Annali d'Italia 167
Anno di CRISTO MCCCCXVII. Indizione X.
MARTINO V papa 1.
SIGISMONDO re de' Romani 8.
Dopo avere il concilio di Costanza compiuti tutti gli atti del
processo contro di Pietro di Luna, che appellato _Benedetto XIII_
s'era ostinato in voler sostenere il suo preteso pontificato, benchè
l'Aragona, Castiglia ed altri popoli della Spagna si fossero sottratti
dalla di lui ubbidienza[2432]: finalmente nel dì 26 di luglio que'
padri fulminarono contra di lui la sentenza, dichiarandolo spergiuro,
decaduto da ogni dignità ed uffizio, scismatico ed eretico. Trattossi
dipoi dell'elezione di un legittimo ed indubitato pontefice, e l'affare
fu condotto sino al dì 11 di novembre, festa di san Martino vescovo, in
cui concorsero i voti de' cardinali nella persona di Ottone cardinal
diacono di San Giorgio al velo d'Oro, di nazione Romano, e di una
delle più illustri famiglie d'Italia, cioè di casa Colonna. A cagion
della festa che correa, egli prese il nome di _Martino V_, con portare
al pontificato delle eccellenti doti d'animo e d'ingegno, e nel dì
21 d'esso mese fu coronato. Portata questa nuova in Italia, e per
tutte le altre parti della cristianità d'Occidente, riempiè ognuno
di consolazione ed allegrezza, per vedere dopo tanti anni estinto lo
scandaloso e lagrimevole scisma, onde era stata sì malamente lacerata
la Chiesa di Dio. Mancò eziandio in quest'anno nel dì 18 ossia 19
d'ottobre in Recanati il cardinale Angelo Corrario[2433], da noi
veduto in addietro papa _Gregorio XII_, a cui nel dì 26 di novembre
furono celebrate nel concilio di Costanza solenni esequie. Era in
questi tempi governata la città di Roma a nome della Chiesa da _Jacopo
Isolani cardinale_ di Sant'Eustachio legato, assistito anche da
_Pietro degli Stefanacci_ Romano cardinale di Sant'Angelo. Quantunque
castello Sant'Angelo tuttavia fosse all'ubbidienza di _Giovanna
regina_ di Napoli, non apparisce che facesse guerra alla città,
anzi, secondo alcuni, ne era divenuto padrone il suddetto cardinale
legato. Ma eccoti nel dì 3 di giugno venir _Braccio da Montone_ con
tutte le sue genti d'armi a turbar la pace dei Romani. L'ambizione di
questo prode capitano dopo l'acquisto di Perugia e di altre piccole
città, e dopo la vittoria riportata contra _Carlo de' Malatesti_, non
conosceva più limite, e però gli venne in pensiero di conquistare la
stessa Roma[2434]. E non mancava qualche Romano traditor della patria
d'animarlo all'impresa e di promettergli assistenza. Restò bensì
sbigottito il popolo romano alla comparsa di questo inaspettato nemico;
pure unito col cardinale legato si preparò alla difesa. Andarono gli
stessi porporati a trovar Braccio per sapere la di lui intenzione; ed
egli francamente rispose loro di voler entrare in Roma, solamente per
conservarla al pontefice che si dovea creare. Stavasene egli accampato
a Sant'Agnese, e conoscendo che i Romani non erano d'umore d'aprirgli
le porte, cominciò a fare scorrere per li contorni le sue genti,
che ben tosto condussero centinaia di prigioni. Tale ostilità, e il
timore di non poter fare l'imminente raccolta de' grani, indusse i
Romani a capitolare e a ricever Braccio come lor signore in città. Con
detestazione de' buoni si scoprì che lo stesso cardinale di Sant'Angelo
tenea mano ai disegni di Braccio, il quale nel dì 16 di giugno entrò
in Roma trionfalmente, e preso solamente il nome di difensore della
città, vi creò un nuovo senatore, essendosi ritirato il cardinale
legato in castello Sant'Angelo. Diede poi principio nel dì 16 di luglio
all'assedio d'esso castello, e venne a rinforzare la sua armata con
grosso corpo di cavalleria e fanteria _Tartaglia_.
Allorchè si fu accertato il cardinale legato delle ambiziose idee
di Braccio contra di Roma, avea già spedito a Napoli, pregando la
_regina Giovanna_ di soccorso di gente[2435]. Non andò a voto la
richiesta, perchè la regina, bramosa di acquistarsi merito col papa
futuro, assunse volentieri la difesa di Roma. Scelto fu per tale
impresa il gran contestabile _Sforza_. Nè migliore si potea scegliere,
perocchè egli sospirava le occasioni di vendicarsi di Braccio, il
quale dianzi, per tirare al soldo suo Tartaglia da Lavello, l'avea
aiutato ad occupar molte castella che appartenevano al medesimo
Sforza nel Patrimonio. Trovandosi uniti, siccome dicemmo, Braccio e
Tartaglia, contra d'amendue con grande ardore procedeva Sforza, seco
conducendo il _conte da Carrara_, _Gian-Antonio Orsino_ conte di
Tagliacozzo, ed altri baroni romani. Giunto nel dì 10 d'agosto sino
alle mura di Roma, mandò il guanto sanguinoso a Braccio in segno di
sfida della battaglia[2436]. Ma Braccio, che non si volea azzardare
con un sì potente nemico, massimamente perchè non si vedea sicure le
spalle dai Romani stessi, elesse il partito di battere la ritirata; e
però nel dì 26 del suddetto mese uscì di Roma, e si inviò alla volta
di Perugia. Nel giorno seguente Sforza co' suoi entrò nel palazzo
del Vaticano colle bandiere della Chiesa e della regina; creò, di
consenso del cardinale legato, nuovi uffiziali in Roma, e nel dì 3 di
settembre fece condur prigione in castello il cardinale di Sant'Angelo,
colpevole d'intelligenza con Braccio. Questi non vide più la luce, nè
altro si seppe di lui. _Niccolò Piccinino_ da Perugia, che, militando
nell'armata di Braccio, avea già incominciato ad acquistarsi nome di
valente capitano, e divenne poi sì celebre col tempo, era rimasto a
Palestrina e a Zagaruolo con quattrocento cavalli. Le scorrerie e i
saccheggi, ch'egli andava facendo sino alle porte di Roma, incitarono
Sforza a liberar la città anche da questo nemico. Fu sconfitto il
Piccinino e fatto prigione con altri de' suoi, e solamente dopo
quattro mesi rilasciato col cambio d'altri prigionieri di Braccio e di
Tartaglia. Erasi fermato a Toscanella lo stesso Tartaglia con un grosso
corpo d'armati. Moriva di voglia Sforza di fare a questo suo nemico
un brutto giuoco: all'improvviso si portò colà con isquadre scelte
d'armati, mandò innanzi assai saccomani per tirarlo fuori della terra,
nè andò fallito il suo pensiero. Tartaglia uscì co' suoi, e si mise ad
inseguire i fuggitivi, quando ecco si vide venire incontro le schiere
di Sforza. Caldo fu il combattimento, in cui _Francesco_ figliuolo
di Sforza, giovane allora di dodici anni, diede il primo saggio del
suo valore, come se fosse stato veterano nel mestiere dell'armi. La
peggio toccò a Tartaglia, che corse pericolo di essere preso, ed ebbe
la fortuna di salvarsi nella terra. Svernò poscia l'invitto Sforza
in Roma, e, lasciato un buon presidio sotto il comando di Foschino
suo parente, nella primavera se ne tornò a Napoli. Intanto Braccio,
ritornato a Perugia[2437], attese a conquistare o a rendere tributarie
varie terre della Chiesa, cioè Todi, Orvieto, Terni, Jesi, Spello,
oltre a Narni e Rieti, dianzi occupate: il che sempre più gli conciliò
l'affetto e la stima de' Perugini, che miravano crescere per opera di
lui ogni dì più la lor potenza e riputazione. Obbligò ancora _Lodovico
Migliorati_ signor di Fermo[2438], a redimersi dalle di lui vessazioni
con una somma d'oro.
Per quanto abbiamo dal Corio[2439] avendo il _conte Carmagnola_,
generale di _Filippo Maria duca_ di Milano, continuato anche pel verno
l'assedio del forte castello di Trezzo sull'Adda, occupato dai Coleoni
di Bergamo, finalmente nel dì 11 di gennaio se ne rendè padrone. Se
crediamo al Sanuto[2440], quattordici mila fiorini quelli furono che
finalmente espugnarono quella fortezza. Rivolse dipoi le armi sue
il vittorioso Carmagnola, secondochè scrivono il Rivalta[2441] e il
Sanuto, contra Piacenza. Era questa occupata da _Filippo Arcelli_,
personaggio valoroso sì nelle armi, ma insieme crudele. Andò il
Carmagnola ad accamparsi alla porta di Borgo Nuovo, e gli riuscì con un
aguato di far prigione Bartolomeo Arcelli fratello d'esso Filippo, nel
mentre che passava a Genova per chiedere soccorso a quella repubblica.
Seco si trovò Giovanni figliuolo del medesimo Filippo, giovane di
mirabil espettazione. Tutti e due questi miseri furono un dì guidati
davanti a quella porta coll'intimazion della morte, se la città non
si rendeva. Volle piuttosto l'Arcelli vedere eseguita così barbara
e da tutti detestata sentenza, che cedere il possesso di Piacenza.
Pure non corse gran tempo che la città fu presa, ed egli si ridusse
nel castello. Ma, convinto dell'impossibilità di sostenersi, se ne
fuggì; oppur, fatto accordo per alcune migliaia di fiorini, se ne andò
con Dio, lasciando interamente in potere del Carmagnola col castello
quella nobil città che per le passate sciagure era divenuta un deserto.
Manca la città di Piacenza di autori di questi tempi che abbiano
accuratamente descritte le sue calamità: anzi discordano gli storici
nell'anno, in cui questa tornò alle mani del duca. Il Rivalta di ciò
parla all'anno presente; il Corio e Giovanni Stella[2442] al seguente;
e neppure il Campi[2443], storico piacentino, sa decidere la quistione,
con rapportar nondimeno il fatto a quest'anno. Tuttavia parmi che dal
Sanuto[2444] e dal Biglia[2445] si possa ricavar tanto lume da diradar
queste tenebre: cioè avere Filippo Arcelli ne' tempi addietro occupata
Piacenza. Gliela ritolse il Carmagnola, ma senza poter espugnare il
castello. E perchè _Pandolfo Malatesta_ uscì in campagna per liberar
quel castello dall'assedio, trovandosi allora il duca senza forze da
potersegli opporre, ordinò che la città fosse evacuata da tutti gli
abitanti, i quali piagnendo si ridussero parte a Pavia, parte a Lodi.
Rimase Piacenza disabitata, ed, entrativi l'Arcelli e il Malatesta, non
vi trovarono se non le mura delle case. In quest'anno poi il Carmagnola
tornò ad impossessarsi di Piacenza, e mise l'assedio al castello:
questo poi solamente nell'anno seguente, o per la fuga dell'Arcelli,
o per patto fatto con lui, venne alle sue mani. Passò dipoi l'Arcelli
al servigio de' Veneziani, per li quali fece di molte prodezze, e
conquistò il Friuli, siccome andremo dicendo.
Tentò ancora nell'anno presente il Carmagnola Pizzeghettone e
Castiglione di Giaradadda, ma senza frutto. Si rivolse dunque a
Cremona, e vi mise il campo, risoluto di sterminare il tiranno _Gabrino
Fondolo_. In questi progressi del Visconte, Pandolfo Malatesta signor
di Brescia già mirava i preludii della sua caduta; e però, avendo il
duca rotte le tregue, anch'egli prese l'armi per soccorrere Cremona,
senza che apparisca dipoi che facesse impresa alcuna degna di menzione.
Abbiamo in oltre da Benvenuto da San Giorgio[2446] che nel dì 20
di marzo dell'anno presente esso duca acconciò le differenze che
passavano tra lui e _Teodoro marchese_ di Monferrato, avendo in tal
congiuntura il duca ricuperata dalle mani di lui la città di Vercelli,
e il marchese ottenute varie castella colla cession d'ogni ragione
sopra Casale di Sant'Evasio. Tornossi in questo anno a sconcertare
la quiete di Genova[2447] per cagion de' Guarchi, de' Montaldi, di
Teramo Adorno, e d'altri fuorusciti, che ricorsero a Filippo Maria
Visconte per impetrar soccorso contro la patria, vogliosi di deporre
_Tommaso da Campofregoso_ doge. Sperando il duca di pescare in questo
torbido, diede volentieri orecchio al trattato, e somministrò loro
un corpo di soldatesche. Ma di ciò all'anno seguente. Mancò di vita
per la peste nel presente anno, e non già nel precedente, siccome
dicemmo, _Gian-Galeazzo de' Manfredi_ signor di Faenza[2448]; e in
questi tempi appunto faceva la pestilenza grande strage in Firenze
e Toscana. Nè poca era la balordaggine delle genti d'allora, perchè
fuggendo i benestanti dalle città infette, senza opposizione trovavano
ricovero nelle città sane; maniera facile di maggiormente dilatare
l'eccidio. Fecero guerra in questo anno[2449] i Bolognesi alla terra
di San Giovanni in Persiceto, che era raccomandata a _Niccolò Estense_
marchese di Ferrara. Ma questi ne diede loro la tenuta per ventisette
mila fiorini d'oro, nè volle mettersi all'impegno di sostenerla.
Nell'anno presente[2450] ancora ebbe principio la guerra dei Veneziani
contra di Udine e del Friuli. Lodovico patriarca d'Aquileia, signore di
quel paese, era in lega con _Sigismondo re_ de' Romani e di Ungheria;
ma non gli venivano i soccorsi occorrenti al bisogno: il perchè vedremo
andar peggiorando i di lui interessi negli anni seguenti.
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