2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 170

Annali d'Italia 170


Anno di CRISTO MCCCCXX. Indiz XIII.
 
MARTINO V papa 4.
SIGISMONDO re de' Romani 11.
 
 
Le azioni fatte in quest'anno dal _pontefice Martino_ danno
assai a conoscere, che non era tanto difficile a mutar pensiero e
sistema[2479]. Odiava a morte _Braccio_ signor di Perugia; pure,
per maneggio de' Fiorentini, stretti amici di Braccio, s'indusse a
riceverlo in grazia, e a lasciargli in vicariato le città di Perugia,
Assisi, Jesi e Todi con altre non poche terre da lui occupate, purchè
restituisse al pontefice Narni, Terni, Orvieto ed Orta. Sul fine di
febbraio comparve a Firenze lo stesso Braccio con accompagnamento
magnifico, e fu accolto dal popolo fiorentino con tal plauso e
pompa, come se fosse stato un re ed imperadore. Prostrato a' piedi
del papa, non solamente riportò l'assoluzion delle censure e il
vicariato suddetto, ma divenne ancora campion dello stesso pontefice
per riacquistargli Bologna. Già dicemmo che esso papa avea con bei
capitoli e privilegii accordata la libertà ai Bolognesi. Nell'anno
precedente[2480] era stata in quella città una sedizione e rissa fra
_Antonio de' Bentivogli_ e la sua fazione, e _Matteo da Canedolo_
capo di un'altra fazione. Perchè toccò di soccombere all'ultima, fu
questa cacciata di città e mandata a' confini, restando il Bentivoglio
come padrone della città. Forse le preghiere di questi fuorusciti, e
l'udire le divisioni che tuttavia duravano in Bologna, fecero nascer
voglia e speranza al papa di sottomettere quella città. Braccio fu
scelto per tale impresa. Spedì il pontefice innanzi un arcivescovo ed
un abbate per suoi ambasciatori, che, nel dì 28 di febbraio entrati
in Bologna, esposero con ornate parole il desiderio di sua santità
d'aver egli il governo della città. La risposta poco favorevole fu
portata a Firenze dagli ambasciatori bolognesi spediti colà. Però si
venne all'interdetto, e poscia alla guerra contra di quel popolo. Anche
_Lodovico degli Alidosi_ signor d'Imola mandò la disfida a Bologna.
Scrive Matteo Griffoni[2481] che nel dì 5 di maggio venne in quella
città _Gabrino Fondolo, olim dominus Cremonae_, per generale delle armi
d'essi Bolognesi. Ciò è da notare, siccome dirò più abbasso, perchè,
secondo il Corio[2482], Gabrino non era per anche stato spogliato di
Cremona. Ci assicura anche il Campano[2483] che il Fondolo venne al
servigio de' Bolognesi. Ora nel dì 17 dello stesso maggio comparve
esso Braccio colle sue milizie sul territorio di Bologna, avendo seco
_Lodovico de' Migliorati_ signore di Fermo, ed _Angelo dalla Pergola_,
capitani al soldo del papa. A poco a poco si andarono rendendo le
castella de' Bolognesi; di modo che conoscendo quel popolo, benchè
provveduto di molta soldatesca, dopo alcune piccole svantaggiose
battaglie, l'impotenza a sostenersi, nel dì 15 di luglio vennero
nel consiglio generale di quella città alla risoluzione di darsi
liberamente al papa. Il che con patti onorevoli eseguito, vi entrò,
e ne prese il possesso _Gabriello Condolmieri cardinale_ di Siena, e
poscia vi venne per legato _Alfonso cardinale_ di Spagna.
 
Abbiam veduto nel precedente anno _papa Martino_ d'accordo colla
_regina Giovanna_: si mutò scena nel presente. Contra di lei cominciò
il papa a favorire gl'interessi di _Lodovico III_ duca d'Angiò e
conte di Provenza, giovane ch'era poco prima succeduto a _Lodovico
II_ suo padre defunto, che avea spediti i suoi ambasciatori a Firenze
per prestare ubbidienza a papa Martino[2484]. La cagione, per cui
il papa era disgustato colla regina, fu perchè tornato _Ser-Gianni
Caracciolo_ gran seniscalco a Napoli, pien di veleno contra di _Sforza_
gran contestabile, cominciò a nimicargli la regina, e la trattenne
dall'inviar soccorsi di gente e di danaro a Sforza nella guerra che
abbiam veduta poco fortunatamente da lui fatta a _Braccio_ nell'anno
antecedente, ancorchè il papa ne facesse calde e frequenti premure.
Chiamato a Firenze Sforza, il pontefice Martino gli comunicò in segreto
il suo disegno contra della regina; fors'anche vi fu maggiormente
acceso da Sforza per vendicarsi del Caracciolo. Venuta dunque la
state, si mosse Sforza con quanta gente potè raccogliere; e, passato
nel regno di Napoli[2485], andò, nel dì 18 di giugno, ad unirsi col
figliuolo _Francesco_, e con Michele e Foschino suoi parenti, che lo
aspettavano alla Cerra col resto de' suoi combattenti; ed, inalberate
le bandiere di _Lodovico d'Angiò_, si scoprì nemico della regina. Niun
danno fece, finchè, avvicinato a Napoli, non le ebbe inviato per due
trombetti il bastone e le insegne del contestabilato, e fatto esporre
che o trattasse d'accordo coll'Angioino, oppure che si aspettasse la
guerra. Manca il verisimile a ciò che scrive il vescovo Campano[2486],
cioè che Sforza entrasse in Napoli, e, fatta chiamare la regina ad una
finestra di Castello Nuovo, le rinunziasse le insegne, e caricato di
villanie da essa, l'obbligasse, con farle tirar contro alcune freccie,
a ritirarsi. Accampossi col suo esercito Sforza presso a Napoli nel
luogo del Formello, aspettando che giugnesse per mare la flotta di
Lodovico d'Angiò, per operar seco di concerto. Intanto precorsa la fama
di questo principe, il quale avea assunto il titolo di re di Sicilia,
che così continuavano ad intitolarsi i re di Napoli, chiunque era della
fazione angioina diede principio alle novità, e si ribellarono non
poche terre del regno. Ma prima che venisse Sforza, e si trovassero
in questa brutta apparenza di cose, e con timore di peggio, la regina
ed il Caracciolo, siccome informati de' preparamenti dell'Angioino,
aveano preso lo spediente d'inviar ambasciatori al papa per pregarlo
d'interporsi in questa briga, e d'impedire gl'ingiusti insulti che
si ammannivano contra di lei dal duca d'Angiò. Non avea peranche il
papa alzata la visiera, mostrandosi neutrale in sì fatta turbolenza;
ma l'ambasciatore, che fu _Antonio Caraffa_, soprannominato Malizia,
uomo accortissimo, non tardò a scandagliar ben l'animo pontificio,
e a scorgere che da quella parte non era da sperare alcun sussidio
ai bisogni della regina; e in fatti era menato a spasso con sole
belle parole. Ossia dunque che nascesse a lui in mente, come alcuni
vogliono, un altro ripiego[2487]; oppure che egli ne portasse seco da
Napoli l'ordine e la plenipotenza: certo è, che, avendo fatta vista
di tornarsene a Napoli, allorchè fu a Piombino, imbarcatosi in una
galea, andò a trovare il giovanetto _Alfonso re d'Aragona_, Sardegna e
Sicilia, per implorare l'aiuto suo in favore della regina.
 
Qui è da sapere che il re Alfonso, in cui non so se maggior fosse
l'elevatezza della mente o il desiderio della gloria, un gran valore
e una mirabile attività, avea già pensato a segnalarsi per tempo
coll'acquisto della Corsica. Perciò nel precedente anno con una
flotta di trenta galee e quattordici navi passò nel suo regno di
Sardegna[2488], e finalmente piombò sopra il porto di Bonifazio,
luogo fortissimo e il più caro che si avessero i Genovesi. Stupendo,
ostinato fu quell'assedio, di cui ci lasciò una descrizione Pietro
Cirneo[2489], e durò ben nove mesi. Era già ridotto quel castello
all'agonia, quando _Tommaso da Campofregoso_ doge o governatore di
Genova, armate sette navi sotto il comando di Batista suo fratello,
le spinse in Corsica, per salvare un sito di tanta importanza. Fecero
delle maraviglie i valorosi Genovesi, e dopo fiero combattimento riuscì
loro, non ostante la terribile resistenza de' Catalani, d'introdurre,
sul principio di gennaio, un bastevol soccorso in Bonifazio, in guisa
che fu costretto il re Alfonso a ritirarsi da quell'assedio. Non so
dire s'egli fosse tuttavia in Corsica, oppure altrove, allorchè se gli
presentò il Caraffa per impegnarlo al soccorso della regina, qualora
il duca d'Angiò movesse l'armi contra di lei. Fece sulle prime Alfonso
lo schivo; ma pensando che il regno di Napoli sarebbe una bella giunta
al suo regno di Sicilia e agli altri suoi Stati, per consiglio ancora
de' suoi cortigiani si lasciò vincere, e diede mano al trattato.
Passò qualche mese per digerirlo in lontananza, e per istabilir le
condizioni, non essendosi dimenticato Alfonso di richiederle ben
vantaggiose alla sua corona. Restò dunque convenuto che egli fosse
adottato per figliuolo dalla _regina Giovanna_, affine di succedere
dopo la di lei morte; e che intanto egli fosse dichiarato duca di
Calabria, e per sicurtà de' patti mettesse presidio in Castello Nuovo
e Castello dell'Uovo. Ora mentre queste cose si trattavano, _Lodovico
d'Angiò_, fatte armare in Genova sei navi comandate da Batista da
Campofregoso, unì con esse sette sue galee, e ben provveduto di
viveri e di gente, nel dì 15 d'agosto, felicemente arrivò al porto
di Napoli[2490]; pagò circa quaranta mila fiorini d'oro alle truppe
di _Sforza_, al quale si diede, in questi tempi, la città d'Aversa,
conquista di gran momento per la guerra. Maggiormente allora fu da lui
e da Sforza stretta d'assedio Napoli, ed in essa furono anche una notte
vicini ad entrare per tradimento; ma eccoti comparire al lido, nel dì
6 di settembre[2491], dodici galee e tre galeotte del _re Alfonso_;
dicono altri che egli si trasferì colà in persona. Per trovarsi
inferiori i legni de' Genovesi, prima che egli giugnesse, se n'erano
tornati a casa. Sforza col duca d'Angiò gran battaglia diede per
impedire lo sbarco de' Catalani; ma in fine fu astretto a battere la
ritirata e condursi ad Aversa. Sbarcato Alfonso, la regina il riconobbe
per suo figliuolo adottivo, gli consegnò Castello Nuovo, il creò duca
di Calabria. Così terminò l'anno presente nel regno di Napoli, ma con
essersi molte terre e baroni levati dall'ubbidienza della regina.
 
Quali imprese facesse in quest'anno _Filippo Maria Visconte_ duca
di Milano, non bisogna chiederlo al Corio. Egli poco ne seppe.
Differisce questo scrittore all'anno 1422 la conquista di Cremona;
ed essa succedette nel presente anno, ciò ricavandosi da Matteo
Griffonio[2492], e insieme da Andrea Biglia[2493] e da Marino
Sanuto[2494]. _Gabrino Fondolo_ tiranno di quella città, veduta già
perduta la maggior parte delle sue castella, e che poco capitale potea
farsi del soccorso degli alleati, non si volle aspettare addosso,
all'aprirsi della campagna, l'esercito del Carmagnola. Perciò nel
gennaio di quest'anno prese accordo col duca di Milano, lasciandogli
Cremona per trentacinque mila fiorini d'oro, e con patto di ritenere
per sè Castiglione, e di poter godere di quanti beni egli possedea. Non
gli mancavano dei tesori, e certo li vagheggiava con gran cupidità il
duca; pur questi la fece per ora da galantuomo, e gli osservò la parola
della franchigia a lui accordata, aspettando di fare il resto ad altro
tempo. Andò poscia costui, siccome dicemmo, al servigio de' Bolognesi.
Era in collera esso duca con _Pandolfo Malatesta_ per l'aiuto dato in
addietro a Gabrino, pretendendo rotta ingiustamente da lui la tregua
o pace stabilita da papa Martino. Infatti, essendo ricorso Pandolfo al
papa per aiuto, non ne riportò se non de' rimproveri, per avere mancato
ai patti. Nè i Fiorentini si vollero mischiare ne' fatti di lui. Vi
restavano i Veneziani, creduti protettori del Malatesta. Ma, oltre al
trovarsi eglino impegnati in questi tempi nella guerra del Friuli,
erano essi disgustati per la morte data dai Malatesti a Martino da
Faenza lor capitano, come accennammo all'anno 1416. Laonde l'accorto
duca seppe così ben fare, che gl'indusse nel febbraio dell'anno
seguente ad una tregua vicendevole per anni dieci, con promettere i
Veneziani di non impacciarsi negli affari di Pandolfo. Altro dunque
non vi fu che _Carlo Malatesta_ signor di Rimini, e fratello d'esso
Pandolfo, che gl'inviò in quest'anno un poderoso aiuto di tre mila
cavalli e di molta fanteria, sotto la condotta di _Lodovico Migliorati_
signore di Fermo; cosicchè Pandolfo giunse a formare un'armata di
circa otto mila combattenti. Già il _conte Francesco Carmagnola_ colle
milizie duchesche era in campagna sul territorio di Brescia, quando
nel dì 8 di ottobre si azzuffarono gli eserciti nemici. Il valore e la
fortuna del Carmagnola furono superiori, e vi restò con altri nobili
di conto prigioniere lo stesso signor di Fermo, al quale poco appresso
il duca non solamente restituì la libertà, ma vi aggiunse ancora
di molti regali. Fu particolare in _Filippo Maria Visconte_ una tal
magnanimità, e ne vedremo degli altri esempli. Questa vittoria e la
tanto cresciuta potenza del duca fecero oramai conoscere al _marchese
Niccolò_ d'Este signor di Ferrara, Modena, Reggio e Parma che il duca,
voglioso di ricuperar tutto ciò che aveano posseduto i suoi maggiori,
e massimamente il _duca Gian-Galeazzo_ suo padre, per le due ultime
città gli avrebbe mossa guerra[2495]. Per ischivarla mosse da saggio
un trattato di accordo, per cui si convenne nel mese di novembre
che il marchese, cedendo al duca per sette mila fiorini d'oro Parma,
riterrebbe in suo dominio la città di Reggio; e fu eseguita questa
convenzione. Durarono poi le ostilità del Carmagnola sul Bresciano, e
restò maggiormente bloccata Brescia dalle armi del Visconte; ma niuna
importante impresa ne seguì nell'anno presente.
 
Intanto più che mai felicemente procedeva la guerra de' Veneziani in
Dalmazia, in Friuli e nelle vicinanze[2496]. Conquistarono essi Cataro,
Traù, Spalatro ed altri luoghi in Dalmazia; si rendè loro la città di
Feltro, Spilimbergo, Valvasone ed altre terre in Friuli. Ma ciò che
maggiore risalto diede all'armi loro fu l'acquisto della città d'Udine,
dove il valoroso lor generale Filippo degli Arcelli fece la sua entrata
nel dì 7 di giugno. Tralascio altri progressi dei Veneziani, che in
così poco tempo ricuperarono quasi tutta la Dalmazia, e divennero
per la prima volta padroni della bella provincia del Friuli. Allora
il patriarca Lodovico, trovandosi per le sue sconsigliate bravure
spogliato di quel nobile Stato, ricorse a papa Martino, il quale
spedì a Venezia legati per sostenere gl'interessi del patriarcato. Ma

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