Annali d'Italia 161
Per la ritirata di _Bucicaldo_ da Milano e per avere i Genovesi scosso
il di lui giogo nell'anno precedente, il credito e la forza di _Facino
Cane_ era cresciuta a dismisura[2346]. Parve dunque ai consiglieri di
_Giovanni Maria Visconte_ duca di Milano che il braccio di costui quel
solo potesse essere che mettesse a terra i di lui nemici e ribelli,
e restituisse la tranquillità alla città di Milano afflitta da tutte
le bande. Si conchiuse dunque con esso una tregua nell'antecedente
settembre, e questa diventò poi pace nel dì 3 di novembre: del che gran
festa fu fatta in Milano, e Facino dipoi colle sue genti d'armi entrò
in Milano. Ma nell'aprile di quest'anno si rivoltarono contra di lui
le genti dello sconsigliato duca, di maniera che Facino ebbe fatica
a salvarsi alla terra di Rosate. Di nuovo seguì concordia fra loro,
e nel dì 7 di maggio rientrò egli in Milano, e gli fu accordato il
titolo di governatore per tre anni avvenire con plauso di quel popolo.
E perciocchè il duca e Facino erano disgustati forte di _Filippo Maria_
conte di Pavia, contra di lui mossero le armi; ed avendo intelligenza
con _Castellino_ ed altri signori della casa Beccaria, il costrinsero
a cedere la rocchetta del ponte di Ticino. Fu in questa occasione che,
rotto il muro della città di Pavia, v'entrarono le milizie di Facino,
ed avendo facoltà di dare il sacco alle case de' Guelfi, menarono del
pari ancor quelle de' Ghibellini con grave sterminio di essa città. Che
inquieto, che misero stato fosse allora quel dell'Italia, ognun sel
vede. Filippo Maria si tenne ristretto in quel fortissimo castello.
Questo fatto, secondo il Diario Ferrarese[2347], succedette nel
principio dell'anno seguente. Per la morte di _Martino re d'Aragona_
padre di _Martino re di Sicilia_ premorto[2348], si cominciarono
dei rumori in Sicilia, perchè Bernardo da Caprera s'impadronì della
città di Catania. E non fu quieto il regno di Napoli[2349], essendosi
ribellati contra del re Ladislao _Gentile da Monterano_ e il _conte di
Tagliacozzo_ di casa Orsina. Mandò il re gente ad assediar la Padula,
che era di Gentile, e questo esercito vi stette lungo tempo a campo,
tanto che Gentile fu cacciato dal regno. Quanto al suddetto conte di
Tagliacozzo, egli andò ad unirsi con Lodovico d'Angiò. Fece anche
Ladislao incarcerare in Napoli i fratelli di _papa Giovanni_ della
famiglia Cossa.
NOTE:
[2335] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2336] Theodericus de Niem, in Johanne XXIII Papa. Raynaldus, Annal.
Eccles.
[2337] Matthaeus de Griffon., Chron., tom. 18 Rer. Ital. Cronica di
Bologna, tom. eod.
[2338] Annal. Mediolan., tom. 22 Rer. Ital.
[2339] Vita Melandri V, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
[2340] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2341] Diar. Ferrar., tom. 24 Rer. Ital.
[2342] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital. Giornal.
Napol., tom. 21 Rer. Ital. Diario Ferrar., tom. 24 Rer. Ital.
[2343] Cronica di Siena, tom. 19 Rer. Ital.
[2344] Antonii Petri Diar., tom. 24 Rer. Ital.
[2345] Gobelinus, Lang. Cuspinian., et alii.
[2346] Corio, Istoria di Milano.
[2347] Diario Ferrar., tom. 24 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXI. Indizione IV.
GIOVANNI XXIII papa 2.
SIGISMONDO re de' Romani 2.
Giunto a Bologna nel dì 16 di gennaio il _re Lodovico_ d'Angiò[2350],
non lasciò indietro esortazioni e ragioni per condurre a Roma il
pontefice _Giovanni XXIII_. Dopo averlo disposto a questo viaggio,
sul principio di marzo s'inviò egli innanzi a quella volta. Nel dì
ultimo di esso mese gli tenne dietro il papa, con lasciare al governo
di Bologna il cardinal di Napoli. Nel dì 11 d'aprile giunse nelle
vicinanze di Roma[2351], e fece dipoi la sua solenne entrata in San
Pietro col re Lodovico, che l'addestrava, nel sabbato santo. La festa
del popolo romano fu grande. Fatti i preparamenti dell'armata, e
benedette le bandiere, uscì il re Lodovico in campagna, incamminandosi
nel dì 28 d'aprile verso il regno di Napoli, accompagnato da insigni
condottieri d'armi, cioè da _Paolo Orsino_, _Sforza Attendolo_,
_Braccio da Montone_ Perugino, _Gentile da Monterano_, dal _conte
di Tagliacozzo_ e da una fiorita nobiltà. Circa dodici mila cavalli
e numerosa fanteria seco condusse[2352]. Sul principio del maggio
venne a mettersi a fronte di lui il _re Ladislao_ con esercito quasi
eguale a Roccasecca. Stettero guardandosi le due armate sino al dì
19 d'esso mese[2353], in cui, avendo innanzi il re Ladislao mandato
il guanto della disfida, si azzuffarono. Crudele fu la battaglia, e
piena in fine la sconfitta di Ladislao colla perdita delle bandiere,
tende e bagaglio, e con restar prigionieri il legato del deposto papa
_Gregorio XII_, _conte da Carrara_, i _conti d'Aquino_, _di Celano_,
_d'Alvito_, e molti altri de' principali baroni di Napoli. Si salvò
Ladislao, e con fatica, a piedi a Roccasecca, e come potè il meglio
attese a fortificarsi per impedire i progressi dell'armata vincitrice:
il che gli venne fatto. Fu creduto[2354] che l'aver egli guadagnato
sotto mano _Paolo Orsino_, questi andasse tanto tergiversando, che
il re si rimise in forze, e fece poi testa a' nemici. S'aggiunse un
altro fatto, per cui maggiormente venne calando la bella apparenza di
detronizzar Ladislao. Lo scrivo sulla fede di Bonincontro[2355], perchè
a me resta dubbio essere lo stesso che quel dell'anno antecedente.
Avea spedito il re Lodovico otto navi grosse e venti galee verso il
regno di Napoli, acciocchè per mare secondassero l'impresa della sua
armata di terra. Quasi nello stesso tempo che seguì la battaglia poco
fa narrata, furono anche assalite le dette navi angioine dalla flotta
di Ladislao, consistente in sette galee e sei navi, e furono prese.
Giunto questo doloroso avviso alle galee di Lodovico, se n'andarono
in Calabria per assistere a Niccolò Ruffo, che s'era in quelle parti
insignorito di varie castella, e nel cammino espugnarono Policastro. A
nulla poi si ridussero tali conquiste, perchè il re Ladislao, tornato
che fu in forze, mandò le sue genti in Calabria, che ricuperarono
Crotone e Catanzaro, con obbligare Niccolò Ruffo a salvarsi in
Provenza, da dove era venuto. Intanto il re Lodovico, trovati chiusi
i passi per inoltrarsi nel regno di Napoli, e mancandogli danaro e
viveri per mantenere l'armata, dolente la ricondusse a Roma nel dì 12
di luglio[2356], e poscia nel dì 5 d'agosto imbarcatosi, spiegò le vele
verso la Provenza. Fortunato senza dubbio fu in sì disastrosi tempi il
re Ladislao; ma molto contribuì a sostenersi contra di quel minaccioso
torrente, l'aver egli nell'anno precedente procurato di staccare
dalla lega del papa i Fiorentini, i quali stanchi erano omai di tante
spese[2357]. Infatti, nel gennaio del presente anno furono sottoscritti
i capitoli della pace fra loro, il più importante de' quali fu,
ch'egli per sessanta mila fiorini d'oro vendè a' Fiorentini la città
di Cortona: del che grande allegrezza fu fatta in Firenze per questo
accrescimento di potenza. Dopo aver papa Giovanni nel dì 5 di giugno
creati tredici cardinali, tutte persone di merito, grandi processi
fabbricò dipoi contra del re Ladislao[2358]; e nel dì 9 di settembre
il dichiarò scomunicato e privato di tutti i suoi titoli e dominii:
armi che contra d'un principe tale, poco curante della religione, si
trovarono affatto spuntate.
Dacchè il popolo di Bologna vide partito il papa, da cui in addietro,
quando era solamente cardinale, era stato governato con mano assai
pesante, sentì risorgere il desiderio dell'antica sua libertà. Scoppiò
questo tumore nel dì 12 di maggio[2359]. Corsero que' cittadini
all'armi, gridando: _Viva il popolo e le arti_; e il cardinale legato
si ritirò nel castello, oppur nella casa d'un mercatante, e fu dato il
sacco al suo palazzo. Assediato il castello, si tenne saldo sino al dì
28 del mese suddetto, in cui si rendè ai cittadini, salva la roba e le
persone, e fu poi disfatto. Sul principio di giugno _Carlo Malatesta_,
gran protettore di papa _Gregorio XII_, arrivò colle sue genti d'armi
a San Giovanni in Persiceto, terra da lui posseduta, ed assediata
inutilmente nel precedente aprile dai Bolognesi: il che inteso da essi,
tornarono nel dì 11 d'esso giugno a mettervi il campo. Ritrovato l'osso
duro, fu giudicato meglio di far pace col Malatesta, il quale non solo
restò padrone di San Giovanni, ma ancora si fece pagar trenta mila
lire da essi Bolognesi. Anche il popolo della città di Forlì, udita
la rivoluzion di Bologna, si levò a rumore, e, scacciati gli uffiziali
del papa, acclamò per suo signore _Niccolò marchese_ di Ferrara[2360],
il cui capitano Guido Torello ivi si trovava con un corpo d'armati. Ma
entrati in essa città _Giorgio_ ed _Antonio degli Ordelaffi_ nel dì 7
di giugno con due mila pedoni, ne presero il possesso, e dopo qualche
tempo costrinsero alla loro ubbidienza la rocca e la cittadella. Poco
profittò Antonio di tal acquisto, perchè macchinando di levare il
comando, e fors'anche la vita a Giorgio, scoperto il trattato (se pur
fu vero), nel dì 30 di agosto venne preso e confinato in prigione da
esso Giorgio, il quale restò solo padrone. Allora i Forlivesi per opera
di Carlo Malatesta si partirono dall'ubbidienza di papa Giovanni, e
aderirono a papa Gregorio. Nel dicembre ancora di quest'anno[2361] si
accese guerra fra _Sigismondo re de' Romani_, d'Ungheria e Boemia, e
i Veneziani, pretendendo il re che gli fosse restituita Zara colla
Dalmazia. Entrati gli Ungheri nel Friuli, presero Udine, Marano e
Porto Gruaro, talmente che il patriarca d'Aquileia scappò a Venezia.
Impadronitisi ancora di Cividal di Belluno, Feltro e Serravalle,
minacciavano di peggio; se non che i Veneziani, con incredibil
diligenza formato un copioso armamento, e tolto al loro servigio per
generale _Carlo Malatesta_, ruppero il corso alle conquiste di que'
Barbari. Nella state di quest'anno[2362] _Niccolò marchese_ d'Este,
signor di Ferrara, Modena, Reggio e Parma, essendo molestato da
_Orlando Pallavicino_, che tenea occupato Borgo San Donnino, spedì
colà il valoroso suo capitan _Uguccion de' Contrarii_ con due mila
cavalli e molta fanteria. Varie castella tolse Uguccione ad Orlando,
e il ridusse a tale che fu obbligato a cedere la nobil terra di Borgo
San Donnino al marchese, il qual, fattolo venire a Ferrara, il prese al
suo servigio con decorosa provvisione. Era già entrato Facino Cane in
Pavia[2363], nè altro più restava a _Filippo Maria Visconte_ che quel
fortissimo castello, dove s'era chiuso. Ma postovi l'assedio da Facino,
gli convenne capitolare e rendersi. Fra i capitoli vi fu che Filippo
Maria ritenesse il titolo di conte di Pavia, ma conte solo di nome,
perciocchè Facino mise sua gente nel castello, ed era padron di tutto,
dando al misero principe quanto gli bastava per vivere e mantenere
una scarsa corte. Dopo questo andò Facino a far guerra a _Pandolfo
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