Annali d'Italia 175
Altro dunque far non potendo quel comandante, nel secondo giorno di
agosto cavò di Castello Nuovo l'infante don Pietro fratello del _re
Alfonso_, lasciando in sua vece alla custodia di quella fortezza messer
Dalmeo[2542]; e, dopo aver danneggiata la marina, arrivò circa la
metà di esso mese insieme coll'infante a Messina. Vi ha chi riferisce
all'anno seguente questo fatto. Venuto poi il settembre, esso _don
Pietro_ e _don Federigo_ suo fratello fecero vela colla flotta verso
l'Africa, per bottinare addosso ai Mori. In una rotta che diedero ad
essi ne fecero prigioni più di tre mila.
Mentre queste cose si faceano nel regno di Napoli, si andò sempre
più riscaldando la guerra in Romagna tra _Filippo Maria Visconte_ e
i _Fiorentini_[2543]. Troppo di mal occhio miravano questi entrate
le armi duchesche in Forlì; perchè l'avere ai confini un principe
di tanta potenza, giusta gelosia facea nascere nel cuore di quel
molto avveduto popolo. Crebbero maggiormente i dissapori e sospetti,
dappoichè le armi del medesimo duca per tradimento misero nel dì
primo di febbraio il piede in Imola, e fecero prigione _Lodovico degli
Alidosi_ signore di essa città[2544], che fu mandato a Milano. Questi,
dopo essere stato parecchi mesi nelle carceri, rilasciato, si fece
frate dell'osservanza di San Francesco. Spedirono perciò i Fiorentini
_Carlo_ e _Pandolfo Malatesti_ signori di Rimini[2545], e circa dieci
mila tra cavalli e fanti in Romagna. Dopo avere l'esercito duchesco,
comandato da _Angelo dalla Pergola_, ridotto in angustia il castello
di Zagonara[2546], Carlo de' Malatesti per soccorrerlo s'inviò verso
quelle parti. Però si venne ad un fatto di armi nel dì 27 oppure
28 di luglio, in cui sbaragliato restò prigioniere lo stesso Carlo
Malatesta, e lasciaronvi la vita _Lodovico degli Obizzi_ da Lucca,
_Orso degli Orsini_ da Monte Ritondo ed altri assaissimi. Tre mila e
ducento cavalli furono presi, oltre alla perdita del bagaglio. Dopo
questo prosperoso avvenimento passò l'armata duchesca all'assedio di
Forlimpopoli, e nel dì 13 d'agosto se ne impadronì. Lo stesso fece di
Bertinoro, Savignano e d'altre castella di que' contorni. Tolse anche
ai Fiorentini Bagno, Dovadola e d'altre terre, e quattro castella
nel territorio di Pesaro, ed altre in quello di Rimini. Leggesi
minutamente descritta questa guerra da Andrea Biglia scrittore di
questi tempi. Fu condotto prigioniere a Milano _Carlo Malatesta_; ma
in vece di trovare nel duca un nemico, vi trovò un magnanimo amico.
Tosto fu messo in libertà, accolto con onore ed amorevolezza dal duca,
e dopo essere stato ben trattato, nel gennaio dell'anno seguente,
caricato anche di regali, se ne tornò libero a casa. Fecegli inoltre
restituire il duca tutte le castella a lui prese, con grave danno
non di meno di coloro che le aveano rendute, perchè come colpevoli
furono ben pelati da esso Malatesta. Con questa generosità trasse il
duca nel suo partito i Malatesti. Voce comune fu, che se nel bollore
di questa fortuna il duca spigneva le sue armi in Toscana, avrebbe
ridotto a mal termine i Fiorentini, perchè Cortona, Arezzo ed altre
terre stavano colle mani giunte aspettando chi loro porgesse aiuto per
sottrarsi al dominio di Firenze. Ma nulla di più si tentò nell'anno
presente, e nel susseguente mutarono faccia le cose. Mandò il duca
Filippo Maria nel novembre di quest'anno per governatore di Genova il
_cardinal Jacopo Isolani_[2547]: dal che si avvide il conte _Francesco
Carmagnola_ di essere chiaramente decaduto dalla grazia del duca.
Portatosi ad Abbiate per avere udienza dal duca, non potè averla, e
però indispettito si ritirò ad Ivrea in Piemonte[2548]. Ebbe il duca
fra non molto tempo a far gran penitenza di questa sua sconsigliata
risoluzione. Perdè egli un gran capitano, ed uno ne provvide ai nemici
suoi per propria rovina. Occupò bensì il duca i beni sì feudali che
allodiali di esso Carmagnola, i quali il Biglia fa ascendere a quaranta
mila fiorini di rendita: guadagno nondimeno da nulla, dacchè in breve
vedremo ciò che gli costasse l'aver per nemico un generale di sì gran
vaglia. I motivi poi dell'alienato animo del duca a me sono ignoti.
Forse l'incontentabilità dei generali d'allora, fattasi conoscere nel
Carmagnola, stancò il duca; se pur non volesse talun sospettare che le
stesse facoltà sì abbondantemente a lui donate gli facessero guerra
nell'animo del duca, siccome fecero una volta a Seneca in quel di
Nerone.
NOTE:
[2533] Raynald., Annal. Eccles.
[2534] Vita Martini V, P. II, tom. 3 Rer Ital. Mariana, Histor., et
alii.
[2535] Cribell., Vit. Sfortiae, tom. 19 Rer. Ital.
[2536] Cribell., Vit. Sfortiae, tom. 19 Rer. Ital.
[2537] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
[2538] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2539] Corio, Istor. di Milano.
[2540] Redus., Chron., tom. 19 Rer. Ital. Leonardus Aretin., Hist.,
tom. eod. Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2541] Raynaldus, Annal. Eccles. Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
S. Antoninus, et alii.
[2542] Hist. Sicula, tom. 24 Rer. Ital.
[2543] Ammirat., Istor. di Firenze, lib. 18. Chron. Foroliviens., tom.
19 Rer. Ital.
[2544] Billius, Hist., lib. 4, tom. eod.
[2545] Matth. de Griffon., Chron., tom. 18 Rer. Italic.
[2546] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXV. Indiz. III.
MARTINO V papa 9.
SIGISMONDO re de' Romani 16.
Degli affari di Napoli in questi tempi non ho scrittore antico che
ne parli; e certo nulla di rilevante occorse in quelle parti. Nè
il _pontefice Martino_ mi porge motivo di parlare d'alcuna azione
sua appartenente all'Italia. La sola guerra de' Fiorentini col
duca di Milano quella è che diede allora pascolo agli amatori delle
novelle[2549]. Aveano essi Fiorentini condotto al loro soldo _Oddo
Fortebraccio_ figliuolo del già defunto Braccio, e _Niccolò Piccinino_,
che aveano, col radunar le disperse milizie braccesche, messa insieme
una picciola armata. Correva il mese di gennaio, quando fu ordinato
a questi due condottieri di passar l'Apennino per venire in Romagna
ad unirsi colle altre soldatesche fiorentine. Eglino, benchè mal
volentieri, in tempo sì aspro si misero in viaggio; ma, giunti in
Val di Lamone nel dì primo di febbraio, parte dai paesani di Maradi
che presero le armi, e parte dalla gente del duca posta in aguati,
furono assaliti, sconfitti e i più fatti prigioni. Vi lasciò la vita
il suddetto figliuolo di Braccio valorosamente combattendo[2550], e
fra gli altri rimasero prigionieri il suddetto Niccolò Piccinino con
_Francesco_ suo figliuolo, _Niccolò da Tolentino_ e il _conte Niccola
Orsino_, che furono condotti a Faenza[2551], giacchè _Guidazzo de'
Manfredi_ signore di quella città era allora in buona armonia col duca
di Milano. Ma o sia, come alcuni vogliono[2552], che il Piccinino si
prevalesse di questa sua disgrazia in favore de' Fiorentini, oppure
che il _conte Guidantonio_ da Urbino, o, come vuole il Poggio[2553],
lo stesso _Carlo Malatesta_ gli facesse mutar animo: fuor di dubbio è
che il signor di Faenza in quest'anno, nel dì 29 di marzo, ripudiata
l'amicizia del duca di Milano, ed ottenute vantaggiose condizioni,
entrò in lega co' Fiorentini, che mandarono tosto a lui un rinforzo
di due mila persone. Mossero nello stesso tempo i Fiorentini contra
del duca di Milano _Tommaso da Campofregoso_ già doge di Genova,
e signore allora di Sarzana, ed inoltre lo stesso _Alfonso re di
Aragona_, il quale, disgustato di lui e dei Genovesi per la guerra
fattagli in Napoli, comandò che la sua flotta ostilmente procedesse
contra di Genova[2554]. Comparvero dunque ventiquattro galee catalane
nel dì 24 di aprile davanti a Genova, ad alta voce gridando le
ciurme: _Vivano i Campo Campofregosi_, credendo forse che la fazion
de' Fregosi facesse movimento. Nulla di ciò seguì; anzi fu in armi
tutto il popolo per la difesa, perchè il solo nome de' Catalani,
troppo odiati in essa città, bastava a concitar ciascuno contro di
quella nazione. Però fecero vela i Catalani alla volta di Porto-Fino,
e, saccheggiato quel luogo, andarono poi girando per quelle riviere
affin di secondare ed avvalorare i tentativi che nello stesso tempo
fece Tommaso da Campofregoso unito con altri fuorusciti di Genova,
a' quali riuscì di prendere Rapallo, Recco, Sestri, Moneglia,
Castiglione, Chiavari ed altri luoghi. Fece il duca armare in Genova
dieciotto galee ed otto grosse navi per opporle ai Catalani, e queste
nulla operarono. Gli convenne anche d'inviare cinque mila fanti,
comandati da _Niccolò Terzo_ a Sestri, per impedire i progressi del
Campofregoso aiutato da' Fiorentini. Ma questa gente, venuta alle mani
co' nemici, rimase sconfitta colla prigionia di più di mille persone,
e morte di circa settecento. Per tale disgrazia concepì il duca dei
sospetti contra di alcuni Genovesi, e li mandò a' confini. Intanto
_Guido Torello_ generale dell'armata ducale, ch'era in Romagna, passò
in Toscana su quello d'Arezzo, e portò la guerra in casa altrui.
Furono in campagna anche le milizie fiorentine; e, passato, nel dì 9
d'ottobre, in vicinanza della terra d'Anghiari, quivi ebbero una gran
rotta con perdita o prigionia di moltissimi cavalli e fanti[2555].
Successivamente presso alla Faggiuola rimase disfatto un altro lor
corpo d'armati con lasciarvi prigioni più di mille fanti. A queste
disavventure s'aggiunse la terza. Rimesso in libertà _Niccolò
Piccinino_, era ritornato al loro servigio; e perchè il tiravano in
lungo senza accordargli la sua riferma, come egli ne faceva istanza,
perduta la pazienza, all'improvviso si partì da loro colle sue truppe,
e si ritirò a Perugia sua patria (forse nella primavera dell'anno
seguente), e fu ingaggiato al suo servigio dal duca di Milano[2556].
Per questo, secondo l'uso di questi tempi, si vide dipinto esso
Piccinino nel palazzo pubblico di Firenze qual traditore appiccato
per un piede. La stessa pena, qualunque sia, patirono[2557] _Alberico
conte_ di Cunio, _Ardizzone da Carrara, Cristoforo da Lavello_ ed altri
capitani, che in quest'anno si ritirarono dal servigio dei Fiorentini.
Non però fra queste sciagure si avvilì punto l'animo grande di quel
popolo. Attesero essi a provvedersi altronde di gente; ma la maggior
loro speranza la misero nel soccorso de' Veneziani[2558]. Spedirono
dunque a Venezia nel novembre per ambasciatore _Lorenzo Ridolfi_,
oppure, come scrive il Poggio, _Palla Strozzi_ e _Giovanni de Medici_,
che rappresentarono lo stato vacillante della repubblica fiorentina:
caduta la quale, anche la Terra ferma de' Veneziani restava in
pericolo di perdersi. Pervennero anche colà gli ambasciatori del
duca a sostener le ragioni di lui[2559], e ad impedire il negoziato
de' Fiorentini. Mostrò quel saggio senato desiderio che il duca
s'acconciasse co' Fiorentini; e il duca non mancò di propor loro pace
o tregua; ma nè l'uno nè l'altro piacque ai Fiorentini, i quali co'
Veneziani pretendeano che il duca lasciasse Genova in libertà, nè
s'impacciasse negli affari della Romagna: al che il duca non seppe
acconsentire. Sicchè nell'anno appresso strinsero insieme lega Venezia
e Firenze, con obbligazione imposta a' Fiorentini di pagare la metà
della spesa, facendosi guerra col duca di Milano. Indubitata cosa è
poi che il principal promotore di questa guerra fu il _conte Francesco
Carmagnola_, insigne capitano di questi tempi: tanto seppe egli soffiar
nel fuoco, ed accendere l'animo de' Veneti contra del Visconte, i
quali già apprendevano che il duca senza freno era dietro ad ingoiare
chiunque gli era vicino. Disgustato, siccome dissi, del duca, per
colpa nondimeno de' mali arnesi ch'egli teneva in sua corte, arrivò il
Carmagnola per gli Svizzeri a Venezia nel dì 23 dì febbraio, travestito
con venti famigli e gran tesoro. Ebbe subito da' Veneziani la condotta
di trecento cavalli, e l'annua pensione di sei mila ducati. Si sa
ancora ch'egli rivelò a quella signoria non pochi segreti del duca: lo
che servì ad incoraggirli alla guerra. Mancò di vita per la pestilenza
nel luglio di quest'anno[2560] il fanciullo _Tebaldo Ordelaffi_ signore
di Forlì, per cagione di cui era insorta la guerra in Romagna. Dimorava
in questi tempi[2561] _Gabrino Fondolo_, già tiranno di Cremona, in
Castiglione, forte castello, poche miglia distante da quella città.
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