2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 188

Annali d'Italia 188



[2738] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2739] Raynaldus, Annal. Eccles. Labbe, Concil., tom. 12.
 
[2740] Cronica di Ferrara, tom. 24 Rer. Ital.
 
[2741] Naucler., Gen. 48. Æneas Sylvius, Hist. Bohem.
 
[2742] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, tom. 21 Rer. Ital. Neri
Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital. Ammirati, Istor. di Firenze, lib.
21.
 
[2743] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2744] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
 
[2745] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 4, tom. 21 Rer. Italic.
 
[2746] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
 
[2747] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2748] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Italic.
 
[2749] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2750] Rubeus, Hist. Ravenn., lib. 7. Cronica di Rimini, tom. 15 Rer.
Ital.
 
[2751] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2752] Annal. Foroliviens., tom. eod.
 
[2753] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital. Simonetta, Vita Francisci
Sfortiae, lib. 3, tom. 21 Rer. Italic.
 
[2754] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2755] Istoria Bresciana, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2756] Platin., Hist. Mant., lib. 5.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCCXXXIX. Indiz. II.
 
EUGENIO IV papa 9.
ALBERTO II re de' Romani 2.
 
 
Era entrata la peste anche nella città di Ferrara. Tra per questo
disordine e pericolo, e perchè il _pontefice Eugenio_ non si trovava
assai quieto in quella città, da che _Niccolò Piccinino_ avea presa
Bologna, Imola e Ravenna[2757], determinò egli coi Padri di trasferire
il concilio generale a Firenze. A questo cangiamento si accomodarono
ancora l'imperadore e il patriarca de' Greci. E però nel dì 16 di
gennaio[2758] il papa imbarcato in una peota, servito dal _marchese
Niccolò_ di Este, sen venne a Modena co' cardinali, e per le montagne
fu condotto sicuro sino a Firenze da esso marchese; giacchè niun d'essi
si attentava di passare per Bologna, e suo distretto, perchè occupato
dal Piccinino. L'imperador _Giovanni Paleologo_ e il patriarca greco
cogli altri vescovi orientali sul fine del medesimo mese s'inviarono
anch'essi a quella volta, avendo loro conceduto il passo per la valle
di Lamone il signor di Faenza. Fu dunque continuato in Firenze il
suddetto concilio con gloria immortale di papa Eugenio IV, perciocchè
ivi seguì la tanto sospirata unione delle Chiese latina e greca, benchè
col tempo non meno pegli spaventosi progressi de' Maomettani, che
per la perfidia de' Greci, poco frutto ne risultasse alla Chiesa di
Dio. Questa santa opera, che dovea calmare gli spiriti sediziosi dei
pochi vescovi tuttavia raunati in Basilea, servì forse a maggiormente
inasprirgli. E però la sfrenata loro ambizione si lasciò trasportare
nel dì 25 di giugno a formare il decreto della deposizione di Eugenio
papa legittimo, con orrore di tutti i buoni, e disapprovazione della
maggior parte del cristianesimo. Ma non tardò ad entrare nella stessa
città di Basilea la peste[2759], che fece gran paura a quei prelati, ed
alcuni ancora ne portò al tribunale di Dio; tuttavia gli altri, benchè
pochi, animati dal _cardinale d'Arles_, stettero saldi, e nel dì 5 di
novembre giunsero ad eleggere un antipapa. Questi fu _Amedeo duca_ di
Savoia, che vedemmo dianzi ritirato in sua vecchiaia a Ripaglia nella
diocesi di Ginevra, per far ivi vita eremitica, benchè non lasciasse
sotto quell'abito di far anche da duca. Sotta la sua lunga barba
non di meno e sotto quel rozzo abito alloggiava tuttavia l'antica
voglia di comandare; e però, presentatagli l'elezione, si contorse
bensì, e versò anche delle lagrime, ma in fine l'accettò. Prese il
nome di _Felice V_, senza molto ponderare l'empietà di quell'atto,
che non era mai scusabile nè presso Dio, nè presso gli uomini, avendo
egli rinnovato nella Chiesa di Dio lo scisma, tanto detestato dalle
leggi divine ed umane, e riprovato allora insino dal duca di Milano,
quantunque genero d'esso Amedeo. Dacchè papa Eugenio con tutte le sue
diligenze non avea potuto impedire questo scisma, informato che fu
dell'esecrabile attentato de' prelati di Basilea, fulminò, ma solamente
nell'anno seguente, contra d'essi la scomunica, e dichiarò eretico e
scismatico lo stesso Amedeo; e per fortificare il suo partito, nel dì
18 di dicembre dell'anno presente fece in Firenze una promozione di
diecisette cardinali di tutte le nazioni cattoliche.
 
Nel dì 27 d'ottobre di quest'anno[2760] fu da immatura morte rapito,
e non senza sospetto di veleno, _Alberto II duca_ d'Austria, re de'
Romani, d'Ungheria e di Boemia, e principe lodatissimo da tutti
gli storici. Lasciò gravida la _regina Isabella_ sua moglie, che
poi diede alla luce Ladislao, riconosciuto per loro re dai popoli
dell'Ungheria[2761]. Continuò in questo anno ancora nel regno di
Napoli la guerra fra i due nemici re _Alfonso d'Aragona_ e _Renato
d'Angiò_. Mantenevasi tuttavia in Napoli Castello Nuovo con guarnigione
dell'Aragonese. Fu esso assediato per terra e per mare dalle genti
di Renato, e non ostante lo sforzo fatto da Alfonso per soccorrerlo
di gente e di vettovaglia, con aver anche messo il campo intorno alla
stessa città di Napoli, quel castello nel dì di san Bortolomeo d'agosto
capitolò la resa, e fu consegnato agli ambasciatori del re di Francia,
i quali poi, maltrattati dal re Alfonso, lo diedero al re Renato.
Dopo questa perdita Alfonso, impadronitosi di Salerno, ne investì
_Raimondo Orsino_ cugino del principe di Taranto, e creollo anche duca
d'Amalfi. Ridusse del pari alla sua divozione _Americo Sanseverino_
conte di Caiazza, e tutti gli altri baroni di quella casa. Sul fine di
settembre essendosi mosso _Jacopo Caldora_ duca di Bari colle sue genti
dall'Abbruzzo per andarsi ad unire col re Renato, corse ad opporsegli
il re Alfonso, e il tenne un pezzo a bada, finchè esso Jacopo nel dì
18 di novembre, sorpreso da mortale accidente, finì i suoi giorni con
fama d'essere stato prode capitano, ma colla macchia di poca fede e di
molta avarizia. _Antonio Caldora_ suo figliuolo prese allora il comando
di quell'armata, e fu confermato duca di Bari, siccome _Raimondo_
suo fratello creato gran camerlengo. Erano i Caldoreschi la maggiore
speranza di Renato. In questi tempi il re Alfonso, che era padrone di
tutta la Terra di Lavoro, e continuamente angustiava Napoli, mise anche
l'assedio al castello d'Aversa: il che cagionò di grandi affanni al re
suo avversario.
 
Maggiormente fece strepito in questo anno la guerra di Lombardia[2762].
Avea _Niccolò Piccinino_, siccome già accennai, nell'ottobre dell'anno
precedente bloccata e stretta con alcune bastie la città di Brescia,
con isperanza di vincerla nel verno colla fame. Poco più di due mila
difensori v'erano dentro, perchè gran gente a cagion della peste
n'era uscita. Contuttociò que' cittadini fedelissimi alla repubblica
veneta, che odiavano il governo del duca di Milano, fecero delle
maraviglie in difesa della lor patria. Più e più assalti diede loro
il Piccinino, facendo anche incessantemente giocar le artiglierie
contro le loro mura; ma gl'intrepidi Bresciani sostenevano tutto,
provvedevano a tutto, e fino i preti e i frati menarono allora le mani.
Son diffusamente descritti questi fatti da Cristoforo da Soldo e dal
Platina. Ora in tali angustie i Veneziani, che nell'anno precedente
si erano mostrati quasi sprezzatori della lega co' Fiorentini, e
dell'aiuto del conte _Francesco Sforza_, mutarono ben massima e
linguaggio[2763]. Inviati a Firenze i loro ambasciatori, in tempo
che _Cosimo de Medici_, uomo saggio, era gonfaloniere, nel dì 18
di febbraio riconfermarono la lega, alla quale s'aggiunsero ancora
papa _Eugenio_ e i _Genovesi_. A niun d'essi tornava il conto che
prevalessero l'armi del Visconte, concordemente poi cominciarono
a sollecitare il conte Francesco, acciocchè portasse soccorso in
Lombardia agli affari sconcertati de' Veneziani. In questo mentre,
raccomandandosi forte i Bresciani a Venezia per ottenere aiuto,
perchè aveano tre nemici addosso, cioè l'armi del duca, la pestilenza
e la fame; ebbe ordine il _Gattamelata_ di passar colle sue truppe
pel Trentino, e per Lodrone ed Arco, a quella volta. Andò; ma nel
dì 12 di gennaio ebbe uno svantaggioso incontro colle soldatesche
del Piccinino, che teneano i passi, e gli convenne retrocedere.
Inoltratosi all'incontro in quelle parti Taliano Furlano con altre
milizie duchesche[2764], ebbe anch'egli nel dì 22 d'esso mese una
rotta da _Taddeo marchese_ d'Este e da _Parisio conte_ di Lodrone.
Irritato da questo fatto il Piccinino, marciò in persona a Lodrone; e,
dopo averlo preso, tornò sul lago di Garda per vegliare ad un'armata
di circa ottanta legni fra grandi e piccioli, che la repubblica
veneta fece con immense spese portare per terra sino a Torbola sul
lago suddetto. Tuttavia, perchè era troppo nemico dell'ozio, nel mese
di marzo si spinse sul Veronese, passò in faccia ai nemici l'Adige,
assediò e prese Legnago, Lonigo ed altre terre. In una parola non
passò il mese di maggio che quasi tutto il territorio di Verona e
Vicenza, sì il piano che il monte, si sottomise all'armi di lui e del
marchese di Mantova, di cui doveano essere Verona e Vicenza, qualora
se ne fossero impossessati. Ritirossi intanto il _Gattamelata_ nel
serraglio di Padova, premendogli di non avventurare ad una giornata la
salute della repubblica. Intanto fu rallentato l'assedio di Brescia con
somma consolazione di que' cittadini, che non ne poteano più. Questo
inoltrarsi cotanto del Piccinino era per opporsi al conte _Francesco
Sforza_, il quale, per le tante ragioni, preghiere e promesse a lui
recate dagli ambasciatori di Venezia e Firenze, s'era messo in viaggio
in soccorso dei Veneziani, giacchè scorgeva non potersi far capitale
delle speranze a lui date dal duca.
 
Dopo aver preso Forlimpopoli, il conte Francesco sen venne pel
Ferrarese con sette mila cavalli e quattro mila fanti ben in punto,
e sul principio di luglio giunse sul Padovano[2765]. Unitosi poi
coll'esercito del Gattamelata, in pochi giorni ebbe tutto il Vicentino
in sua balia. Avea fatto in questo mentre il Piccinino a Soave e ad
altri luoghi scavare di grandi fosse e tagliate; laonde fu forzato
il conte a tenersi per la montagna, se volle andare innanzi, e gli
convenne ancora urtar più d'una volta nei nemici. S'andò ritirando
il Piccinino, e passò anche di qua dall'Adige: con che diede campo al
conte di ricuperar tutto il di là. Pertanto si ridusse la guerra sul
lago di Garda, dove a Torbola era la flotta veneta, contra la quale
anche il duca di Milano si premunì con un'altra fabbricata a Desenzano.
Trovavasi la veneta a Maderno sul lago con _Taddeo marchese_ d'Este
e con altri capitani, e parte delle soldatesche era in terra[2766].
Arrivò loro addosso nel dì 26 di settembre _Niccolò Piccinino_ tanto
coi legni milanesi fabbricati sullo stesso lago di Garda, quanto
colle soldatesche per terra, avendo seco il _marchese di Mantova_ e
_Taliano Furlano_; e tutta quella flotta pose in rotta colla presa de'
legni, e con far prigione Taddeo marchese, i provveditori veneti ed
altre persone da taglia. Inestimabile fu il danno che ne riportarono
i Veneziani. Ma senza punto sgomentarsi s'accinse tosto la potenza
veneta a formare una nuova flotta, non perdonando a spesa veruna.
Respirava bensì Brescia, perchè ne era levato l'assedio; ma sprovveduta
di vettovaglie, ne facea continue istanze alla repubblica veneta.
Prese dunque il _conte Francesco_ la risoluzione d'incamminarsi colà
per le montagne e per la valle di Lodrone. Con disegno d'impedirgli il
passo, si postarono il Piccinino e il marchese di Mantova al castello
di Ten; ma eccoti nel dì 9 di novembre si veggono assaliti in quei
passi stretti dal conte, e sono astretti alla fuga. Vi restarono
prigionieri _Carlo_ figliuolo del marchese di Mantova, _Cesare da

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