Annali d'Italia 165
e ritenuto dalle contrarie insinuazioni de' suoi parenti, allorchè
ebbe intesa la caduta di Baldassare Cossa, appellato finora papa
_Giovanni XXIII_, conoscendo oramai disperato il caso anche per sè,
e ricevuto buon lume da Dio, spedì a Costanza _Carlo de' Malatesti_
con plenipotenza e con autentica cessione del papato. Arrivato colà
il Malatesta nel dì 4 di luglio, con giubilo universale dei padri del
concilio lesse e pubblicò la solenne rinunzia fatta da esso Angelo
Corrario, al quale per questo lodevole spontaneo atto fu lasciata
la porpora cardinalizia, e conceduto, sua vita natural durante, il
governo della marca d'Ancona. Ed egli dacchè ebbe intesa la cessione
sua accettata nel concilio, trovandosi in Rimini, fatto un solenne
concistoro, generosamente la confermò, e depose la sacra tiara e tutti
gli ornamenti pontificali, ripigliando il titolo di cardinale vescovo
di Porto.
Vi restava da vincere Pietro di Luna, chiamato _Benedetto XIII_.
Ritirato costui a Perpignano, quivi se ne stava esercitando la sua
autorità sopra coloro che seguitavano a tenerlo per papa, come gli
Aragonesi e Castigliani. Tanto egli, quanto _Ferdinando re_ di Aragona
e di Sicilia, pregarono con loro lettere il re _Sigismondo_ di voler
portarsi a Nizza, dove anch'essi si troverebbono, per tener ivi un
congresso e trattar della maniera di pacificar la Chiesa. Sigismondo,
principe piissimo, e principal promotore di questa grand'opera,
assunse il carico di passare colà, non badando al suo grado, nè a
spese, a disastri e pericoli, purchè ne venisse del bene alla Chiesa
di Dio. Menando seco alquanti prelati e teologi, come ambasciatori del
concilio, passò per la Francia, e giacchè era svanita la proposizione
dell'abboccamento in Nizza, andò sino a Narbona, dove il venne a
trovare il re Ferdinando, benchè infermo. Non si potè trar fuori
di Perpignano il malizioso Pietro di Luna; e però furono a trovarlo
colà i due re nel dì 18 di settembre[2409]. Ma Pietro (tanto può la
forza dell'ambizione e della vanità) mostrava bensì di voler cedere
il papato, ma sfoderava nello stesso tempo esorbitanti condizioni
e proposizioni tendenti a guadagnar tempo, che davano abbastanza a
conoscere non si accordar le di lui parole col cuore. Le preghiere e le
minaccie a nulla servirono. Scappò anche segretamente da Perpignano,
e si ritirò a Colliure; ma fu quivi assediato; e perciocchè i suoi
cardinali l'abbandonarono, trovò la maniera di fuggirsene e di
ritirarsi a Paniscola, cioè ad un fortissimo suo castello sul mare,
non molto lungi da Tortosa, dove si rinserrò, risoluto di morire senza
dimettere le insegne del preteso suo pontificato. Allora fu che i re
Sigismondo e Ferdinando, irritati dall'ambiziosa ostinazione di questo
mal uomo, l'abbandonarono, sottraendogli ogni ubbidienza[2410], e nel
dì 15 di dicembre stabilirono nella città di Narbona alcuni articoli,
affinchè unitamente coi prelati della Spagna si procedesse poi contra
di Pietro di Luna. Nel suo passaggio per la Francia Sigismondo
s'interpose per mettere pace fra i re di Francia ed Inghilterra,
ch'erano alle mani fra loro, e solamente ritornò nell'anno seguente al
concilio di Costanza.
Di novità e peripezie non poche abbondò in quest'anno il regno di
Napoli[2411]. Avea la _regina Giovanna Seconda_, appena salita sul
trono, alzato al grado di conte camerlengo _Pandolfo Alopo_, uomo
di vil prosapia, e talmente da lei favorito, che corsero sospetti
d'amicizia poco onesta fra loro. Costui con ismoderata autorità
girava a suo talento gli affari della corte e del regno. Fece anche
imprigionare _Sforza Attendolo_, il più valente condottier d'armi,
che la regina avesse allora al suo servigio; e solamente dopo quattro
mesi per le istanze di varii baroni il rimise in libertà con patto
ch'egli sposasse la di lui sorella Caterina Alopa. Data esecuzione a
questo trattato, Sforza fu poi creato gran contestabile del regno. Non
mancavano torbidi in quel regno, e baroni ribelli e città sollevate.
Persuase dunque il consiglio alla regina di eleggere un marito, col
cui braccio potesse più sicuramente tener le redini del governo; ed
ella fra molti scelse _Jacopo conte della Marca_ del real sangue di
Francia, che accettò ben volentieri l'esibizion di quelle nozze. Sul
fine di luglio arrivato questo principe nel regno di Napoli, la regina
gli mandò incontro gran copia di baroni, e fra gli altri il suddetto
Sforza gran contestabile, con ordine di non gli dare altro titolo
che quello di principe di Taranto e duca di Calabria: che così s'era
convenuto negli articoli del contratto matrimoniale, già eseguito per
via di un mandato colle cerimonie della Chiesa, come io vo credendo.
Ma Jacopo, a' cui fianchi si misero tosto dei baroni desiderosi
d'abbattere _Sforza_ e _Pandolfello_, il consigliarono di levarsi
d'attorno questi due potenti ostacoli, perchè in tal guisa si sarebbe
aperta la strada ad essere re. In fatti nella città di Benevento fu
preso Sforza, e cacciato in una dura prigione; nè andò esente da questa
disavventura _Francesco_ suo figliuolo con altri parenti del medesimo
Sforza. Arrivato Jacopo a Napoli nel dì 10 d'agosto, consumato che
ebbe il matrimonio, usurpò il titolo di re, oppure, come vogliono
alcuni, ciò eseguì con consenso della medesima regina. Fece poi nel
dì 8 di settembre mettere le mani addosso a Pandolfello; e l'infelice
processato e condannato lasciò la testa sul palco nel dì primo
d'ottobre. Passando poi più oltre, cominciò a tenere ristretta e come
prigioniera la regina, con attribuire a sè stesso tutta l'autorità, e
senza lasciarne a lei un menomo uso, e neppur permettendole che fosse
visitata da alcuno dei nobili. _Paolo Orsino_ uscì in questi tempi
di prigione per grazia del re Jacopo, da cui fu mandato a Roma, per
imbrogliar quella città, mentre castello Sant'Angelo stava tuttavia
alla divozione di Napoli, e colle bombarde facea guerra e danno al
popolo romano[2412]. Arrivò egli colà nel dì 28 di novembre, e cominciò
ad inquietare il cardinale di Sant'Eustachio, legato, e fece prigione
_Francesco degli Orsini_ con altre novità.
Ebbe _Filippo Maria duca_ di Milano molte faccende in quest'anno[2413],
cioè guerra con _Pandolfo Malatesta_ signore di Brescia, nel
qual tempo la fazion dei Ghibellini di Alessandria, che, essendo
fuoruscita, avea impetrata poco prima la grazia di ripatriare, si
mosse a rumore, e diede quella città in mano a _Teodoro marchese_
di Monferrato. Per buona fortuna del duca, in quel medesimo giorno
_Francesco Carmagnuola_ suo generale avea stabilita col Malatesta,
per interposizion de' Veneziani, una tregua di due anni: laonde le
armi sue ebbero la comodità d'accorrere ad essa città d'Alessandria,
e di entrare per una porta nella fortezza, che tuttavia si mantenea,
e di ricuperar la città. Per questo fatto il Carmagnuola fu dal duca
Filippo creato conte di Castelnuovo[2414]. Non andò così per Piacenza.
_Filippo degli Arcelli_, nobile di quella città, nel dì 25 di ottobre
usurpò il dominio con trucidar la guarnigione del Visconte. Pretende
il Rivalta[2415], storico piacentino, ch'egli le desse il sacco,
e commettesse grandi crudeltà contra dei cittadini, e massimamente
contra di _Alberto Scotto_ conte di Vigoleno. Fece egli lega dipoi col
_marchese Niccolò_ di Ferrara, e coi signori di _Brescia_, _Cremona_
e _Lodi_, in maniera che cominciò a dar da fare al duca di Milano.
Per attestato del Bonincontro[2416], in quest'anno _Malatesta_ signor
di Cesena fece viva guerra a _Lodovico de' Migliorati_ signore di
Fermo, e lo spogliò di molte castella. Di peggio sarebbe intervenuto
a Lodovico, se non fosse giunto avviso a Malatesta che _Braccio da
Montone_, capitano insigne di questi tempi, metteva a ferro e fuoco
il contado di Cesena[2417]. Perciò, fatta tregua fra loro, corse
alla difesa della propria casa. Guerra eziandio mosse in quest'anno
il medesimo Malatesta a _Ridolfo Varano_ signore di Camerino; ma non
gli andò fatta, come s'era egli figurato. Genova, per la sollevazione
cominciata nell'anno addietro, era tuttavia in armi[2418], continuando
le battaglie fra i cittadini, il bruciamento o smantellamento delle
case. Per quanto si studiasse il clero con divote processioni, gridando
misericordia e pace, di frenar sì pazzo bollor delle fazioni, stettero
gl'inferociti animi saldi nelle risse fino al dì 6 di marzo, in cui,
essendo stati eletti nove arbitri, proferirono l'accordo, consistente
in permettere che _Giorgio Adorno_ sino al dì 27 di quel mese ritenesse
la sua dignità, e poi la dimettesse, con goder da lì innanzi di molte
esenzioni e sicurezze. Furono deposte le armi, cessò tutto il rumore;
e dappoichè l'Adorno lasciò vacante la sedia, nel dì seguente, giorno
28 d'esso mese, fu eletto doge _Barnaba da Goano_. Coll'elezione di
cotesto prudente personaggio parea che s'avesse a godere quiete in
Genova; ma troppo erano in quei tempi facili a scomporsi gli animi
di quella focosa gente. Nel dì 29 di giugno gli Adorni e Campofregosi
presero le armi contro del duca novello per deporlo. Perciò si fu di
nuovo alle mani fra gli emuli e i loro aderenti; nè potendo resistere
il Goano alla potenza degli avversarii, rinunziò la bacchetta del
comando. In luogo suo nel dì 4 di luglio di comune consenso del popolo
restò eletto doge _Tommaso da Campofregoso_: con che si restituì la
pace alla scompigliata città.
NOTE:
[2404] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2405] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2406] Theodor. de Niem, in Johan. XXIII. Raynaldus, Annal. Eccles.
[2407] Gobelinus, in Cosmodr.
[2408] Theodoricus de Niem, in Johanne XXIII.
[2409] Theodoricus de Niem, in Johanne XXIII. Raynaldus, Annal. Eccles.
[2410] Labbe, Concilior., tom. 12.
[2411] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital. Corio, Istoria di Milano.
[2412] Antonii Petri Diarii, tom. 24 Rer. Ital.
[2413] Corio, Istoria di Milano.
[2414] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2415] Ripalta, Chron. Placent., tom. 20 Rer. Ital.
[2416] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2417] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Italic. Chron. Foroliviens.,
tom. 19 Rer. Ital.
[2418] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
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