2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 154

Annali d'Italia 154



esso Gonzaga coi rinforzi venutigli da Venezia cominciò a prendere le
castella del Veronese; nè forze v'erano da impedirlo. Seguirono poi
nel decorso di quest'anno varii sanguinosi incontri fra le armi venete
e carraresi sul Padovano. Avendo Malatesta de' Malatesti generale de'
Veneziani, non so se di sua o d'altrui volontà, rinunziato il baston
del comando, se ne tornò a Pesaro, e in luogo suo eletto fu Paolo
Savello. Assalirono poscia i Veneziani con grossa armata di navi le
bastie che il marchese di Ferrara avea piantato a Santo Alberto, e le
presero: locchè cominciò a far paura alla stessa Ferrara. Nè minor
affanno diede la loro armata grande di terra alla città di Padova;
perchè nel dì 17 di novembre, superati i serragli, entrò nel ricco
Piovado di Sacco, e fece immensi bottini, con essere ancora rimasto
ferito lo stesso Francesco da Carrara nel caldo di una zuffa[2245].
Spedirono poscia i Veneziani sei mila tra cavalli e fanti verso Verona,
i quali dopo una crudel battaglia furono disfatti da Jacopo da Carrara,
colla prigionia di due mila e secento persone. Il Delaito, autore più
esatto[2246] del Gataro, fa molto minore di gente e di prigioni questo
fatto. Così terminò l'anno presente, foriere al certo di maggiori
disavventure a Francesco II da Carrara, per la esorbitante potenza de'
suoi nemici.
 
NOTE:
 
[2227] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[2228] Theodoricus de Niem, Hist.
 
[2229] Vita Bonifacii IX, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
 
[2230] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[2231] Vita Innocentii VII, P. II, tom. 3 Rer. Italic.
 
[2232] Sozomenus, Hist., tom. 16 Rer. Ital.
 
[2233] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
 
[2234] Corio, Istoria di Milano.
 
[2235] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
 
[2236] Redus., Chronic., tom. eod.
 
[2237] Sozomenus, Chron., tom. 16 Rer. Italic. Benvenuto da S. Giorgio,
Istor. del Monferrato, tom. 23 Rer. Ital.
 
[2238] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[2239] Ammirat, Istor. di Firenze, lib. 166. Bonincontrus, Annal., tom.
21 Rer. Ital.
 
[2240] Bandin., Hist. Senens., tom. 20 Rer. Ital.
 
[2241] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
 
[2242] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2243] Gatari, Istoria di Padova, tom. 17 Rer. Ital. Delayto, Annal.,
tom. 18 Rer. Ital.
 
[2244] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
 
[2245] Gatari, Istor. di Padova, tom. 17 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCCV. Indizione XIII.
 
INNOCENZO VII papa 2,
ROBERTO re de' Romani 6.
 
 
Non fu men gravida di funeste guerre e rivoluzioni l'Italia in
quest'anno che nel precedente[2247]. Stavasene assai quieto _papa
Innocenzo_ nel palazzo vaticano, dove nel dì 12 di giugno fece la
promozione di undici cardinali, tutte persone di merito. Ma non
erano già quieti i Romani, irritati spezialmente da _Giovanni dalla
Colonna_ nemico del papa, e, quel che fu peggio, fomentati ancora da
_Ladislao re di Napoli_, principe ambizioso, che ardea di voglia di
ghermire la stessa città di Roma, con disegno di farsi strada alla
corona imperiale. Mandò egli un corpo di cavalleria in aiuto di essi
Romani[2248], che tentarono di occupar Ponte Molle, dove era presidio
pontifizio, e dipoi misero campo sotto castello Sant'Angelo. Gli Orsini
tenevano la parte del papa. Seguirono alquanti combattimenti, e si
progettò poi di far concordia. Andarono undici de' principali Romani
a trattarne col papa, il quale, siccome uomo mansueto ed amator della
pace, favorevolmente gli ascoltò e licenziò[2249]. Ma ritornandosene
costoro a casa, e passando davanti allo spedale di Santo Spirito, dove
era alloggiato _Lodovico dei Migliorati_ nipote del pontefice, ed uomo
bestiale, colle soldatesche di Mostarda condottier d'armi, fece a sè
venirli esso Lodovico, e con orrida crudeltà li fece tutti tagliar a
pezzi, e gittar giù dalle finestre i loro corpi. Questo barbaro scempio
avvenne nel dì 6 d'agosto. Siamo accertati da Leonardo Aretino[2250],
scrittore insigne, che si trovava allora nella corte di Roma, da
Teodorico di Niem[2251], dal Bonincontro[2252], da Sozomeno[2253] e
da altri che quest'atto d'inumanità fu fatto senza menoma saputa,
nonchè senza consenso del buon pontefice, placido e lontanissimo
dal far sangue, e molto più da sì fatti eccessi. Allora il popolo
romano diede campana a martello, ed infuriato si mise a perseguitar
gli aderenti del papa, saccheggiò le lor case; e crebbe talmente il
furore e la sollevazione, che il papa coi cardinali, per timor di sua
vita, fu costretto a prendere nel dì 6 d'agosto la fuga, con ritirarsi
a Viterbo. S'impadronirono affatto di Roma i cittadini, non volendo
riconoscere Innocenzo per papa; diedero il sacco al palazzo pontificio,
ed uccisero anche molte persone, massimamente dei cortigiani non
fuggiti. Fu in questa occasione sollecito il re Ladislao a mandar
gente a prendere il possesso di Roma[2254]; e però nel dì 20 d'agosto
ecco comparire nel portico di San Pietro il conte di Troia e conte da
Carrara con molte squadre di Ladislao. Se l'ebbero a male i Romani, e
misero tosto le sbarre al ponte di Sant'Angelo. Tutti poscia in armi
impedirono valorosamente ai regnicoli il passare il ponte. Allora
fu che Mostarda da Forlì bravo condottier di armi restò ucciso da
_Paolo_ ossia da _Antonio Orsino_. Finalmente con iscorno e danno se
ne tornarono a Napoli quelle soldatesche; furono cacciati i Colonnesi e
Savelli, e Roma restò in possesso del popolo. Ma castello Sant'Angelo,
di cui era governatore Antonello Tomacello, si tenne all'ubbidienza
d'esso re. Intanto _Baldassare Cossa cardinale_ legato di Bologna
tutto dì andava studiando le maniere di ricuperare le terre perdute
della Chiesa[2255]. Mosse primieramente guerra al _conte Alberico_
gran contestabile, e al _conte Manfredi_ da Barbiano. Gli addormentò
con una tregua o pace fatta a dì 11 di marzo in castello San Pietro;
ma perchè uomo pieno di cabale, prometteva molto ed attendeva poco,
nel principio di giugno ripigliò la guerra contra di essi, e tolse
loro alquante castella. Fece decapitare Cecco da San Severino, valente
condottier d'armi, perchè non aveva eseguito un suo comandamento. Fatto
anche venir con inganno a Faenza _Astorre de' Manfredi_, già signor di
quella città, gli appose, oppure fece costare ch'egli menava trattati
per rientrare in essa città, e gli fece nel dì 28 di novembre spiccar
la testa dal busto. Morì in quest'anno[2256] dopo lunga malattia a'
dì 8 di settembre _Cecco_, cioè _Francesco degli Ordelaffi_, signore
di Forlì, di Sarsina e d'altre terre, lodato da alcuni per suo valore
e per l'amore della giustizia. Ma il Delaito[2257] scrive che Cecco
malato fu ucciso dal popolo, il quale s'era levato a rumore, e tolse
di vita anche un giovinetto figliuolo di lui. Segno non è questo
ch'egli godesse il concetto di molte virtù. Gli succedette nel dominio
_Antonio_ suo picciolo figliuolo; ma da lì a poco saltò in testa a
quel popolo di governarsi a repubblica, ed eseguì il suo disegno.
Corse colà nel seguente mese il cardinal Cossa col suo esercito,
pretendendo d'ordine del papa la signoria di quella città. Virilmente
gli fecero fronte i Forlivesi; laonde egli addormentò ancor questi con
un trattato[2258], permettendo loro il governo coll'obbligo di pagare
l'annuo censo alla camera apostolica.
 
Dacchè riuscì al prepotente regio governator di Genova _Bucicaldo_
d'indurre quel popolo a levar l'ubbidienza a papa _Innocenzo VII_, per
sottomettersi a Pietro di Luna, cioè all'_antipapa Benedetto XIII_,
ardeva esso antipapa di voglia di far la sua comparsa in Italia[2259].
Venne con questa intenzione a Nizza, dove si fermò finchè la stagione
migliore gli assicurasse il viaggio, e finalmente per mare nel dì 26 di
maggio arrivò a Genova. Un solenne accoglimento gli fu fatto da quel
popolo per paura del governatore; poichè per altro i più teneano in
lor cuore per vero papa il solo Innocenzo. Grandi cose volgeva in sua
mente esso antipapa, soprattutto per iscreditare ed atterrare il suo
avversario, spacciando sè stesso pronto alla cession del papato per
riunire la Chiesa, ed Innocenzo all'incontro alieno dall'udir parlare
di rinunzia. La verità si è, che nè l'uno nè l'altro aveano voglia
di dimettere si gran dignità, e andavano giocando fra loro senza mai
nulla conchiudere, facendo anche gli scrupolosi con dire di temer di
fare un gran peccato rinunziando. In questo mentre ecco la peste entrar
in Genova, morirvi uno dei suoi cardinali, infettarsi alcuni de' suoi
cortigiani. Affine di sottrarsi a questo pericolo, nel dì 8 d'ottobre
l'antipapa si ritirò da Genova, e andò a mettere la sua residenza in
Savona. Intanto i Fiorentini vagheggiavano Pisa, ben conoscendo che
_Gabriello Maria Visconte_ non avea nè forze nè testa per sostenersi
in quel dominio[2260]. Nulladimeno, in vece di adoperar la via delle
armi, si gittarono al maneggio per indurre Gabriello a cedere quella
città, con ricevere in contraccambio grossa somma di danaro. Ma
Bucicaldo guastava ogni lor macchina. Vinsero questo oppositore con
rappresentargli che, data loro Pisa, potrebbono tutti accudire a salvar
dalla rovina il signore di Padova, il quale con calde istanze loro si
raccomandava. Probabilmente per la speranza o promessa del soccorso
de' Fiorentini e Genovesi egli era entrato in quel pericoloso ballo.
Si convenne in fine che Gabriello vendesse Pisa a' Fiorentini; il che
penetrato dai Pisani, la città si levò a rumore, e fu costretto il
Visconte a rifugiarsi nella cittadella, dove Bucicaldo inviò tanta
gente e vettovaglia da potersi difendere. Fu poi conchiusa la consegna
d'essa cittadella, e la cession d'ogni ragione di Pisa ai Fiorentini,
i quali si obbligarono di pagare a Gabriello ducento sei mila fiorini
d'oro. Gino Capponi[2261], che ci lasciò una diffusa descrizione di
tutta la tragedia di Pisa, quegli fu che maneggiò l'affare, e prese il
possesso della cittadella suddetta nel dì 31 d'agosto, pagata parte
del pattuito danaro. Morivano di rabbia i Pisani al vedersi venduti
come pecore, e tanto più ai Fiorentini, antichi loro emuli e nemici.
Perciò nel dì 6 di settembre furiosamente si scatenarono contra d'essa
cittadella, e venne lor fatto di ripigliarla più per azzardo o per
poltroneria dell'uffizial fiorentino, lasciato ivi dal Capponi, che per
loro insigne bravura. Il che fatto, spedirono ambasciatori a Firenze,
chiedendo Librafatta ed altre terre consegnate a quel comune, con
esibire il rifacimento delle spese. Non l'intesero per questo verso
i Fiorentini; vollero

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