2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 149

Annali d'Italia 149


Anno di CRISTO MCCCCI. Indizione IX.
 
BONIFAZIO IX papa 13.
ROBERTO re de' Romani 2.
 
 
Il secolo quintodecimo, a cui do ora principio, noi lo vedremo non
meno agitato dalle guerre e rivoluzioni, che i barbarici precedenti.
Tuttavia per due capi, cioè per le lettere e per la milizia, lo
troveremo differente dai finora scorsi, e molto superiore ai medesimi.
Non v'ha dubbio che nell'antecedente secolo cominciarono le buone
lettere, troppo depresse in addietro, ad alzare il capo, e massimamente
si ravvivò la lingua latina. Contribuì allora a ciò non poco Francesco
Petrarca, uomo singolare, colle sue opere latine. Ho io parimente
dato alla luce le Storie di Ferreto Vicentino, e di Albertino Mussato
Padovano, che non aspettarono il Petrarca a lavorar con istile non
disprezzabile le loro storie. Sopra tutti meritano attenzione le
opere di Pietro Paolo Vergerio Justinopolitano, il seniore, che
per l'eloquenza son tuttavia assaissimo da prezzare. Ma in questo
secolo quintodecimo si dilatò sì fattamente lo studio delle lettere
in Italia, che n'uscirono uomini per letteratura famosi, dei quali
anche oggidì ammiriamo il sapere. Tanta è la copia d'essi, ch'io non
mi metto a rammentarne neppur uno. Quello che specialmente cominciò
a spronar gl'Italiani fu la venuta a Venezia sul fine del precedente
secolo, e il passaggio dipoi a Firenze di Manuello Crisolora fuggito
da Costantinopoli, il quale ben salariato si diede ad insegnare alla
gioventù la lingua greca; e questa maggiormente accese lo studio
della latina. Dagli Italiani susseguentemente impararono gli altri
regni cristiani. Similmente nacquero nel presente secolo molti
insigni uomini, che poscia ristorarono e perfezionarono la pittura,
cioè Leonardo da Vinci, Pietro Perugino, Michel Angelo Buonarroti,
Tiziano, Andrea del Sarto, Antonio Allegri detto il Correggio, Rafaello
d'Urbino, ec. Per conto della milizia abbiam veduto che nel precedente
secolo gl'Italiani costituirono il nerbo maggiore delle lor forze ed
armate nella cavalleria straniera. Calavano allora a truppe i Tedeschi
ed altri oltramontani, chiamati, o spontanei, in Italia, ben sicuri di
trovar soldo o dai principi o dalle città libere. Ma s'è anche veduto
quanto grande fosse l'avarizia loro, quanto poca la fede; e il maggiore
di tutti i mali, fu lo aver essi introdotte le maledette compagnie
di masnadieri, che sì lungamente afflissero le nostre contrade.
Conobbero infine gl'Italiani di avere anch'essi mani, coraggio ed
armi; e, lasciati andar gli stranieri, divennero agguerriti, ed ebbero
capitani e generali di rara maestria e valore nel mestiere delle armi.
Spezialmente in questi tempi fioriva _Alberico conte di Barbiano_,
dianzi gran contestabile del regno di Napoli, dalla cui scuola uscirono
altri insigni capitani. Così abbiam veduto Jacopo del Verme, Biordo e
Broglia e Carlo Malatesta, che morì di peste nel precedente anno in
Empoli. E qui conviene far menzione di Sforza degli Attendoli, nato
in Cotignola della Romagna[2183] nell'anno 1369 a dì 10 di giugno. Il
Bonincontro[2184], il padre Bonoli[2185] ed altri non pochi scrivono,
essere stata nobile la casa degli Attendoli onde egli uscì. Ma può
restar del sospetto, che se gli attribuisse questa nobiltà, dappoichè
egli, fu col suo valore salito in alto, e tanto più dappoichè Francesco
suo figliuolo, anche più insigne nelle armi del padre, giunse a
conquistare il ducato di Milano. Antica tradizion certo fu, ch'egli,
zappando la terra, ed invitato da alcuni al mestiere delle armi,
gittasse la zappa sopra una quercia, per prenderne augurio; se calava,
di seguitar nel suo esercizio, e se restava nell'albero, di abbracciar
la milizia. Non cadde la zappa, ed egli marciò alla guerra, dove per
le sue violenze gli fu posto il soprannome di Sforza; e già in questi
tempi avea cominciato ad acquistarsi il nome di valente guerriero, e
comandava ad una squadra d'armati. Per testimonianza del Giovio, i suoi
posteri Sforzi duchi di Milano non credeano falsa tal tradizione; e da
qui a non molto noi vedremo esso Sforza nominato dai Romani _villano da
Cotignola_. In questo medesimo anno, trovandosi esso Sforza al servigio
dei Fiorentini con cento cinquanta uomini d'armi in San Miniato, Lucia
Trezania, tenuta da lui per moglie di coscienza, ma poi ripudiata,
partorì a' dì 23 di luglio Francesco figliuolo di lui, che col tempo fu
gloriosissimo duca di Milano. Questo basti per ora.
 
Abbiamo dal Rinaldi[2186] che circa questi tempi _papa Bonifazio_,
portato alla clemenza, ricevette in sua grazia Giovanni e Niccolò
dalla Colonna, che colla corda al collo gli chiesero perdono. Lo
stesso fece con Giacobello Gaetano figliuolo del defunto Onorato
conte di Fondi, cioè di un gran nemico di esso papa, confermandogli
alcuni feudi già spettanti alla sua casa nello Stato pontifizio.
Ma l'avversario suo, cioè l'_antipapa Benedetto_, che tuttavia era
sequestrato nel palazzo, ossia castello di Avignone, ebbe maniera in
quest'anno di guadagnare _Lodovico duca d'Orleans_ reggente del regno.
Questi riconciliò con lui i cardinali del suo partito, che l'aveano
dianzi abbandonato per le sue crudeltà contro la città d'Avignone.
Ratificò in tal congiuntura Benedetto le promesse fatte già di deporre
il preteso papato, se così richiedeva il bisogno della Chiesa; e con
ciò pare ch'egli riacquistasse la libertà. Ma, secondo altri atti, la
sua liberazione succedette nell'anno 1403. Attese in questi medesimi
tempi[2187] Ladislao re di Napoli a domar que' baroni che restavano
ribelli alla sua corona. All'uscita d'aprile cavalcò coll'esercito in
Calabria, e ridusse all'ubbidienza sua tutte quelle terre, a riserva
di Cotrone e di Reggio, che Niccolò Ruffo conte di Catanzaro consegnò
alle genti di _Lodovico d'Angiò_, con andarsene dipoi in Provenza.
Ma Ladislao tanto poi fece, che espugnò i Franzesi, ed ebbe tutto. E
perciocchè morì l'almirante di casa Marzano, stato in addietro suo
nemico, si volse con gl'inganni a distruggere quella casa, e sotto
colore di un matrimonio trasse nella rete Goffredo figliuolo di esso
almirante, con torgli Tiano, Alife e il ducato di Sessa. Aggiugne
il Bonincontro[2188] che in questo medesimo anno Ladislao cacciò
da Amalfi Ruggieri Britanno, che avea occupato quel paese; ricuperò
tutto l'Abruzzo; e poi, dimentico de' benefizii a lui compartiti da
Dio, quantunque i Sanseverini si fossero uniti con lui, ed avessero
mirabilmente contribuito a rimetterlo in Napoli, pure perchè gli erano
stati contro in addietro, prese Tommaso ed alcuni altri di essi, e
li cacciò in prigione. Un pari trattamento fece al duca di Venosa e
al vescovo di Biseglia. Che mal verme fosse Ladislao, di qui si può
cominciar a comprendere. Ma negli Annali di Forlì[2189] l'oppressione
de' Sanseverineschi vien rapportata all'anno 1404. E conviene aver
pazienza se non si possono con ordinata cronologia riferire i fatti
del regno di Napoli. Appena s'udì l'elezione di _Roberto di Baviera_ re
dei Romani, coronato in quest'anno, correndo la festa dell'Epifania, in
Colonia da quell'arcivescovo _Federigo_, e traspirò l'inclinazione sua
di calare in Italia contra di _Gian-Galeazzo duca_ di Milano[2190], che
i Fiorentini gli spedirono ambasciatori a confortarlo e sollecitarlo
a questa impresa. Al pari di loro, anche papa Bonifazio si studiò di
muoverlo, siccome irritato contro il duca per l'occupazione da lui
fatta di Perugia, Assisi ed altre terre della Chiesa. Si accordarono
i Fiorentini di pagargli ducento mila fiorini d'oro, cioè cento mila
allorchè fosse sboccato in Italia l'esercito di lui, e il resto in
altre rate. Ben volentieri, ed apertamente, _Francesco da Carrara_
signore di Padova, e segretamente i Veneziani aderirono a questa
lega. Ma _Niccolò Estense marchese_ di Ferrara, lungi dall'entrare in
questo ballo, nel mese di settembre, accompagnato da molta nobiltà
e genti d'armi in numero di quattrocento cinquanta cavalli, andò a
Pavia a visitare il duca di Milano, che l'accolse con molto onore e
finezze: cosa che ingelosì non poco i Veneziani, e fu cagione che
parlassero alto coi ministri dell'Estense, il quale seppe tenersi
neutrale in quelle scabrose contingenze. Sul principio d'ottobre fu
a Trento Roberto re de' Romani con bella gente di armi, e andò ad
unirsi seco colle sue ancora Francesco da Carrara, il quale fu creato
capitan generale di tutta l'armata. Avea già spedito Roberto le lettere
circolari, significando a' principi la sua venuta per prendere la
corona d'Italia, e intimando al duca di Milano di dimettere tutte le
città dell'imperio indebitamente da lui possedute. _Gian-Galeazzo_ gli
mandò per risposta, che nol conoscea per nulla, essendo _Venceslao_
legittimo re de' Romani, ed esso Roberto un usurpatore. Intanto
accrebbe l'esercito suo, e lo spedì ai confini de' suoi Stati, col
mettere specialmente un grosso presidio in Brescia, comandato da Facino
Cane e da Ottobon Terzo.
 
A quella volta appunto per disastrosi cammini calò, dopo la metà
d'ottobre, l'armata di Roberto, con cui erano ancora il burgravio
di Norimberga e _Leopoldo duca_ d'Austria. Già si erano ribellate
al Visconte alcune valli del territorio bresciano. Nell'esercito
del Visconte, oltre ai suddetti due capitani, si contavano _Teodoro
marchese_ di Monferrato, il _conte Alberico_ di Barbiano, _Carlo
Malatesta,_ _Galeazzo da Mantova, Taddeo del Verme_ ed altri capitani.
Molte scaramuccie si fecero con danno per lo più de' Tedeschi; ma
nel dì 21 d'ottobre si venne quasi ad un general fatto d'armi, in
cui restò scavalcato e prigione il duca d'Austria, colla morte e
prigionia di molte centinaia di Tedeschi, comparendo superiore ad
essi la bravura ed arte della milizia italiana. E se non era Jacopo
da Carrara figliuolo di Francesco signor di Padova, in piena rotta
andava tutto il campo di Roberto. L'essere stato rilasciato il duca
d'Austria da lì a tre giorni, fece insorgere sospetti ch'egli avesse
maneggiato cogli uffiziali del Visconte qualche trattato contra de'
Carraresi; di modo che questi si ritirarono colle lor genti, e nel dì 6
di novembre giunsero in salvo a Padova. Roberto anch'egli marciò alla
volta di Trento, dove si partì da lui in discordia il suddetto duca
coll'arcivescovo di Colonia[2191]. Son di parere altri storici che la
ritirata di Roberto procedesse da timore per la fiera spelazzata che
gli era toccata nel precedente conflitto. Certamente non mostrò egli
gran perizia nell'arte della guerra, nè seppe profittar punto delle
forze sue, benchè superiori a quelle del Visconte. Da Trento venne
poscia Roberto a Padova, e vi entrò con tutta la sua baronia nel dì
18 di novembre. Trasferissi di là a Venezia nel dì 10 di dicembre,
accompagnato dal signore di Padova. Di grandi consigli si tennero quivi
coll'intervento degli ambasciatori fiorentini, per continuar la lega
e la guerra contro il duca di Milano. Ma Roberto dimandava danari, e i
danari ostinati non voleano venire[2192]: però non si trovava maniera
d'accordo fra essi contraenti. Sino al fine dell'anno si fermò in
Venezia Roberto. Regnò ancora in quest'anno la confusione in Genova,
troppo essendo avvezzi que' cittadini e i distrettuali ancora alle gare
e sedizioni[2193]: finchè nel dì ultimo d'ottobre colà arrivò_ Giovanni
il Meingle_, soprannominato _Bucicaldo_, maresciallo del re di Francia,
personaggio di mirabil vivacità e franchezza, a ripigliar le redini di
quel governo. Seco condusse circa mille uomini d'armi, e fu accolto con
grande onore. Fattesi egli tosto consegnar quelle fortezze che erano in
mano de' Genovesi, nel dì 2 di novembre chiamò a sè Batista Boccanegra
e Batista dei Franchi Lusiardo e dopo averli messi sotto guardia, li
sentenziò a morte, perchè avessero usurpata la rettorìa della città
senza licenza del re ne' passati tumulti. La sentenza fu eseguita ad
un'ora di notte nella piazza del pretorio contra del Boccanegra, a cui
fu mozzato il capo. Dovea farsi lo stesso del Lusiardo, già 

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