2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 147

Annali d'Italia 147



promesse dell'Appiano, e vedeano sempre più crescere i ceppi alla loro
libertà. Andò l'Appiano a mettere la sua stanza a Piombino, terra che
ne' suoi discendenti durò sino dopo l'anno 1600; e rimase Antonio Porro
governator di Pisa pel duca di Milano, con far credere ai Fiorentini
il miglior vicinato del mondo. Ossia che i Sanesi non si fossero
prima d'ora dati al medesimo duca, e l'avessero preso solamente per
protettore, oppure che aspettassero fino a quest'anno a mettersegli
in braccio: certo è, che, angustiati da _Broglio_ capitano d'una
compagnia di masnadieri, forse a sommossa del duca di Milano, anch'essi
nell'agosto o settembre dell'anno presente[2155] si spogliarono
della lor libertà, concedendo al medesimo duca la signoria della lor
città: il che fu un altro colpo, onde restò trafitto il cuore alla
repubblica di Firenze. Si dichiararono ancora aderenti al medesimo duca
in Toscana i conti di Poppi e di Bagni, e gli Ubaldini tutti; e già
_Francesco Gonzaga_ signor di Mantova s'era messo ai servigi di lui.
Però d'altro allora non si parlava che del grande ascendente e della
fortunata politica del duca di Milano; ma con rammarico non ordinario
di que' potentati, che miravano nell'esaltazione di lui il pericolo
della propria rovina. S'aggiunse di più, che il duca co' suoi maneggi
staccò dall'amicizia de' Fiorentini i Bolognesi. Cercò ancora d'indurre
i Perugini, stanchi per la guerra col papa, ad accettarlo per loro
signore, ma non gli riuscì se non nello anno seguente. Lucca inoltre
parea del pari vicina a seguir l'esempio delle altre. Per tali successi
in Firenze di gran consigli si fecero, affine di difendersi da così
dilatata potenza, ma senza far movimento palese per non turbare la
pace.
 
Passarono gli affari di Bologna nella seguente forma[2156]. Nel dì
22 d'aprile _Giovanni de' Bentivogli_ e _Nanne de' Gozzadini_, già
fuorusciti, entrarono in quella città, con prendere la porta di Stra'
San Donato, disegnando d'introdurre il _conte Giovanni da Barbiano_ co'
suoi armati, e di abbattere la fazion dominante dei Maltraversi. _Carlo
degli Zambeccari_ e gli altri del suo partito, che non dormivano,
furono tosto in armi, e fecero prigioni i già entrati. Benchè molti
li volessero morti, Carlo, più magnanimo degli altri, si contentò che
fossero mandati a' confini, chi a Carpi, chi a Zara e chi a Genova.
Ma che? Entrata la peste in Bologna, grande strage fece, e fra gli
altri levò dal mondo lo Zambeccari ed altri capi dei Maltraversi ne'
mesi di settembre, ottobre e novembre. Avvenne[2157] che nell'agosto
il conte Giovanni di Barbiano colle sue genti passò sul Bolognese,
commettendo molte ruberie e gravi insolenze alle donne nobili che erano
in villa. Andava costui alla terra di Vignola, già da lui occupata nel
territorio di Modena al marchese di Ferrara. Per tali insulti irritato
non meno esso marchese, che i magistrati di Bologna, spedirono le
loro milizie a Vignola; e trovato il conte che coi suoi dormiva senza
far buona guardia, li condussero tutti prigionieri a Bologna. Andò sì
innanzi l'ira del popolo, attizzata anche da _Astorre de' Manfredi_
signor di Faenza, che volle liberarsi da così mal arnese, e però nel
dì 27 di settembre furono decapitati nella pubblica piazza esso _conte
Giovanni_, il _conte Lippazzo_ suo nipote e il _conte Bandezato_ suo
parente. Un figliuolo d'esso conte Giovanni morì nelle carceri, e a
Conselice ad altro suo parente era già stato mozzato il capo. Costò
ben caro dipoi ai Bolognesi questa rigorosa giustizia. Ricuperò il
_marchese Niccolò_ di Ferrara, con tal congiuntura, Vignola, dopo
quattro mesi d'assedio, e fece buon trattamento al _conte Manfredi_ di
Barbiano, rimasto prigione delle sue genti nella sconfitta di Vignola.
Essendo mancati, come dicemmo, i principali de' Maltraversi, furono
nel mese di novembre richiamati dall'esilio _Giovanni de' Bentivogli,
Nanne de' Gozzadini_, e gli altri che manteneano buona corrispondenza
col duca di Milano, e presero poi per forza il governo di quella città
nel dicembre.
 
Celebre fu quest'anno per la pia commozione de' Bianchi, somigliante
ad altre, che s'erano vedute nel precedente secolo, ed anche nel
presente, se non che non s'ode in questa il fracasso della disciplina
che si praticò nelle prime. Portavano essi cappe bianche, ed ivano
incappucciati uomini e donne, cantando a cori l'inno _Stabat mater
dolorosa_, che allora uscì alla luce. Entravano in processione nelle
città, e con somma divozione andando alle cattedrali, intonavano
di tanto in tanto _pace_ e _misericordia_. Passati quei d'una città
all'altra, se ne tornavano poi la maggior parte alle lor case; e quei
della città visitata portavano ad un'altra in processione il medesimo
istituto. A chi avea bisogno di vitto, benchè fossero migliaia di
persone, ogni città caritatevolmente lo contribuiva; essi nondimeno
altro non richiedevano se non pane ed acqua[2158]. Fu cosa mirabile
il mirar tanta commozione di popoli, tanta divozione, senzachè vi si
osservassero scandali, come scrivono alcuni. Più mirabil fu il frutto
che se ne ricavò; perciocchè dovunque giugneano, cessavano tutte le
brighe; si riconciliavano i nemici con infinite paci: e i più indurati
peccatori ricorrevano alla penitenza, in guisa che le confessioni e
comunioni con gran frequenza e fervore si videro allora praticate.
Le strade erano sicure, si restituiva il mal tolto, e furono contati
o vantati non pochi miracoli come succeduti in questo pio movimento.
Siccome nei precedenti aveano avuta origine le scuole, ossia le
confraternite de' Battuti, così nel presente ebbero principio altre
confraternite appellate de' Bianchi, le quali tuttavia durano nelle
città d'Italia, del che ho io altrove favellato[2159]. Tutte le storie
italiane parlano sotto l'anno corrente di questa divozione, la quale,
secondo il Delaito, venne fin da Granata, oppure, per sentimento di
Giorgio Stella, nacque in Provenza, o almeno da quella parte penetrò
in Italia, e, per la riviera d'occidente nel dì 5 di luglio giunse
a Genova, imprimendo negli animi di quel popolo il timore santo di
Dio, la penitenza e la pace. Di là passò poi in Toscana e Lombardia.
Nel mese d'agosto i Modenesi vestiti di bianco in numero, chi dice di
quindici, e chi di venticinque mila persone, andarono a Bologna[2160];
e susseguentemente i Bolognesi si trasferirono ad Imola. Nella stessa
maniera i Lucchesi portarono cosiffatta divozione a Pistoia[2161], e
di là questa passò a Firenze; e poscia circa venti mila Fiorentini
processionalmente, avendo per loro guida il vescovo di Fiesole,
marciarono ad Arezzo. I signori veneziani sempre circospetti non
vollero nelle lor terre questa unione di gente; e il duca di Milano
anch'egli non la permise in alcuna delle sue città per sospetto di
sedizioni. Peggio abbiamo da Teodorico di Niem[2162]. Dice egli (non
so se con verità) che alcuni impostori, fingendo miracoli, portarono
dalla Scozia in Italia questa novità; ma che, dormendo le notti nelle
chiese e ne' monisteri uomini e donne insieme sulla nuda terra, ne
seguivano non pochi disordini, e la cosa andò a terminar male, siccome
dirò all'anno seguente.
 
Torniamo ora alle novità del regno di Napoli, le quali tengo io
per fermo succedute in questo, e non già in altro anno. Jacopo
Delaito[2163], Sozomeno[2164] e Giorgio Stella[2165], scrittori
contemporanei, m'assicurano abbastanza ch'io non m'abbaglio in questo.
Essendo riuscito al _re Ladislao_ di tirar con segreti maneggi alla
sua divozione i Sanseverineschi, stati in addietro il braccio destro
del _re Lodovico d'Angiò_: cominciarono questi a divisar la maniera
di sbrigarsi di esso re Lodovico, al quale non il solo nemico Ladislao
facea paura, ma anche la povertà. Il consigliarono di passare a Taranto
per assicurarsi che quel paese non cadesse nelle mani di Ladislao. Andò
egli nel dì 8 di febbraio, e vi fu ricevuto sotto il pallio. Sfumò da
lì a poco questa allegrezza, perchè Raimondo del Balzo Orsino, secondo
le cose narrate di sopra, l'assediò in quella città. Venne in questi
tempi a Napoli _Carlo d'Angiò_ fratello del re Lodovico, e restò ivi.
Ma eccoti arrivare nel dì 9 di luglio a quella città il re _Ladislao_
con sue galere, e trattare col popolo napoletano per entrare. Furono
d'accordo, e Ladislao vi entrò; perlochè Carlo d'Angiò coi Provenzali
si ritirò in Castello Nuovo, il quale fu immantenente cinto d'assedio.
Ora trovandosi il re Lodovico confinato in Taranto, perseguitato da
Raimondo Orsino, e abbandonato dalla casa Sanseverina, o, per meglio
dire, da tutti, disperato s'imbarcò nelle sue galere, e venne alla
volta di Napoli, credendosi di rientrarvi; ma ritrovò che la città
avea mutato padrone. Il perchè mandò a trattare col re Ladislao, e fu
stabilito di fargli rendere il Castello Nuovo, con che Carlo d'Angiò
suo fratello fosse messo in libertà. Ciò fatto, diede le vele al vento,
e se ne ritornò a' suoi Stati di Provenza confuso, con lasciar Ladislao
trionfante. Gran peste fu in questo anno per la maggior parte d'Italia
con fiera strage de' popoli. Poca diligenza per guardarsene usavano
allora le città, e neppur lasciavano usarla le guerre e le sedizioni
troppo frequenti in sì grande ondeggiamento dell'Italia. Quel gran
male che faceva una volta la pestilenza, si proverebbe anche oggidì, se
venissero meno le precauzioni e diligenze introdotte dipoi.
 
NOTE:
 
[2149] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[2150] Gobelinus, in Cosmodr.
 
[2151] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2152] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2153] Matth. de Griffon., Chron., tom. 18 Rer. Italic.
 
[2154] Corio, Istoria di Milano. Tronci, Istor. di Pisa. Ammirati,
Istoria di Firenze.
 
[2155] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital. Sozomenus, Chron., tom.
16 Rer. Ital.
 
[2156] Matth. de Griffon., Chron., tom. 18 Rer. Ital. Cronica di
Bologna, tom. eod.
 
[2157] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
 
[2158] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
 
[2159] Antiquit. Ital. tom. I, Dissert. II.
 
[2160] Matthaeus de Griffon., Chron., tom. 18 Rer. Ital. Cronica di
Bologna, tom. eod.
 
[2161] Ammirati, Istoria di Firenze, lib. 16.
 
[2162] Theodoric. de Niem, lib. 2, cap. 26.
 
[2163] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
 
[2164] Sozomenus, Histor., tom. 16 Rer. Ital.
 
[2165] Giorgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCC. Indizione VIII.
 
BONIFAZIO IX papa 12.
ROBERTO re de' Romani 1.
 
 

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