
maniera che fu forzato Alfonso dipoi a levarsi col campo di sotto a
quella città. Nel seguente luglio _Alessandro Sforza_, governatore
della Marca pel conte Francesco suo fratello, entrò anch'egli nel
regno con mille e cinquecento cavalli. Per trattato ebbe il castello di
Pescara; poscia all'improvviso arrivò addosso a _Raimondo Caldora_, che
assediava Ortona, e il fece prigione insieme con cinquecento cavalli.
Poco mancò che non pigliasse anche _Riccio_ e _Giosia_ di casa Acqua
viva. Ebbero questi la fortuna di salvarsi a città di Chieti. Comparve
poscia nel regno l'esercito pontifizio sotto il comando del _cardinale
di Taranto_ legato, e del _conte di Tagliacozzo_, consistente in circa
dieci mila persone; ma non fece prodezza alcuna degna di menzione. Anzi
il cardinale da lì a qualche tempo fece tregua col re Alfonso, e se ne
tornò in Campagna di Roma. Questa fu la rovina del _re Renato_[2791],
perchè Alfonso mandò tosto _don Ferdinando_ suo figliuolo con grosso
corpo di combattenti a strignere d'assedio di bel nuovo Napoli,
città che scarseggiava allora e maggiormente seguitò a scarseggiare
di viveri. Avea certamente il papa a forza di danari fatto anche un
armamento di alcuni legni in Genova, per inviarli contra d'Alfonso; ma
spese malamente la pecunia, avendo mostrato i Genovesi voglia di far
molto, con poi far nulla.
 
Per conto della Lombardia, veggendosi _Filippo Maria_ duca di Milano
in cattiva positura, per avere non solo perduti gli acquisti fatti,
ma parte ancora del suo nella guerra co' Veneziani, avea fin dall'anno
antecedente pregato _Niccolò Estense marchese_ di Ferrara ad interporsi
per la pace, siccome principe neutrale, e che avea sì buona mano in
somiglianti affari[2792]. Andò il marchese per tal effetto a Venezia,
passò anche a Mantova per trattarne con quel marchese; nè solamente
tenne filo di lettere col conte _Francesco Sforza_, ma, con licenza de'
Veneziani, andò anche a trovarlo a Marmirolo. Una gran remora a questo
affare era lo stesso conte; laonde per guadagnarlo tornò il duca di
Milano ad esibirgli in moglie _Bianca_, unica naturale sua figlia, che
seco portava le speranze di tutta la sua eredità. E perchè non poteva
il conte prestar fede a chi più di una volta l'avea dianzi burlato,
si trovò il ripiego di mandar Bianca a Ferrara in deposito presso il
marchese Niccolò. Fu essa dunque condotta a Ferrara, dove come gran
principessa fece la sua entrata nel dì 26 di settembre[2793] sotto
baldacchino di panno d'oro, e stelle poi ad aspettare l'esito di sua
ventura. Non so ben dire se per difetto del duca, principe incostante
nelle sue risoluzioni, e che per la venuta di _Niccolò Piccinino_ tornò
ad alzare il capo, oppure per le pretensioni de' Veneziani, vogliosi
di qualche buon boccone, anche in questa occasione andasse a terra la
pratica della pace. Certo è che nel verno di quest'anno si ricominciò
la guerra, e del dì 5 d'aprile il marchese Niccolò ricondusse Bianca
a Milano, dopo aver perduta ogni speranza di comporre le cose. Era
già tornato nell'anno precedente a Milano il suddetto Piccinino, ma
quasi in farsetto; i suoi soldati veterani il seguitarono quasi tutti a
piedi, perchè ogni lor sostanza avean perduto nella rotta d'Anghiari,
essendo, come si è detto altrove, secondo la disciplina militare
degl'Italiani d'allora, in uso di spogliar d'armi i soldati presi, e
di lasciarli andare, con ritener solamente le persone da taglia[2794].
Ancorchè la borsa del duca fosse estenuata affatto, pure si trovarono
gravezze e maniere di spremere quelle dei particolari, tanto che il
Piccinino si rimise in arnese, ed incoraggì il duca a nuove militari
imprese. Eccolo dunque in campagna nel dì 13 di febbraio dell'anno
presente passare il fiume Oglio con circa otto mila cavalli, e tre
mila fanti. Questo passaggio mise il terrore nelle milizie venete, che
svernavano nel Bresciano, e tutte si ritirarono alle fortezze[2795].
Mille cavalli del _conte Francesco_ si ridussero a Chiari. Fu loro
addosso il Piccinino, e li prese insieme colla terra; e ritenuti i
capi di squadra, lasciò andare il resto in bel giuppone. Non passò
gran tempo che ricuperò tutta la Geradadda, prese Palazzuolo, tutta la
valle d'Iseo, il piano del Bergamasco e gran parte del Bresciano: tanta
era la sua velocità in simili azioni. Minutamente si veggono narrati
questi fatti da Cristoforo da Soldo, storico bresciano. Solamente nel
mese di giugno uscì in campagna Francesco Sforza, e passò sul Bresciano
in cerca del Piccinino. Nel dì 25 d'esso mese seguì fra le sue genti
e quelle d'esso Piccinino un incontro assai caldo, colla peggio degli
Sforzeschi; e da lì innanzi andarono poi girando e come giocando
le armate, senza volontà di provar la loro fortuna. Il motivo era,
perchè si trattava forte di pace in segreto, e il conte Francesco, che
onoratamente comunicava tutte le proposizioni ai commessarii veneziani,
era il principale in questo dibattimento.
 
Ciò che diede impulso a ripigliarne il trattato, fu l'insolenza
de' capitani del duca di Milano, i quali, mirando esso duca già
avanzato in età, e senza figliuoli maschi, tutti d'accordo pensavano
ad assicurar la loro fortuna con chiedergli qualche porzione dello
Stato di lui. Faceva istanza il _Piccinino_ par avere Piacenza in
sua parte; _Lodovico da San Severino_ per Novara; _Lodovico dal
Verme_ per Tortona; _Taliano Furlano_ dimandava il Bosco e Fragaruolo
nel distretto d'Alessandria. Dispiacque talmente questa sinfonia
al duca, che, chiamato a sè Antonio Guidobuono da Tortona suo uomo
fidato, ed amico ancora del conte Francesco Sforza, segretamente il
mandò a far proposizioni d'accordo ad esso conte, offerendogli la
figliuola _Bianca_, e la città di Cremona con Pontremoli in dote, e
con altre esibizioni per appagar anche i Veneziani e Fiorentini. Andò
tanto innanzi questa pratica, che, essendo conchiusi i principali
articoli[2796], nel dì primo d'agosto, mentre il conte Francesco
assediava e batteva colle bombarde Martinengo, dove s'erano chiusi
circa mille dei migliori cavalli del Piccinino, all'improvviso saltò
fuori la tregua fra le parti guerreggianti, e cessò quell'assedio.
Nel 3 d'esso mese _Niccolò Piccinino_, che coll'esercito suo era
accampato in que' contorni, con tutti i suoi uffiziali andò a visitare
il _conte Francesco_. Allora si abbracciarono e baciarono questi due
gran capitani, e il conte, oltre all'onore e alle carezze che fece
a tutti quei condottieri d'armi, perdonò anche a _Taliano Furlano_,
che piagnendo gli dimandò perdono. Eletto dalle parti arbitro per
conchiudere la suddetta pace, esso conte portossi alla Cauriana sul
Mantovano, dove si raunarono ancora gli ambasciatori del papa, de'
Veneziani e Fiorentini, del duca di Milano, e de' marchesi di Ferrara
e di Mantova. Fra le condizioni accordate dal duca vi fu il matrimonio
di Bianca sua figliuola, in età allora di sedici anni, col conte

댓글 없음: